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Il 15 novembre, la Federazione russa ha condotto dei test missilistici anti satellite. Un vettore terra-spazio ha distrutto il satellite Elint (Electronic and signals intelligence) d’origine sovietica Cosmos-1408, ormai in disuso. La disintegrazione ha causato la dispersione di circa 1.500 frammenti in orbita ravvicinata, tra i 350 – 410 chilometri di distanza dalla superficie terrestre.

Il test è stato immediatamente condannato dal segretario di Stato americano Antony Blinken, che ritiene le azioni della Russia “pericolose e irresponsabili“. I detriti spaziali potrebbero infatti compromettere la sicurezza stessa degli astronauti della Stazione spaziale internazionale (Iss). La fase di maggior pericolo per la Iss è superata e la mole dei frammenti si allontana dalla missione internazionale.

L’esperimento missilistico segna l’inizio della corsa armata allo Spazio. Le grandi potenze stanno studiando come dotarsi di sistemi difensivi e offensivi per il controllo del cosmo più propinquo.

Gli Stati Uniti puntano a perpetuare il sistema unipolare a stelle e strisce efficientando il controllo dei vari angoli del mondo mediante lo sviluppo di nuova tecnologia spaziale. La logistica militare terrestre e navale per coprire (e colpire) ogni area del pianeta simultaneamente non è sostenibile nel medio periodo. L’onerosità della guerre regionali minori in luoghi particolarmente distanti si è resa manifesta con il recente ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. La presenza di strutture armate nell’orbita terrestre ravvicinata comprimerebbe considerevolmente il perenne problema delle linee logistiche sovraestese. Inoltre garantirebbe la capacità e la celerità d’intervento in ogni area del globo, anche qualora Washington perdesse il controllo dei principali “colli di bottiglia” per il dominio talassocratico.

Dal canto suo, Mosca teme di constatare in un futuro prossimo la presenza di satelliti armati in posizione geostazionaria sopra il proprio immenso territorio. Tali apparecchi costituirebbero una spada di Damocle sulla testa di ogni notabile russo. Tutte le strutture politiche, militari o industriali della Federazione sarebbero sotto lo scacco della volontà di potenze straniere concorrenti o apertamente ostili. Di qui l’interesse sempre più pressante del Cremlino di sviluppare sistemi d’arma terra-spazio.

La Russia deve dotarsi di uno scudo efficace (e possibilmente efficiente) prima di ogni altra nazione. Le nuovissime batterie terra-aria S-500 Prometheus (o Prometey) sono già dotate di capacità anti-satellite, seppur ridotta. Forse già la prossima generazione di S-600 potrebbe affermarsi come il sistema di punta per l’abbattimento degli apparecchi geostazionari più lontani. Ma c’è di più: il primo modello di S-500 è stato dispiegato a Mosca per la prima volta proprio nei giorni in cui la vice segretario di Stato americano Victoria Nuland era in visita nella capitale russa. Il messaggio è chiaro e scientemente enucleato nel nome del nuovo sistema: come Prometeo regalò il fuoco agli uomini, così una Russia sconfitta potrebbe donare tecnologia avanzata alle altre nazioni. I programmi statunitensi per il XXI secolo sarebbero così compromessi.

Il cosmo livellerà l’importanza degli storici domini imperiali – terra e mare – senza però renderli superati. Questo è chiaro. Anzi, le nazioni tenderanno a proiettare la propria vocazione talassocratica o tellurocratica anche nel cosmo. I Paesi che punteranno al controllo monopolistico dei punti di oscillazione dello spazio orbitale terrestre (punti di Lagrange) mediante satelliti armati e stazioni abitabili svilupperà le prerogative tipiche della potenza di mare, come gli Stati Uniti. Le nazioni che cercheranno di dotarsi di sistemi difensivi terra-spazio ricalcheranno le aspirazioni tipiche delle potenze di terra, come la Russia. Al test di ieri ne seguiranno altri. La Cina, ricca di materie prime essenziali per le nuove tecnologie spaziali, non vorrà essere esclusa dalla nuova corsa spaziale.





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