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La strana, travagliata (e breve) vita della classe Freedom della Marina degli Stati Uniti ha assunto, negli ultimi giorni, un’importanza sempre maggiore nella politica americana. Il Pentagono, dopo anni un cui ha provato a inserire in modo stabile queste nuove Litoral Combat Ships nella flotta americana, ha dovuto arrendersi di fronte a quelli che reputava problemi insormontabili.

Troppi guasti, problemi ai radar e ai motori, un costo enorme per la manutenzione, navi che non potevano considerarsi adeguate ai nuovi scenari bellici ipotizzati da Washington, troppo rumorose addirittura per “sentire” un sottomarino cinese. Un amore che non è mai sbocciato e che ha diviso per anni esperti e vertici militari. Finché dalla Difesa è arrivato l’ordine di iniziare a smantellare il programma: otto navi su 10 della classe Freedom, stando al primo ordine inserito nel Bilancio dell’anno scorso, sarebbero state tolte dal servizio attivo entro il 2023. Il Pentagono sottolinea che il disarmo è sostanzialmente un guadagno: si risparmiano soldi, circa 4,5 miliardi di dollari, per armi e sistemi considerati molto più utili in futuro, e si tolgono dal servizio navi che hanno reso ben pochi servigi alla Marina mentre hanno creato, al contrario, problemi e anche una certa dose di brutte figure.

Le divisioni interne alla Marina

Ma qualcuno non ci sta e continua a dire che le Lcs non sono state un errore. Tanti sottolineano che al momento sono utili in attesa delle nuove unità della classe Constellation. Altri ritengono che i guasti siano un problema dovuto al fatto che si tratta di navi quasi sperimentali. Altri ricordano invece l’utilizzo per testare una serie di armi e sistemi che, in loro assenza, non sarebbe stato possibile provare. Tony Parisi, capitano della Us Navy in pensione, scrisse a luglio un accorato appello sul portale Real Clear Defence per evitare che fossero rimosse dal servizio non solo per evitare di indebolire la Marina, ma anche perché, a suo dire, l’avere individuato i problemi avrebbe portato a una loro soluzione: quindi a un utilizzo delle navi che non facesse perdere ulteriori soldi ai contribuenti.

In tutto questo, il New York Times, in una lunga inchiesta sul futuro di quelle navi “condannate” dal Pentagono, ha spiegato come sia subentrata una complessa battaglia politica. Perché le Litoral Combat Ships, a parte per le caratteristiche belliche, sono soprattutto un problema di ordine economico e di immagine. Il quotidiano della Grande Mela descrive una forte campagna di lobbying all’interno del Congresso per evitare il “disarmo” delle navi che ha già portato alla scelta di dimezzare il numero di unità pronte a essere tolte dal servizio.

A fare da motore di questa campagna ci sarebbero Bae Systems, ricorda il Corriere della Sera, ma anche gli imprenditori della Florida coinvolti nella filiera e che parlano di duemila posti di lavoro a rischio. Per quanto riguarda Bae Systems, il nodo, riporta il Nyt, sarebbe da cercare nel contratto da 1,3 miliardi di dollari siglato con la Marina per riparare proprio le navi di classe Freedom. Per gli altri si tratta soprattutto di commesse parallele e posti di lavoro che hanno anche un valore politico: Jacksonville, la Florida, e politici e uomini d’affari tra questo Stato e la Virginia non posso assistere inermi alla cancellazione di contratti e di impiego per i tecnici locali. Tanto più che alcuni sono legati anche al mondo repubblicano.

Il dibattito interno

Quello che appare chiaro è che nella Difesa Usa, e con essa si intende non solo gli apparati militari, ma anche industria, think tank e osservatori, il dibattito sulle vecchie e nuove unità della Marina (ma possiamo parlare anche per aerei, mezzi terrestri e armi) assume un valore non solo strategico, ma anche politico ed economico. Come spiegato da Viviana Mazza per il Corriere, per quanto concerne la classe Freedom, “il caso mostra la guerra interna sempre in atto per le commesse del Pentagono, ma anche il dibattito sul tipo di armamenti necessari per le guerre del futuro“.

Qui infatti si intrecciano in modo abbastanza inestricabile interessi militari e industriali, come dimostrato del resto dall’ordine dato dal Pentagono e dal freno posto dal Congresso. Ma questo discorso può essere declinato sotto diversi aspetti, di cui non da ultimo quello di come il Pentagono guarda alle possibile sfide del futuro. L’indicazione della Cina come principale minaccia alla sicurezza nazionale conferma, per esempio, l’ipotesi che le classe Freedom sarebbero inadeguate a questo scopo. Tuttavia, quelle unità furono pensate per teatri operativi ancora oggi bollenti (in particolare per quelli mediorientali) o possono essere considerate utili per altri fronti. Il fatto che Washington non consideri prioritari questi teatri marittimi nel prossimo futuro potrebbe essere indicativo di come Pechino sia diventata una questione prioritaria, oppure del fatto che per gli Usa i partner locali sono sempre più importanti nella difesa delle aree più lontane dell'”impero”.

Nel mentre, resta il tema di una Marina statunitense che non appare affatto in un momento positivo nonostante la realtà internazionale indichi che sia proprio il dominio marittimo quello più importante. E questo discorso vale non solo a livello globale, ma nello specifico anche per gli Stati Uniti, impegnati nella nuova eterna sfida con il dirimpettaio cinese nel Pacifico. Da tempo la Us Navy rivela diverse lacune all’interno del proprio sistema.

Tanti analisti, ma anche molti vertici della flotta Usa, sottolineano il fatto che le navi americane stiano diventando sempre più usurate e obsolete, manca manodopera, mancano tecnici, e soprattutto servono soldi. La classe Constellation (proposta da Fincantieri) ha lo scopo di rinnovare la flotta sul modello delle Fremm italiane. Ma mentre il programma si concretizza, Washington rischia di ritrovarsi in un pantano che non può sottovalutare. Le Lcs possono diventare un simbolo di questa sfida intestina alle forze Usa.

Tra programmi ritenuti obsoleti e altri accusati di essere eccessivamente dispendiosi o futuristici, l’impressione è che sui futuri programmi della Difesa si giochi una enorme guerra di carattere economico, strategico, politico e lobbistico. Nel frattempo, però, la Us Navy richiama continuamente l’attenzione sulla crescita delle forze nemiche e sul rischio di dare per scontato che la propria tecnologia e le capacità operative facciano ancora per molto la differenza.

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