Lo scorso 16 febbraio il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, generale di Squadra Aerea Luca Goretti, ha riferito alle commissioni difesa congiunte di Camera e Senato sulla situazione dell’Arma Azzurra, sulle nuove minacce e sulle necessità di forza armata.
Il generale ci ha ricordato che l’attuale guerra in Ucraina ha mutato drasticamente il contesto di sicurezza internazionale, e che l’AM in questo ha trovato conferma “della necessità di dotarsi di un potere aerospaziale in grado di gestire tutte le minacce che giungono dall’atmosfera”. In questo senso è necessaria un’attenta pianificazione delle capacità dell’Arma Azzurra, con mezzi adeguati ai vari contesti in cui si possono trovare a operare, anche quelli più improbabili.
L’innovazione tecnologica ha espanso il dominio aereo connettendolo a quello spaziale, creando una connessione “osmotica” tra spazio e cielo, che ha ovvie ripercussioni sulla terra. Un sistema vasto e complesso da difendere che impone un processo evolutivo per l’Aeronautica Militare in modo che essa possa svolgere una delle sue funzioni di mandato, ovvero quella della difesa degli spazi e degli interessi nazionali.
Il generale ha avuto modo anche di sottolineare come anni di tagli allo strumento Difesa, contestuali anche al ventennio di operazioni counterinsugercy/counterterrorism dal quale siamo praticamente appena usciti anche “pensando di vivere in un mondo di pace”, abbiano inciso sul numero di assetti dell’Aeronautica. Goretti infatti quando ha detto che la “quantità sia di per sé già qualità”, fa riferimento all’illusione che un assetto di ultima generazione possa equivalere – e sopperire – a un numero corposo di macchine precedenti.
Il CSM ha infatti reso noto che l’Aeronautica è passata da “842 assetti a circa 500 aeromobili totali di cui meno di 200 con funzione combat” e considerando il rapporto di disponibilità di 1 a 3 per esigenze di manutenzione, si comprende come siano disponibili circa 100 velivoli (di ogni tipo) pronti all’azione.
Il citato vantaggio qualitativo e tecnologico, se ci ha permesso l’agevole conquista della superiorità aerea negli scenari permissivi dove si è operato negli ultimi 20 anni, dall’altro non può certamente essere un paradigma applicabile nel confronto con un competitor “alla pari” come quelli rappresentati dalle forze armate di uno Stato moderno.
Pochi aerei significa quindi non poter sostenere una campagna di lungo periodo, soprattutto se siamo chiamati a intervenire su più fronti. Un sistema d’arma, poi, più è complesso più richiede tempo per essere costruito, e “se poi tutti lo vogliono contemporaneamente, è la fine” ricorda il generale riferendosi implicitamente al successo degli F-35. Il generale a tal proposito ha riferito anche di voler “stimolare una riflessione sui velivoli a pilotaggio remoto” su cui Goretti dice di “essersi posto una domanda” in merito “alla possibilità di riavviare il processo autorizzativo volto ad armarli per dotarli finalmente di una componente di ingaggio al suolo”.
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Il CSM ha ancora una volta sottolineato che se l’autorità politica ne permetterà l’utilizzo, si potrà ridurre il rischio connesso alla perdita di vite umane e parallelamente liberare risorse più pregiate destinate a “scenari non permissivi”, ovvero quelle aree definite in gergo “altamente contestate” in cui sono presenti assetti avversari moderni di interdizione d’area come lo sono i sistemi missilistici da difesa area S-400 Triumf russi che attualmente sono dispiegati in diversi settori del territorio russo e altrove, ad esempio in Siria.
Anche nell’attuale conflitto in Ucraina sappiamo che sono stati dispiegati i Triumf di Mosca, e la loro presenza da sola è bastata per ridurre drasticamente l’attività delle già esigue forze aeree ucraine. Sul fronte opposto, invece, il fatto che l’esercito di Kiev possa disporre di alcuni S-300P ha tenuto ben lontani dai confini ucraini i velivoli AWACS di Mosca del tipo Beriev A-50, che sono stati visti su un aeroporto bielorusso.
Tornado alla possibilità di avere i nostri droni, del tipo MQ-9A Predator B, armati con ordigni da attacco al suolo, Goretti ha riferito che “noi non vogliamo utilizzarli, ma averli significa avere questa capacità, poi è qualcun altro che ci deve autorizzare a farlo, il non averli e dover essere poi necessariamente costretti a impiegarli significa ritornare allo scaffale, e non è detto che li troveremo”.
Il tema degli UAV (Unmanned Air Vehicle) armati per l’Aeronautica Militare ritorna dopo qualche mese: già a settembre vi avevamo ricordato come, nelle “pieghe” del DPP Difesa (Documento Programmatico Pluriennale della Difesa) 2021-2023 fossero presenti finanziamenti pari a 168 milioni di euro, di cui una prima tranche di 59 verrà distribuita in un arco temporale di 7 anni, per l’acquisto di armamento da attacco, definito come ottenimento di “livelli di sicurezza e protezione nell’ambito di missioni di scorta convogli, rendendo disponibile una flessibile capacità di difesa esprimibile dall’aria” e introducendo “una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza”. Qualcosa che già si era richiesto, anni fa, quando nel 2015 il Dipartimento di Stato aveva approvato la possibile vendita all’Italia di armamento per gli Mq-9 insieme alle associate componenti, attrezzature e al supporto logistico per un costo stimato di 129,6 milioni di dollari.
L’allora governo italiano aveva richiesto di poter acquistare 156 missili Agm-114R2 Hellfire II; otto missili Hellfire II tipo M36-E8 Captive Air Training Missile; 30 bombe a guida laser Gbu-12, altrettante Gbu-38 Jdam; cinque missili fittizi Hellfire M34; 30 bombe a guida laser potenziate Gbu-49; altrettante Jdam laser Gbu-54; 26 rastrelliere per bombe; sei kit di armamento e installazione per MQ-9 e 13 lanciatori M-299 insieme a due suite elettroniche per test An/Awm-103 oltre all’addestramento/equipaggiamento, ai pezzi di ricambio e altre attrezzature di supporto. Il tutto per un valore totale stimato di 129,6 milioni di dollari dell’epoca.
Guardando alle operazioni belliche in Ucraina, dove varie tipologie di UAS (Unmanned Air System) vengono utilizzati attivamente sul campo di battaglia, non possiamo che sperare che il decisore politico prenda seriamente in considerazione questa possibilità proprio per le motivazioni espresse dal generale Goretti.