L’Ucraina in questo periodo ne ha per tutti. Come se non bastassero le durissime accuse del presidente Volodymyr Zelenskyche nelle scorse settimane ha accusato la Russia di aver organizzato un tentativo di golpe nel Paese con l’aiuto di alcuni oligarchi, a gettare benzina sul fuoco nel dibattito riguardante il futuro geopolitico di Kiev è intervenuto il neo-ministro della Difesa Oleksii Reznikov.

Reznikov, esponente classico della classe dirigente insediatasi dopo il golpe del 2014 contro Viktor Yanukovich insediatosi un mese fa nel suo attuale ruolo, ha dichiarato esplicitamente di aver avuto poco dopo l’inizio del suo mandato un forte screzio con la Germania per il veto di Berlino alla fornitura di determinati sistemi d’arma a Kiev. Berlino, ha dichiarato Reznikov al Financial Times“ha bloccato la fornitura di sistemi anti-cecchino e anti-drone all’Ucraina attraverso il Nato Support and Procurement Agency”, la struttura dell’Alleanza Atlantica che si occupa della fornitura a Paesi terzi.

La Germania nell’era di Angela Merkel si è sempre posta come mediatrice tra le due parti in conflitto nel quadro del Donbass e delle regioni confinanti. Da membro dell’Alleanza Atlantica, Berlino ha condannato l’occupazione russa della Crimea e i tentativi di destabilizzazione di Kiev nel Donbass; da nazione pragmatica, però, ha cercato sempre un modus vivendi con Vladimir Putin per ottenere in questo contesto una via di comunicazione e un contatto diretto attraverso un’avviata relazione economica avente al centro il gas naturale

Parlando col quotidiano della City di Londra proprio sul gas naturale si è concentrato il ministro ucraino, accusando quella che a suo avviso è un’incoerenza della Germania che “propone di finire il Nord Stream 2”, il gasdotto russo-tedesco passante per il Baltico, “e blocca la cessione di armi difensive all’Ucraina”. A ben guardare, nell’ottica di Berlino questa strategia non è affatto vista come contraddittoria. La Germania di Angela Merkel ha sempre temuto di tirare troppo la corda nella regione ucraina del Donbass ritenendo che una fornitura massiccia di armi letali all’esercito ucraino da parte della Nato, in misura maggiore a quanto fatto finora, potesse essere vista come una provocazione dal governo di Kiev.

Tra una minaccia bellicosa e l’altra, tra analisi strategiche e attacchi propagandistici (in caso di invasione da parte di Mosca “molte bare torneranno indietro in Russia”) Reznikov non ha dato pochi elementi per negare la strategia tedesca, provando a dividere retoricamente il fronte atlantico tra una componente, a guida Usa, che avrebbe “compreso la minaccia” legata alle linee rosse di Mosca in Europa Orientale e una, a guida tedesca, che sottovaluterebbe la minaccia. Il paragone fatto da Reznikov è con la guerra russo-georgiana del 2008, a suo avviso favorita dalla negazione francese di uno spazio nella Nato per Tbilisi.

Il tempismo delle dichiarazioni, in ogni caso, non va ignorato: l’Ucraina ha rivelato questo avvertimento fatto a Berlino sottolineando implicitamente di confidare in un cambio di rotta con l’ascesa di Olaf Scholz alla Cancelleria federale. Il più “merkeliano” dei socialdemocratici governa in coalizion con i Liberali, fedeli all’ortodossia atlantista, e soprattutto con i Verdi che con la loro leader Annalena Baerbock controllano ora il Ministero degli Esteri. Nei mesi scorsi l’attuale vicecancelliere e storico rappresentante dei Verdi Robert Habeck aveva dichiarato che la richiesta di armi dell’Ucraina era “difficile da negare”. Una svolta notevole per il partito che anni fa propugnava il pacifismo e l’uscita dalla Nato e ora è il bastione dell’occidentalismo progressista nel Paese al centro dell’Europa.

Gli ambientalisti sono stati a lungo, inoltre, tra i massimi oppositori del gasdotto Nord Stream 2 caro a Merkel e Vladimir Putin e, come hanno scritto Lydia Wachs e Paula Köhler del German institute for international and security affairs di Berlino in un’analisi pubblicata per il britannico Royal united services institute (Rusi), prima dell’entrata al governo hanno sostenuto “la demolizione immediata del progetto infrastrutturale, a causa del suo impatto dannoso sul clima e dei suoi effetti potenzialmente destabilizzanti sulla posizione dell’Ucraina nei confronti della Russia”. Ora la posizione è più cauta, ma complici i problemi di certificazione delle ultime settimane la Baerbock, appena ascesa al governo, non ha esitato a ritenere possibile l’idea di uno stop alla certificazione Nord Stream 2. Parole che saranno suonate come musica alle orecchie di Kiev, ora più che mai intenta a far pressione su Berlino perché prenda le sue parti. La Germania è la chiave della partita ucraina. E quest’ultima sarà il primo banco di prova per capire la maturità politica del cancelliere succeduto dopo sedici anni alla Merkel.





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