Quando si parla di armi e mezzi al fronte, i due temi principali di cui si discute sono il ruolo che questi strumenti possono avere nel conflitto e il loro peso dal punto di vista della diplomazia. Ma nella guerra in Ucraina, la quantità e la qualità delle armi richieste e usate da Kiev e quelle fabbricate e utilizzate da Mosca sono tali da far sì che vi sia un altro elemento da tenere in considerazione: e cioè l’impatto che questo conflitto ha avuto e può avere sull’industria bellica.
Dal punto di vista economico, è chiaro che l’aumento della domanda di armi per l’invasione russa ha innescato un meccanismo di guadagno da parte delle aziende produttrici. Questo è un tema che risulta connaturato al fatto che vi sia stato un picco nella domanda di armi, mezzi e munizioni. Ma la guerra in Ucraina, per l’industria della difesa, è soprattutto una sfida: si è trattato infatti di reagire non solo all’aumento degli ordini, ma anche a come gestire il rispetto delle consegne dei vari clienti, a come rimpiazzare negli arsenali occidentali le armi o i mezzi inviati a Kiev e soprattutto di come controllare l’intera catena logistica già messo sotto pressione per altri ostacoli globali.
Se infatti da anni si assiste, a livello globale, a un aumento della produzione di armi e soprattutto a un riarmo che indica che diversi Paesi stanno aumentando la propria capacità militare e modernizzando le proprie forze, il conflitto russo-ucraino arriva dopo un periodo pandemico in cui la catena di approvvigionamento di materie prime e prodotti lavorati o semilavorati si è spesso inceppata, o comunque rallentata. Questo quindi ha comportato due condizioni di partenza già difficoltose: problemi nel rifornimento dei materiali (in particolare di materie prime e semiconduttori) e una quantità di ordini già avviati e che dovevano essere necessariamente rispettati.
La duplice sfida dell’industria bellica
La guerra ha comportato poi non solo un’impennata della domanda, ma ha anche costretto molto spesso a rimodulare l’offerta dell’industria bellica a seconda delle rinnovate esigenze del mercato delle armi. Lo spiega la Repubblica in un’interessante analisi. “Nel 2021 la richiesta era concentrata su sistemi hi-tech: aerei da combattimento, elicotteri, fregate, sottomarini” scrive Floriana Bulfon, “la guerra in Ucraina ha cambiato le priorità: si cercano cannoni, droni, mezzi corazzati e soprattutto munizioni”. Questo cambiamento nella richiesta da parte dei Paesi implica una duplice sfida.
Da un lato c’è un problema di un’industria che si è ritrovata sotto pressione in modo repentino e spesso senza adeguate coperture di materie prime e di manodopera. Inoltre, c’è anche un problema legato al fatto che non tutti i Paesi che hanno le capacità industriali per produrre armi sono ora in grado di produrre quanto richiesto. E questo proprio perché il mercato, finora, ha avuto un altro tipo di domanda. L’Europa appare in ritardo in diversi segmenti fondamentale delle varie difese. Altri Paesi si sono attrezzati in tempo riuscendo a colmare solo in parte le richieste del mercato, con un cambiamento fondamentale anche nella stessa geografia delle partnership e dei flussi finanziari.
Se questo era lo stato all’inizio del flusso di armi verso l’Ucraina, il sostegno reso ancora più evidente attraverso l’ok alla cessione di tank, sistemi lanciamissili, antiaerei e mezzi è possibile che provochi un nuovo cambio di passo già quest’anno. Perché non c’è solo necessità di rifornire Kiev, ma, come detto, anche di colmare il vuoto lasciato (o che sarà lasciato) negli arsenali occidentali. I Paesi occidentali, infatti, hanno già fatto capire di dovere necessariamente evitare di rimanere indeboliti dalla vendita di tank e missili, e, in attesa di capire se mai si sbloccherà la partita degli F-16, intanto molti hanno già fatto comprendere di volere rimpiazzare armi e mezzi inviati in Ucraina con elementi nuovi e tecnologicamente avanzati. Quindi che devono essere prodotti.
Le ripercussioni della guerra in Ucraina
Su questo punto, la guerra in Ucraina può innescare altri processi da tenere in considerazione. Il primo riguarda il livello prettamente legato alla produzione. L’interruzione dei rapporti economici con la Russia e le sanzioni per chi opera con essa costituiscono ostacoli quasi insormontabili al flusso di materie prime provenienti dal territorio di Mosca. Questione cui si aggiunge anche il dato dell’aumento esponenziale di produzione di armi e mezzi militari da parte della Russia per far fronte alle esigenze dell’invasione, e che potrebbe quindi comportare un’ulteriore diminuzione della quantità disponibile nel mercato.
Lo spiega un rapporto del Sipri, che sottolinea (citato da Deutsche Welle), come questo “potrebbe ostacolare gli sforzi in corso negli Stati Uniti e in Europa per rafforzare le proprie forze armate e ricostituire le scorte dopo aver inviato miliardi di dollari di munizioni e altre attrezzature in Ucraina”. Naturalmente è una situazione che vale anche per il Cremlino, che ora deve fare i conti con il blocco da parte dell’Occidente, con aziende internazionali preoccupate dalle sanzioni occidentali e soprattutto con il rischio che molte materie prime e molti elementi fondamentali per la produzione siano destinati ad altri clienti.
Oltre a questo, la produzione aumentata per l’inizio della guerra ha già fatto capire i gravi problemi legati alla catena logistica nella produzione delle armi, con la conseguenza che accorciarla porterà inevitabilmente a un costo in termini economici e di distribuzione della manodopera. Il Financial Times, in un’inchiesta sull’effetto della guerra per l’industria bellica americana, oltre a descrivere il boom di introiti legato alle vendite, segnala un dato su cui vale la pena riflettere: quello della rete di imprese piccole, medie e grandi che collaborano nell’assemblaggio di una sola arma. L’esempio citato dal quotidiano finanziario è quello di Himars, Gmlrs e Javelin: i primi due assemblati in 141 diverse città degli Stati Uniti, mentre i Javelin addirittura realizzati in 16 stati diversi.
Il secondo processo che potrebbe innescarsi con il conflitto ucraino è invece legato alle modifiche delle esigenze di tutti i Paesi, non solo occidentali, per il prossimo futuro. Il confronto diretto tra sistemi e armi del blocco Nato e quelli prodotti dall’industria russa rappresenta, infatti, un enorme test in grado di poter dare indicazioni molto precise sull’efficacia di certi elementi. L’industria bellica non deve pertanto solo rispondere alla domanda di ora, ma anche rimodularsi in base alle esigenze future, dal momento che la guerra in Ucraina, oltre a sconvolgere il panorama politico, può certamente influire sul modo in cui sono valutate l’importanza di certe commesse e la loro utilità. Inoltre, la natura del conflitto e le reazioni innescate a livello politico possono anche far perdere appeal a certi sistemi o alcuni prodotti di determinate industrie belliche, rischiando quindi di far deviare alcuni investimenti su altri fronti in base alla natura degli scenari che vengono realizzati da strateghi militari e politici.