La Russia starebbe avviando la produzione su licenza droni iraniani in una fabbrica del Tatarstan precedentemente adibita alla costruzione di macchinari e tecnologie per il settore agricolo. Lo rivela il Financial Times individuando l’impianto dell’azienda Albatross nella zona di Yelabuga, dopo un’inchiesta condotta assieme a Airwars, come il centro in cui i droni di Teheran sono sviluppati nella Federazione Russa.
Si parla di un caso classico di trasferimento di tecnologia che sicuramente mostra l’avanzamento della partnership politico-economica tra i due Paesi e che potrebbe portare a droni Shahed, utilizzati in sciami “kamikaze” nella guerra in Ucraina, realizzati sul suolo russo. Il Ft non cita come confermate le prove di produzione dei droni iraniani forniti in gran numero a Mosca, ma parla di una possibile riconversione in atto: “Albatross”, ha scritto la testata della City di Londra, “si è descritta come un produttore di droni commerciali per scopi agricoli e di mappatura. Ma Ilya Voronkov, co-fondatore dell’azienda, ha ammesso in interviste di fornire i militari. Ha anche confermato l’acquisto di fibra di carbonio da Alabuga-Fiber, una societĂ del Tatarstan che è stata successivamente colpita da sanzioni dagli Stati Uniti per il suo ruolo nei programmi militari della Russia”. E per il Ft la produzione degli Shahed, qualora non fosse giĂ iniziata, potrebbe partire a inizio 2024.
Yelabuga si trova sul Volga e la comunicazione con l’Iran è possibile via barca attraverso il Mar Caspio, lontano da sguardi indiscreti e al sicuro da infiltrazioni e ricognizioni di sorta. Secondo i report, due terzi della componentistica utilizzata da Albatross sarebbero russi e i rimanenti cinesi. L’Iran punta fortemente sulla vendita delle licenze per il fiore all’occhiello del suo comparto militare e sul fronte dei droni da guerra ha giĂ avviato una produzione all’estero di un modello diverso, l’Ababil-2, che nel 2022 ha iniziato a costruire anche in Tagikistan. Chiaramente un impianto di produzione in Russia avrebbe un peso industriale, militare e strategico ben diverso. Ma mostrerebbe anche una sostanziale fragilitĂ della Russia.
Costruire lo Shahed su licenza segnalerebbe una sostanziale vulnerabilitĂ di Mosca che abdicherebbe alla volontĂ di ricercare con tecnologia propria un dispositivo chiave per lo sviluppo della supremazia sui campi di battaglia e mostrerebbe dunque una sostanziale vulnerabilitĂ in un settore come quello della ricerca militare, tradizionale fiore all’occhiello industriale del Paese. Ma al contempo la riconversione in periferia dalla produzione di assetti civili a un sistema militare segnalerebbe capacitĂ di riallineamento produttivo che possono spiegare come la Russia, pur con una crisi economica mordente e la stretta delle sanzioni, stia riuscendo a mandare copiose risorse alle sue truppe sul fronte in Ucraina, reggendo l’ondata di armi inviate dagli occidentali a Kiev.
Paesi come Stati Uniti e Israele, al contempo, possono studiare con attenzione le novitĂ che queste mosse implicano sul fronte iraniano, dato che la resilienza di Teheran nel programmare l’espansione della sua produzione militare non era prevedibile fino a poco tempo fa. Il “laboratorio” del Tatarstan, a pochi chilometri dal cuore hi-tech della Russia sito a Kazan, è dunque da monitorare con attenzione.