L’ammiraglio Charles Richard è il comandante dello U.S. Strategic Command (Stratcom), il comando statunitense succeduto al Sac (Strategic Air Command) nel 1992 e che dal 2001 controlla l’intero arsenale nucleare delle forze armate Usa e presiede la difesa missilistica. Inoltre lo Stratcom ha compiti di intelligence, ricognizione, sorveglianza, controlla il deterrente strategico statunitense e si occupa anche della difesa della nazione contro armi di distruzione di massa.
L’ammiraglio, in un discorso al simposio annuale della Naval Submarine League tenutosi mercoledì 2 novembre, ha affermato che la crisi in Ucraina in cui ci troviamo in questo momento “è solo il riscaldamento. Il grosso sta arrivando. E non passerà molto tempo prima di essere messi alla prova in modi che non siamo abituati a subire da molto tempo”.
L’ammiraglio ha affermato senza mezzi termini che gli Stati Uniti devono “apportare un cambiamento rapido e fondamentale nel modo in cui affrontiamo la difesa di questa nazione” sottolineando che “la situazione attuale sta illuminando in modo vivido l’aspetto della coercizione nucleare” e come la si affronta o non affronta.
Richard guarda con particolare apprensione alla Cina e ai suoi sviluppi in campo militare, che metterebbero a rischio la capacità dei deterrenza statunitense, in particolare quella nucleare.
L’ammiraglio ha infatti affermato che valutando il livello della deterrenza Usa contro la Cina “la nave sta affondando lentamente” in quanto i cinesi “stanno mettendo in campo capacità più velocemente di noi” e che non importa quanto siano buoni i piano operativi o quanto siano bravi i comandanti, o quanto siano bravi “i nostri cavalli”, il problema a breve termine è, secondo lui che “non ne avremo abbastanza”.
Richard ha anche affermato che gli Stati Uniti devono guardare al loro passato sviluppo militare per trovare soluzioni su come potrebbero aumentare il loro predominio nella sfera militare internazionale. L’ammiraglio, in particolare, individua nella perdita di capacità di “muoversi velocemente” uno dei fattori fondamentali di questa crisi della potenza statunitense, ricordando l’impresa tecnologica che ha portato il primo uomo sulla Luna nel 1969.
Secondo Richard, quindi, Washington deve portare indietro le sue lancette del tempo altrimenti “la Cina ci supererà”. Il comandante dello Stratcom ha posto in modo particolare l’accento sulla capacità di deterrenza nucleare statunitense, che viene messa a rischio dall’ampliamento dell’arsenale atomico cinese come evidenziato da diversi rapporti indicanti la costruzione di nuove testate e nuovi silo di lancio, e dalle nuove capacità russe, legate principalmente allo sviluppo di sistemi di consegna ipersonici.
Lo stesso allarme era stato lanciato dalla nuova Nuclear Posture Review dove si afferma che “i nostri principali concorrenti continuano ad espandere e diversificare le loro capacità nucleari, per includere sistemi nuovi e destabilizzanti, nonché capacità non nucleari che potrebbero essere utilizzate per condurre attacchi strategici” e si sottolinea anche lo “scarso interesse nel ridurre la loro dipendenza dalle armi nucleari” e la problematica Usa di dover sostituire tempestivamente i vettori attualmente in servizio che stanno diventando obsoleti.
In quel documento, pubblicato per la prima volta in un’unica edizione comprendente anche la National Defense Strategy e la Missile Defense Review, si afferma che la Cina cerca di avere almeno mille testate nucleari entro la fine del 2030. Queste, insieme alla 1550 russe (fissate dal trattato Start) mettono in difficoltà la capacità di deterrenza nucleare statunitense che dovrà quindi per la prima volta nella storia affrontare due avversari dotati di un ingente arsenale atomico allo stesso tempo.
La Repubblica Popolare Cinese (Rpc) viene ritenuta “la sfida globale per la pianificazione della difesa degli Stati Uniti” mentre la Russia “continua a enfatizzare il ricorso alle armi atomiche nella sua strategia, a modernizzare ed espandere le sue forze nucleari e a brandirle a sostegno della sua politica di sicurezza revisionista”.
L’allarme lanciato dall’ammiraglio comandante lo Stratcom è solo l’ultimo che giunge da oltre Atlantico. Altri esperti di settore e militari in pensione hanno affermato, negli ultimi mesi, che occorre un cambio di passo, da parte degli Stati Uniti, per poter affrontare la sfida cinese alla pari.
Recentemente, ad esempio, il generale (in pensione) dell’esercito Usa Ferrari ha affermato che occorre una nuova filosofia più adatta alle mutevoli realtà di un mondo scosso dalla guerra in Ucraina, da una Cina diventata molto più aggressiva verso Taiwan e dai problemi economici indotti dalla pandemia. Pertanto il Pentagono dovrebbe “spendere di più e subito” per la Difesa abbandonando la filosofia “capability over capacity”.
Anche per quanto riguarda le Edt (Emerging Disruptive Technologies) come l’intelligenza artificiale, c’è stato chi ha sottolineato il divario tra Cina e Stati Uniti lamentando il lento ritmo della trasformazione tecnologica nell’esercito Usa.
Sempre in quest’ambito, ma parlando di ipersonico, gli Stati Uniti stanno recuperando il terreno rispetto ai loro avversari, accelerando lo sviluppo di sistemi per le tre forze armate che, probabilmente, vedranno il loro ingresso in servizio a partire dal 2024.
Ecco perché, sebbene quella dell’ammiraglio Richard non sia una voce nel deserto, c’è chi è più ottimista: Sabrina Singh, vice segretario stampa del Pentagono, ha espresso infatti maggiore fiducia riguardo alla sfida presentata dalla Cina. In una conferenza stampa effettuata venerdì scorso ha infatti affermato che al Dipartimento della Difesa si sentono “molto fiduciosi nelle nostre capacità quando si tratta della Cina, o semplicemente in generale nell’Indo-Pacifico”.
Indo-Pacifico che assume un ruolo sempre più centrale nella strategia di sicurezza statunitense, comparendo per la prima volta come voce a sé stante nella Npr, ad esempio.
Nonostante le preoccupazioni di Richard, il presidente cinese Xi Jinping ha recentemente chiesto il miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina. Nel suo primo messaggio pubblico al presidente Usa Joe Biden da quando è stato rieletto alla guida del Partito Comunista Cinese, Xi ha indicato che i due Paesi dovrebbero tornare a un rapporto solido e stabile attraverso una “comunicazione e una cooperazione più strette” che “contribuiranno a portare maggiore stabilità e certezza nel mondo e promuoverne la pace e lo sviluppo”. Il leader cinese ha anche detto che il suo Paese è pronto a collaborare con gli Stati Uniti “per trovare il modo giusto per andare d’accordo nella nuova era sulla base del rispetto reciproco, della coesistenza pacifica e della cooperazione vantaggiosa per tutti. Ciò andrà a vantaggio non solo dei nostri due Paesi, ma anche il mondo intero”.
Le dichiarazioni di Xi Jinping rispondono sia alla necessità di stabilizzare la situazione internazionale per permettere la ripresa dell’economia cinese, che sta affrontando una crisi sistemica importante evidenziata anche dalla “bolla” nel settore immobiliare, sia per un approccio alla politica estera e interna più di lungo termine, che fissa i suoi obiettivi al 2050. Obiettivi che vanno raggiunti col dialogo ma senza escludere metodi assertivi/coercitivi, che devono quindi poggiarsi su una potenza militare in grado di esprimere una capacità di deterrenza nucleare e convenzionale credibile.