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Le manovre aggressive effettuate da un catamarano della Marina dei Pasdaran iraniani avvenute recentemente nel Golfo Persico nei confronti di un cutter dell’Uscg – la Guardia Costiera statunitense – lo scorso 2 aprile, riaprono una questione spesso dimenticata dalla cronaca militare, ovvero come le unità navali maggiori possano neutralizzare un eventuale attacco di “sciami” di unità sottili, soprattutto se armate di letali missili antinave.

Il contrasto all’attività navale avversaria in acque costiere, che rientra nell’attività di sea denial, effettuato con attacchi “mordi e fuggi” è la tattica principale a cui si affidano le marine minori.

In particolare l’Iran, che non può essere considerato una potenza navale, ha intrapreso questa strada quasi immediatamente con l’avvento al potere degli Ayatollah. Si ricordano gli attacchi al naviglio iracheno, ma anche statunitense e petroliero durante il conflitto che ha visto contrapporsi Teheran a Baghdad tra il 1980 e il 1988 effettuati da flottiglie di gommoni e barchini armati di mitragliatrici pesanti e lanciarazzi controcarro tipo Rpg-7, ma anche utilizzando missili antinave C-201 Silkworm basati a terra nel tentativo di bloccare il traffico delle petroliere dirette verso i terminal iracheni.

Oggi la Irgcn, la Marina delle Guardie della Rivoluzione, può contare su un grande numero di motoscafi, gommoni semirigidi e su qualche unità maggiore che vengono usati ancora con la stessa tattica. In particolare oltre al catamarano Shahid Nazeri e a un secondo in costruzione, i Pasdaran possono contare, da qualche mese, su una nave appoggio di medio tonnellaggio ricavata da un mercantile, la Shahid Roudaki, e su una seconda unità “in incognito”, la M/V Saviz.

Queste ultime due navi servono per allungare il braccio operativo delle operazioni dei Pasdaran nel quadro della guerra asimmetrica e dei conflitti a bassa intensità, ma anche come navi appoggio per le unità sottili, che andranno a operare insieme ai due catamarani, di cui uno è stato protagonista proprio dell’incidente dell’aprile scorso. Sembra anche che si intenda costruire una serie di sottomarini leggeri sviluppati localmente che, con ogni probabilità, saranno destinati al medesimo compito dei barchini e motoscafi, ovvero l’interdizione delle acque del Golfo e dello Stretto di Hormuz.

Questo naviglio sottile ed eterogeneo – ma presente in gran numero nella Irgcn – può risultare pericoloso se usato combinando i missili antinave a medio raggio con la tattica “a sciame”.

Un rapido attacco di numerosi motoscafi e motosiluranti effettuato in un’unica ondata lanciando missili antinave contro i bersagli rappresentati da unità navali maggiori, potrebbe infliggere gravi danni nonostante l’ombrello difensivo dei sistemi di bordo di una moderna nave militare.

Del resto la tattica è ben nota negli ambienti: già nel lontano 1967 il cacciatorpediniere israeliano Ins Eilat è stato affondato nel Mediterraneo al largo di Port Said da missili Styx di fabbricazione sovietica lanciati da navi missilistiche egiziane della classe Komar durante la Guerra dei Sei Giorni.

Quel fatto generò una specie di terremoto negli ambienti navali: da un lato nacquero le fregate missilistiche, che fecero la loro comparsa alla fine degli anni ’60, dall’altro si pose più attenzione alla difesa dalla minaccia portata dalle unità più piccole, e nacquero quei sistemi che prendono il nome di Ciws, acronimo di Close In Weapon System.

La U.S. Navy può quindi efficacemente contrastare un attacco “a sciame” di piccole navi sottili dei Pasdaran iraniani?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo premettere che gli Stati Uniti possiedono un sistema di early warning fatto di satelliti e sensori vari montati su droni da ricognizione e altri velivoli (aerei ed elicotteri) che dà loro una situational awareness senza pari, quindi in grado, potenzialmente, di neutralizzare la minaccia ben prima che questa “compaia sui radar” delle proprie unità navali, come messo in evidenza dalla recente esercitazione effettuata al largo della California Unmanned Integrated Battle Problem 21, che ha dimostrato la possibilità di un cacciatorpediniere di colpire un bersaglio navale a grandissima distanza, ben oltre il proprio campo visivo. Ciò detto è bene, comunque, analizzare che tipo di approccio viene usato dall’U.S. Navy e quali sistemi possono utilizzare sulle unità navali per il contrasto a questi attacchi di sciami di “barchini”.

Per avere una difesa efficace deve esserci un approccio su più livelli. Questo tipo di difesa multilivello deve fare affidamento, come già accennato, su sistemi senza equipaggio (Uav, Usv e loitering munitions), risorse aeree, missili, armi laser e artiglierie di bordo di vario calibro.

In particolare per il contrastato alle minacce portate dalle unità sottili, la Marina statunitense ha sviluppato il Surface Warfare Mission Package (Suw), un sistema di armi integrato per le Littoral Combat Ships (Lcs). Questo è progettato per distruggere piccole imbarcazioni in avvicinamento a velocità fino a 35 nodi o più utilizzando missili Longbow Hellfire, cannoni da 30 e 57 millimetri e integrando gommoni a scafo rigido di 11 metri, elicotteri e droni lanciati da nave con decollo e atterraggio verticale. Però il Pentagono sembra volersi sbarazzare delle sue Lcs, il cui numero, in fase di acquisizione, è stato drasticamente ridotto in favore di unità più pesantemente armate – e grandi – date dalle Fremm (che prendono il nome di classe Constellation negli Usa).

Per quanto riguarda le armi da “difesa di punto” e a cortissimo raggio, le unità americane tipo Ddg imbarcano la mitragliatrice M-60 da 7,62 millimetri, la Browning .50 e il sistema di mitragliatrici Mark 38 da 25 millimetri. Il Ciws base è sempre il vecchio sistema Phalanx, che sulle medio-corte distanze può essere usato anche in configurazione “antisuperficie”. Abbiamo già parlato di Uav, Usv e Uuv che dovrebbero accompagnare un’unità navale e costituire una sorta di “prima cintura di difesa” a distanza, soprattutto anche grazie alla possibilità – sino ad ora solo ventilata – di poter imbarcare loitering munitions da usare come uno schermo difensivo in grado di colpire in massa i bersagli in arrivo. Questi sistemi d’arma verrebbero integrati dai laser a bordo delle navi. L’U.S. Navy ha installato il suo primo laser chiamato Optical Dazzling Interdictor, Navy (Odin), che è anche in grado di contrastare i sistemi aerei senza equipaggio.

Questi sistemi però non sono mai stati collaudati contro “sciami” di barchini o motoscafi, ma sempre contro singoli, o poco numerosi, bersagli, pertanto c’è la seria possibilità che un attacco di questo tipo possa penetrare le difese e causare seri danni al naviglio. Del resto se anche la Cina sta pensando di considerare l’attacco “a sciame” come una tattica per contrastare i Csg (Carrier Strike Group) statunitensi, significa che questa tattica può essere davvero efficace.





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