Difesa /

In questi giorni all’Eliseo ma anche ai Ministeri della Difesa e delle Finanze vi è molto fermento (e qualche segreto imbarazzo…). Nonostante il clima festivo le riunioni si intrecciano e si sovrappongono senza requie. Entro gennaio il presidente Emmanuel Macron dovrà presentare la nuova “Loi de programmation militare” (LPM), ovvero il piano d’investimenti 2024-2030 per le forze armate transalpine, e sottoporlo a marzo al Parlamento.

Un puzzle complicato. I nuovi scenari bellici ad Est hanno bruscamente interrotto la lunga, sonnacchiosa (e assai sparagnina) routine governativa — un susseguirsi costante di tagli al budget della Difesa con disastrose conseguenze sui mezzi e i sistemi d’arma convenzionali— che tanto aveva fatto brontolare i generali col kepì. Un caso su tutti. Nel luglio 2017 l’allora capo di stato maggiore, il generale Pierre de Villiers, si dimise clamorosamente in aperta polemica con l’appena nominato Macron per protestare contro l’ennesimo colpo basso. Il neo presidente, dimentico delle tante promesse fatte in campagna elettorale, sforbiciò di colpo 850 milioni di euro il già risicato bilancio delle forze armate causando uno scontro durissimo con l’istituzione militare.

Torniamo all’oggi. Il conflitto ucraino, sommato alle difficoltà crescenti nell’ex Africa francese e alla penuria estrema degli arsenali — ormai quasi completamente svuotati dopo anni di lesina e dai troppo generosi aiuti a Kiev —, impone ormai un radicale cambio di paradigma politico e strategico e soprattutto tanti, tantissimi quattrini. Se la Francia vuole restare una potenza militare credibile sono necessari almeno 400 miliardi di euro spalmati su sette anni: cento miliardi e rotti in più della precedente LPM 2019-2025. Un investimento pesantissimo ma già insidiato dall’inflazione, dai costi dell’energia oltre che dalla corsa mondiale agli armamenti. Dunque si prospetta un percorso disseminato d’imprevisti e infinite variabili che costringerà i legislatori a scelte difficili.

Come si legge nella “Revue national stratégique”, il documento preparatorio alla LPM presentato da Macron a Tolone lo scorso 8 novembre, la Francia investirà non solo nelle nuove tecnologie (difesa cibernetica e sicurezza spaziale) ma cercherà di forgiare nuovamente un dispositivo capace di condurre operazioni convenzionali ad alta intensità privilegiando artiglieria e carri armati — drasticamente ridotti nell’ultimo trentennio — e si doterà, alla luce delle lezioni ucraine, di droni d’ultima generazione. Uno sforzo industriale importante che necessita però di munizionamento adeguato e ingenti stock di pezzi di ricambio e, dato non secondario, anzi — di personale più giovane e meglio addestrato. Sul terreno servono soldati giovani e motivati.

Da qui, anche in vista dei Giochi olimpici dell’estate 2024, il bisogno di rimpolpare, raddoppiando i 40 mila effettivi oggi disponibili, i ranghi della Riserva dell’Esercito (CESR) composta da ex militari e destinati per lo più alla sorveglianza del territorio nazionale nell’operazione “Sentinelle” e compiti similari.

A fare le spese della nuova LPM saranno i programmi ritenuti meno urgenti posticipando (o cancellando) la consegna di nuove fregate e sommergibili, di altri jet Rafale e di veicoli blindati leggeri. Ma la vittima più illustre rischia d’essere la tanto attesa nuova portaerei. Gli analisti considerano ormai defunto il progetto PANG — la portaerei di nuova generazione a propulsione nucleare, che doveva sostituire nel prossimo decennio l’ormai acciaccata “Charles de Gaulle” ormai in linea dal 1994 e sempre più spesso ormeggiata in cantiere per continui lavori di manutenzione. Per la vecchia signora dei mari la pensione è sempre più lontana.