Rendere una notizia o una narrazione più forte di un colpo di cannone, vincere una guerra senza scendere in battaglia o, meglio ancora, ottenere la vittoria militare passando attraverso la “conquista dei cuori e delle menti”. Queste sono solo alcune delle possibili sfaccettature della cosiddetta guerra cognitiva (qui la scheda di approfondimento). Ovvero: una guerra intrapresa dalla parte più debole coinvolta in un conflitto asimmetrico mediante la manipolazione di informazioni e idee, con il fine ultimo di avere la meglio sull’avversario più forte, evitando l’uso della forza bruta.
Il campo di battaglia della guerra cognitiva è la mente, punta al suo dominio ed è figlia di molteplici innovazioni, tra le quali gli avanzamenti delle neuroscienze cognitive, dello psicomarketing e del decadimento cognitivo delle masse, a sua volta innescato dalla cosiddetta società del comfort.
Russia e Cina possono essere considerati i due precursori della guerra cognitiva. Hanno sviluppato e potenziato strategie e dottrine per rendere il loro modus operandi sempre più efficace e rappresentano una sfida per l’Occidente. Basta dare un’occhiata conflitto Russia-Ucraina, che sta testimoniando l’uso intensivo di operazioni di influenza caratteristici della guerra cognitiva.
Certo, l’uso della propaganda e delle operazioni di influenza è sempre stato comune nelle guerre. Solo che adesso questi aspetti hanno assunto un utilizzo strategico su scala e portate mai viste prima. Alcuni esempi: l’impiego diffuso e pianificato dei social media, del digitale e di altri mezzi di comunicazione, che ha permesso di raggiungere un pubblico più vasto con contenuti personalizzati e mirati in tempi rapidissimi.
Insomma, la guerra cognitiva va oltre la guerra dell’informazione, ne integra e unisce gli elementi, portandoli ad un nuovo livello nei domini informativi, cibernetici e psicologici, manipolando la percezione della popolazione target e assicurando che si ottenga la reazione desiderata. Una volta chiaro il concetto di fondo, scopriamo come Cina e Russia hanno affinato questo strumento.
La dottrina cinese
Per quanto riguarda la Cina, l’anno spartiacque è il 2003 con la revisione del “Regolamento sull’attività politica nel Esercito Popolare di Liberazione cinese” condotta dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) e dalla Commissione Militare Centrale (CMC). In quel periodo, Pechino ha formalizzato le molteplici teorie presenti all’epoca in una dottrina più compatta, denominata delle Tre Guerre. Attraverso l’uso coordinato di tre forme di competizione indiretta, e cioè guerra psicologica, dell’opinione pubblica e legale, la Repubblica Popolare Cinese ha iniziato a perseguire obiettivi politici e strategici.
La guerra psicologica comprende le funzioni capaci di manipolare o influenzare le decisioni e capacità cognitive avversarie. Quella dell’opinione pubblica abbraccia le campagne di comunicazione strategiche condotte dai media di Stato, con l’intenzione di condizionare l’opinione pubblica globale a proprio favore. Arriviamo così alla guerra legale, che utilizza gli strumenti previsti dal diritto per spiegare, ma anche giustificare, le posizioni politiche della Cina.
Nello specifico, i tre settori sono correlati tra loro, risultano complementari e inseparabili. La guerra dell’opinione pubblica crea un ambiente favorevole alla guerra psicologica e legale. La guerra legale, a sua volta, prepara il terreno legale per la guerra psicologica e di opinione pubblica. La guerra psicologica, dal canto suo, offre al governo cinese gli strumenti per implementare l’opinione pubblica e la guerra legale. Insieme, mirano a indebolire l’avversario senza la necessità di ricorrere a mezzi militari classici e consentono una risoluzione vantaggiosa del conflitto per la Cina.
Scendendo nei dettagli, nella guerra dell’opinione pubblica l’obiettivo è manipolare, appunto, l’opinione pubblica. Nel caso dell’azione sul fronte interno, l’obiettivo è quello di sollevare il morale del proprio popolo e delle truppe, mentre nell’arena internazionale consiste nell’indebolire il morale e la volontà di combattere dalla parte opposta.
La guerra psicologica mira a minacciare e demoralizzare l’avversario e, di conseguenza, spezzare la sua volontà di combattere. Gli obiettivi delle operazioni psicologiche (PSYOPS) non sono solo le persone e la società, ma anche le strutture governative e di comando del nemico.
Lo scopo della guerra legale, infine, è creare l’apparenza di legittimità per le azioni della Cina, compreso l’uso della forza militare, mentre allo stesso tempo dipinge le azioni della parte avversaria come illegittime, costringendola alla passività e bloccando l’intervento di qualsiasi paese terzo. L’obiettivo primario della guerra legale non è la vittoria nei processi davanti ai tribunali internazionali. I casi stessi hanno lo scopo di ritardare e ostacolare le azioni del nemico.
La dottrina russa
Ben diversa è la dottrina seguita dalla Russia. Mosca è partita dal confronto informativo, concetto che descrive l’approccio di Mosca all’uso delle informazioni, tanto in tempo di pace quanto, a maggior ragione, durante un conflitto. Detto altrimenti, la narrazione di stato interpreta in chiave anti russa pressoché ogni azione dei governi occidentali, mentre Mosca si considera in perenne stato di conflitto con gli avversari, veri o soltanto percepiti.
È in un humus del genere che ha preso forma, nel 2013, la nota Dottrina Gerasimov. Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore della Russia, ha ripreso le tattiche sviluppate dai sovietici, le ha mescolate con il pensiero militare strategico sulla guerra totale per poi presentare una nuova teoria della guerra moderna. Una teoria che assomiglia più ad “hackerare la società” di un nemico che non ad attaccarla frontalmente.
L’approccio è di pura guerriglia, e viene condotto su tutti i fronti con una serie di attori e strumenti. Ad esempio: hacker, media, uomini d’affari, fughe di notizie, notizie false, mezzi militari convenzionali e asimmetrici. In sostanza, la Dottrina Gerasimov ha formato un quadro per questi nuovi strumenti. Il risultato, evidente anche nel conflitto ucraino, è che le tattiche non militari non sono ausiliarie all’uso della forza bensì il modo preferito per vincere (anche se non sempre i risultati sono ottimali).
Attenzione però perché la Russia non ha un concetto di guerra cognitiva da sbandierare. Al contrario, utilizza un concetto di informazione e confronto psicologico, consistente, come abbiamo visto, nell’impiego dei mezzi digitali per influenzare i pensieri e i valori delle persone (simile a ciò che la Cina chiama guerra cognitiva). L’Occidente dovrebbe iniziare a prendere appunti e ad approfondire la questione. A partire dall’attuale guerra in Ucraina.