Organizzare in forma sistemica gli invii di armi all’Ucraina, mettere nero su bianco l’obiettivo di portare Kiev alla vittoria, ribadire l’unità di un “campo largo” occidentale contro la Russia: sono questi gli obiettivi della riunione convocata nella giornata del 26 aprile dagli Stati Uniti nella base tedesca di Ramstein, tra le più importanti in Europa, per costituire la personale “coalizione dei volenterosi” di Joe Biden. Ovvero l’asse tra i Paesi che desiderano armare l’Ucraina e opporre una strategia comune all’aggressione di Mosca contro Kiev.

C’è la certezza che l’Ucraina, se aiutata a resistere, possa arrivare a vincere la guerra. Gli Stati Uniti credono che Kiev ce la possa fare “se ha l’attrezzatura giusta, il sostegno giusto” e vogliono vedere la Russia “indebolita” al punto che non possa lanciare nuove guerre: a dirlo è l’uomo chiave del momento, il segretario alla Difesa Lloyd Austin. Fautore di una linea cauta, ha mediato con la forza della linea antirussa del collega del dipartimento di Stato Tony Blinken, con il quale ha visitato Volodymyr Zelensky a Kiev, e ha fissato precise linee. Da un lato, no all’invio di determinati tipi di armi, come i caccia, dall’altro sì alla volontà di fermare Mosca sul campo. Il primo segretario alla Difesa afroamericana ha delineato quella che è già stata ribattezzata dal suo nome “dottrina Austin”, fissando l’obiettivo strategico degli Usa nel conflitto ucraino, ossia sconfiggere Vladimir Putin e ridimensionare la sua macchina da guerra.

Di questo si parlerà a Ramstein. Ove converranno i membri dei più stretti alleati Nato e non solo. Sono oltre venti i Paesi partecipanti secondo quanto filtrato dalle agenzie, ma Breaking Defense porta il loro numero a quarantatre anticipando documenti consultati in esclusiva: a tutte le nazioni Nato si aggiungono almeno quattordici partner esterni all’Alleanza Atlantica. L’Ucraina, in primis, ma anche Svezia e Finlandia, in predicato di unirsi alla Nato. Cui si aggiunge il quartetto del Pacifico: Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e, ovviamente, Australia. Tre le nazioni mediorientali: Israele, a cui per occasioni del genere nonostante la linea prudente l’invito non è mai negato, la Giordania bastione Usa ai confini della Siria filorussa e il Qatar, nuovo cavallo di battaglia dell’amministrazione Biden nel Golfo dopo i chiari di luna con l’Arabia Saudita. Infine, quattro nazioni africane: Kenya e Liberia, fidatissimi alleati Usa, ma anche Marocco e Tunisia, come a mettere pressione all’Algeria terza acquirente di armi russe al mondo.

In cattedra alla riunione ci sarà il gotha del mondo militare Usa e ucraino. Oleksii Reznikov, ministro della Difesa di Kiev, e Austin apriranno le danze del meeting; quello che il portavoce del Pentagono John Kirby ha definito come “Ukraine Defense Consultative Group” proseguirà con un intervento del capo del Joint Chief of Staff Mark Milley sulla situazione nel fronte est e con uno del comandante Usa in Europa Tod Wolters sulle richieste di armi ucraine. Siamo certi che in tal senso i servizi segreti occidentali, specie quelli dell’Anglosfera, siano in prima linea a misurare le necessità delle forze armate ucraine.

L’obiettivo è convincere la maggior parte delle nazioni convenute a sottoscrivere piani comuni di forniture di armi all’Ucraina e di concentrare le strategie che stanno per ora consentendo di fornire mezzi sempre più pesanti a Kiev. Sono di un valore di oltre 6,25 miliardi di dollari le forniture compiute finora. Ma il Pentagono sottolinea nei suoi comunicati che l’occasione sarà anche quella di discutere sul futuro degli Usa e della sua rete di alleanze con “una più larga visione delle sue esigenze difensive, andando oltre la guerra in corso”. Al meeting, a cui per l’Italia ci sarà il titolare della Difesa Lorenzo Guerini, si parlerà dunque di una vera e propria “coalizione dei volenterosi” che appare una sorta di Nato parallela di portata globale. Logico pensare che alcuni Paesi, come Israele e Qatar, non aderiranno al contrasto duro e puro a Mosca, ma anche che per capire la ratio del summit bisogna analizzare gli assenti, oltre che i presenti. Manca, come detto, l’Arabia Saudita e manca anche l’Egitto. Mancano India e Pakistan, oltre a tutti i Paesi Asean; mancano i Paesi latinoamericani più vicini a Washington, dal Messico alla Colombia, manca il Sudafrica e un Paese strategico come gli Emirati Arabi. Insomma, questi Stati indicati sono ritenuti o non utili alla causa o lontani oramai dall’influenza di Washington sul tema della condotta da tenere nel conflitto.

Quel che è certo è che chi promuoverà, dopo questa riunione, una strategia di netto contrasto alla Russia saprà che Ramstein è un vero e proprio “anno zero” delle relazioni tra la Russia e il campo occidentale. Per la prima volta si metterà nero su bianco l’idea della guerra asimmetrica e si valorizzerà la strategia promossa innanzitutto da Polonia Regno Unito volta a battere Mosca sul campo grazie all’esercito ucraino. La strada per l’escalation è dunque tracciata, per quanto governata dall’effetto moderatore di Austin su Blinken. E sarà anche un passaggio cruciale per capire quanto l’Occidente avrà intenzione di far durare a lungo la guerra e porre fine a ogni speranza di colloquio già tramontata dopo il rilancio delle offensive russe. Mentre per l’Ucraina si tratta di una vittoria, vista l’ampiezza della solidarietà ottenuta da Zelensky e dal suo governo. Ma la lista degli assenti parla chiaro: il mondo non è ancora pronto a dividersi tra pro-russi e anti-russi. E questo gli Usa dovrebbero tenerlo in conto nel programmare le prossime mosse di una strategia di contrasto che può avere impatti pesanti sul loro rapporto col resto del mondo. Non sempre disposto a guardar di buon occhio l’Occidente.

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