La Russia si sta blindando nell’Artico per mettere in campo una catena di basi capaci di garantire a Mosca, potenza poco avvezza alla grande strategia marittima, ciò che nel resto del mondo a nessuno Stato è concesso: controllare un grande spazio marittimo sottraendolo alla sostanziale piena disponibilità degli Stati Uniti. E plasmando, di converso, un ritorno in forze nell’Artico, militare questa volta, dopo la grande corsa al Nord dell’epoca sovietica sulla scia di gas, petrolio e altri asset.

L’immenso Artico russo è strategico

La zona artica terrestre della Federazione Russa, presa singolarmente, sarebbe la settima nazione al mondo per estensione. Grande come India e Messico messe assieme, il territorio russo oltre il Circolo polare artico si estende per 5 milioni di chilometri quadrati e il suo profilo costiero è lungo quasi 25mila km. Cinque mari formano l’Oceano Artico russo dai confini con la Norvegia fino allo Stretto di Bering che lo separa dal Pacifico: Mare di Barents, del Mare di Kara, del Mare di Laptev, del Mare della Siberia orientale e del Mare di Chukchi.

L’Swp, istituto tedesco di affari internazionali e securitari, ricorda che “il 90% dell’attuale produzione russa di gas e il 60% della sua produzione di petrolio avvengono nell’Artico, che ha anche il 60% delle riserve di gas e petrolio della Russia”. E in sostanza “l’Artico consente alla Russia di perseguire una serie di obiettivi significativi”. Dell’economia si è detto. Il controllo sull’Artico, inoltre, in campo geopolitico “sostiene lo status del paese come grande potenza; economicamente”. Inoltre, in campo militare, “l’Artico e il subartico formano un bastione strategico per la deterrenza e la difesa”.

Da Kola, penisola al confine con la Finlandia, alle Isole Diomede, al fianco dell’Alaska, dove Usa e Russia distano pochi chilometri di mare, l’Artico russo si snoda per migliaia di chilometri e incontra centri decisivi; città come Murmansk e Arcangelo, dove arrivavano gli aiuti alleati all’Urss durante la Seconda guerra mondiale, sono assieme a isole come Novaya Zemlya, dove fu testata la più potente bomba termonucleare di sempre sessant’anni fa i simboli di una continuità col passato che oggi la Russia vuole rilanciare per blindare l’Artico. Una mosse che ha l’obbiettivo di interdire a ogni potenza rivale la navigazione nella Rotta Marittima Settentrionale aperta nell’oceano ghiacciato oltre il Circolo Polare.

La Cortina di Ghiaccio

Al contrario dell’Antartide, continente circondato da oceani, l’Artico è un grande mare circondato da terre. Ed è per il controllo delle rotte di accesso a quella che per gli Usa è la Northern Sea Route e per i cinesi la Via della Seta Polare che Mosca ha costruito quella che il Centre for Strategic and International Studies ha definito nel 2021 come “Cortina di Ghiaccio”. La rete, cioè, di installazioni militari, basi, strutture volta a rendere il più impermeabile possibile alle ingerenze esterne il Grande Nord di Mosca.

Il Csis nota che dal 2007 il governo di Vladimir Putin ha provveduto alla “riapertura di 50 postazioni militari dell’era sovietica precedentemente chiuse. Ciò include la ristrutturazione di 13 basi aeree, 10 stazioni radar, 20 avamposti di frontiera e 10 stazioni di soccorso di emergenza integrate. Alle unità delle forze speciali russe fa anche parte una brigata artica le cui truppe sono state schierate nella regione per esercitazioni e addestramento”. Nell’Artico dove fu testata la “Bomba Zar” sono oggi organizzati i lanci di missili da crociera ipersonici che secondo il Washington Examiner potrebbero avere nella regione la loro migliore via di avvicinamento agli States e sono testati droni sottomarini a propulsione nucleare.

La Russia si sta blindando nell'Artico per mettere in campo una catena di basi destinate a controllare l'intera regione
Una delle basi riattivate dalla russia (Foto: EPA/VADIM SAVITSKY/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY)

Radar, caccia, missili: le forze di interdizione

In caso di conflitto con i Paesi Nato le strutture della “Cortina di Ghiaccio” si attiverebbero con forza. Negli ultimi anni lungo la penisola di Kola e il distretto di Nenets, e fino all’isola di Novaya Zemlya, vicino ai confini con la Norvegia, è stata sviluppata la rete di osservazione di cinque basi radar Rezonans-N con capacità di rilevare caccia stealth fino a 600 km di distanza, in grado di intercettare anche eventuali F-35 in decollo dalla Norvegia o, in futuro, dalla Finlandia. I radar russi sono progettati con rivestimenti antigelo tali da farli sopravvivere in operatività anche di fronte alle temperature glaciali del Grande Nord.

Il governo russo ha anche potenziato la capacità di deterrenza aerea diretta. Le basi aeree di Nagurskoye, vicino alle Svalbard e a metà strada tra Siberia e Groelandia, e Temp, che è a mezza via tra Arcangelo e l’Alaska, sono attrezzate per poter ricevere tutto l’anno cacciabombardieri Mig-31 operativi in continuità alla base di Rogachevo, su Novaya Zemlya, la maggiore isola dell’Artico russo. Spazio anche ai sistemi missilistici S-400 nella base aerea di Tiksi nella Russia centro-orientale. 

Sottomarini e rompighiaccio “riscaldano” il Grande Nord

C’è poi la questione delle forze marittime. I battelli della classe Sierra II, uno dei sottomarini d’attacco rapido più efficaci a disposizione della Russia, sono schierati nelle basi diffuse sui 25mila chilometri di coste tra cui spiccano Severomorsk-1 (Penisola di Kola) e Vidayevo. Dai classe Borel ai Kilo, dagli Oscar ai Victor, un’ampia gamma di battelli completa la disposizione: sottomarini d’attacco nucleari, sottomarini tradizionali e lancia-missili balistici consentono alla Russia di militarizzare gli abissi a piena forza. Dalle fregate classe Gorshkov ai cacciatorpediniere classe Ulyanov, molte unità sono state distaccate per operare nel Mediterraneo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Ma la flotta è pienamente capace di operare e vanta, ricorda il Csis, un asset decisivo: la più grande flotta al mondo di rompighiaccio, forte di 40 vascelli: “I rompighiaccio svolgono un ruolo cruciale non solo nel proteggere la costa russa, ma anche nel promuovere e osservare il commercio marittimo attraverso la rotta marittima artica”, che secondo il libro bianco russo per l’Artico rappresentano un obiettivo duale e convergente per assicurare il dominio nella regione. E proprio “la flotta rompighiaccio incarna la dualità della presenza militare della Russia, liberando il passaggio per navi militari e commerciali e fungendo da piattaforma scientifica mobile quando necessario. Alcuni rompighiaccio russi sono anche armati con missili da crociera Kalibr e sistemi di guerra elettronica”.

Nell’Artico non si dominerà il mondo né si metteranno in campo scenari decisivi in caso di una guerra. Ma poter decidere chi passerà e chi no nell’Oceano che si preannuncia essere, per cambiamenti climatici e apertura delle rotte del futuro, un teatro in divenire per i commerci e la competizione geopolitica alzerebbe indubbiamente il prestigio della Russia. Aprendo lo spazio per una territorializzazione di fatto degli spazi oceanici con un mix di penetrazione economica e controllo militare e fornendo istruzioni a chi (un esempio su tutti: la Cina nel Mar Cinese Meridionale) potrebbe replicare in teatri più caldi lo stesso approccio. E la prospettiva dell’emulazione è la più complessa quando si analizzano gli scenari geopolitici del Grande Nord. Importanti anche come monito per altri fronti di competizione tra le potenze.

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