La Germania sta valutando la possibilità di abbandonare il programma Scaf (Système de Combat Aérien du Futur) per un nuovo caccia di sesta generazione in partnership con Francia e Spagna. Complessivamente, si tratta di un progetto del valore di 100 miliardi di euro per un aereo da combattimento che sarà un “sistema di sistemi”, ovvero in grado di fungere da piattaforma di controllo di diversi assetti sul campo di battaglia: Uav (Unmanned Air Vehicle) del tipo loyal wingman e sciami di piccoli droni. Il concetto di “sistema di sistemi” prevede anche un’interconnessione a 360 gradi con tutto quanto presente nello scenario operativo: dal satellite al singolo fante, dal carro armato alla fregata in navigazione, passando ovviamente anche per le varie risorse Isr (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance). Il tutto in tempo reale e con uno scambio di dati a doppio senso.
A quanto sembra, Berlino potrebbe molto facilmente decidere di unirsi al programma concorrente, quello italo-anglo-nipponico del Gcap (Global Combat Air Programme), come riferito al Times da fonti ben informate. Come apertura a un potenziale accordo, si ritiene che il cancelliere tedesco Olaf Scholtz sia anche in trattative per revocare il veto di Berlino sulla consegna di caccia Eurofighter Typhoon all’Arabia Saudita, che il Regno Unito considera un’importante priorità strategica.
Quanto emerso riflette una spaccatura in costante peggioramento tra Francia e Germania, che sono in disaccordo su diversi dossier non solo riguardanti il settore della Difesa. Come vi abbiamo detto in tempi non sospetti da queste colonne, il partenariato tra Francia e Germania per lo Scaf sembra destinato a naufragare, e non è il solo.
Il programma per il nuovo caccia è legato a doppio filo a quello del nuovo Mbt (Main Battle Tank) Mgcs (Main Ground Combat System), anch’esso guidato dal binomio Berlino-Parigi. La base industriale tedesca, però, si è sempre dimostrata scontenta per quanto riguarda la ripartizione del lavoro, l’assegnazione dei brevetti e quindi la gestione dei requisiti di sistema, e questo vale sia per il progetto del carro armato sia per quello del cacciabombardiere. Sostanzialmente la Germania rivendica un ruolo paritario nella progettazione del velivolo, che la Francia si dimostra poco incline a concedere, e di rimando Parigi cerca di controbattere quella che viene percepita come un’ingombrante presenza tedesca con l’apertura a nuovi partner per l’Mgcs.
Il malcontento, quindi, si trova da ambo le parti, e proprio queste diatribe, che si protraggono da anni, stanno stabilendo la sorte dei programmi congiunti franco-tedeschi. Programmi che, lo ricordiamo una volta di più, sembrano destinati a naufragare.
Tornando allo Scaf, il timore di Berlino è anche quello legato al lievitare di costi e del ritardo nelle consegne, che dovrebbero arrivare a partire dal 2040 nella migliore delle ipotesi. I ritardi però, proprio per l’incapacità di entrambe le parti di trovare un accordo, sono destinati ad allungarsi proprio come già avvenuto per l’Mgcs, il cui arrivo ai reparti è stato posticipato di 5 anni (2040), con tutte le problematiche relative all’avere una piattaforma di combattimento che potrebbe non essere più all’altezza degli standard del campo di battaglia.
Lo Scaf facilmente potrebbe incappare nello stesso destino, anche considerando che Francia e Germania stanno optando per altre soluzioni che non appaiono essere solo ad interim, ma che si prospettano come definitive in attesa di procedere con altri partenariati (nel caso tedesco) o da soli (nel caso francese). Berlino, lo ricordiamo, ha piazzato un ordine per i cacciabombardieri F-35, che oltre ad avere il pregio di essere un velivolo di quinta generazione – che manca nella linea della Luftwaffe – è anche una piattaforma diffusa nella Nato (e non solo) e in grado di effettuare il bombardamento tattico nucleare, quindi che permette di sostituire i Tornado in questo particolare compito: una priorità per l’aeronautica militare tedesca.
Dal punto di vista politico, la possibile scelta del governo Scholtz di abbandonare lo Scaf per richiedere l’ingresso nel Gcap determinerà l’allineamento del suo Paese in Europa e oltre, con uno sguardo verso l’Estremo Oriente che diventa necessario in questo particolare momento storico, e che l’Italia ha ben compreso da qualche tempo.
Fonti del Times che sono a conoscenza dei sentimenti del governo tedesco riferiscono che c’è la preoccupazione che il programma Scaf rischi di trasformarsi in un elefante bianco estremamente costoso e di restare indietro rispetto alla concorrenza. Dal punto di vista globale, infatti, gli Stati Uniti prevedono di mettere in campo i propri caccia di sesta generazione entro il 2030 (il Ngad – Next Generation Air Dominace), mentre il consorzio che sta sviluppando il Gcap – erede del Tempest – prevede di effettuare le prime consegne entro il 2035. Avere quindi un caccia di sesta generazione pronto per il 2040 – ma con una produzione a regime che andrebbe posta più avanti di quella data – significa essere molto in ritardo sul panorama internazionale anche dal punto di vista della possibilità di entrare nel mercato, al netto della possibilità di veto della Germania che per legge, dal 1990, non può vendere armamenti a Paesi in guerra o che violano i diritti umani.
Il quotidiano britannico riporta anche che un alto funzionario tedesco ha affermato che Scholz non vedeva alcun motivo per cui lo Scaf dovesse competere col Gcap, e voleva unire i due o, in caso contrario, abbandonare il progetto francese per unirsi a quello italo-anglo-nipponico. Il cancelliere sarebbe anche esasperato dal trattamento preferenziale che la Francia ha riservato alle proprie aziende aerospaziali nelle fasi iniziali del progetto, come vi abbiamo riportato nel corso di questi anni.
Questo malcontento tedesco è stato esacerbato dal comportamento francese, che più volte ha fatto capire di non volere interferenze nella gestione di programmi e nella definizione dei relativi requisiti operativi, inoltre Parigi ha snobbato l’iniziativa “Sky Shield” di Scholz per raggruppare gli appalti per la difesa aerea e missilistica dei Paesi europei, perché considera la preferenza della Germania per i sistemi “pronti all’uso” di Paesi come gli Stati Uniti e Israele come un affronto alla sua politica estera.
Come vi abbiamo detto più volte, è l’atteggiamento protezionista francese il vero problema: Parigi ha dimostrato più volte nel corso della storia di preferire soluzioni nazionali invece di lavorare congiuntamente coi partner europei, ed il caccia Rafale nasce proprio da questa postura.
Proprio il Rafale, nella sua versione F5, sarà un velivolo che comincerà ad affluire ai reparti nel 2030 e resterà in servizio per i successivi 30 anni, quindi si configura come una soluzione che appare più di un semplice ripiego.
Francia e Germania prendono quindi strade diverse, con Parigi che, come sempre, si richiude internamente e Berlino che apre agli alleati, sebbene con un po’ troppa disinvoltura nel guardare al mercato americano che però, lo ricordiamo, offre prodotti off-the-shelf che all’Europa in questo momento mancano (l’F-35 ad esempio), ma non sempre: proprio il dossier dei sistemi da difesa aerea avrebbe dovuto essere gestito con più attenzione dai tedeschi, considerando che da questa parte dell’Atlantico ci sono sistemi di pari livello disponibili sul mercato rispetto ai Patriot statunitensi o agli Arrow israeliani.
In ogni caso avremo un riscontro sul futuro della Germania nello Scaf in base alla decisione sui Typhoon all’Arabia Saudita: se il Bundestag scioglierà il nodo e ne permetterà la vendita a Riad, allora sarà il segnale che molto probabilmente il Gcap vedrà un quarto partner. Una decisione che comunque avrà dei benefici per il consorzio europeo Eurofighter a cui, lo ricordiamo, partecipa anche il nostro Paese.