La Germania con l’inizio del conflitto in Ucraina e l’arrivo del socialdemocratico Olaf Scholz al Bundestag dopo le elezioni dello scorso anno, ha cambiato radicalmente la sua politica di Difesa.
Dal punto di vista dottrinale abbiamo già evidenziato come Berlino stia spostando l’attenzione verso un possibile conflitto allargato in Europa, in particolare le sue Forze Armate dovranno essere attrezzate a combattere contro la Russia, come emerso da un documento riservato pubblicato poco tempo fa da Der Spiegel. Questo cambio porta con sé anche la riduzione significativa della disponibilità tedesca a effettuare missioni all’estero: un fattore molto importante per le operazioni fuori area dell’Alleanza Atlantica ma anche dell’Unione Europea, che, come sappiamo, è coinvolta in una serie di missioni per la stabilizzazione del continente africano, ovvero in quello che rappresenta il Fronte Sud della Nato e che rientra nella visione strategica e di sicurezza italiana che prende il nome di Mediterraneo Allargato.
Il segnale però più evidente e incisivo di questo cambio di passo della politica tedesca è rappresentato dal cospicuo stanziamento di denaro per la Difesa: 100 miliardi di euro per rinnovare le Bundeswehr, rimediare a decenni di abbandono e ripristinare l’efficienza della rete logistica, che, come anche la guerra in Ucraina sta dimostrando, è fondamentale per la condotta vittoriosa delle operazioni.
Un riarmo tedesco che però guarda poco a quanto si produce in Europa. Berlino sta “facendo la spesa” oltre Atlantico acquistando prodotti off-the-shelf, ovvero “dallo scaffale” e nel contempo si sta dimostrando sempre più titubante a proseguire alcuni importanti programmi congiunti europei, anche per via della partnership non proprio idilliaca con la Francia, che soprattutto per quanto riguarda il nuovo velivolo di sesta generazione, lo Scaf (Système de Combat Aérien du Futur), si dimostra molto poco incline a venire incontro alle esigenze tedesche (e spagnole) riguardanti requisiti di sistema e ripartizione industriale. La stessa difficoltà è stata ritrovata dai tedeschi anche nel progetto del nuovo Mbt (Main Battle Tank), l’Mgcs (Main Ground Combat System), afflitto da “differenze dottrinali” e da differenti visioni per la “parte industriale”. Berlino, da quest’ultimo punto di vista, potrebbe decidere di “fare da sé” avendo una lunga tradizione di efficienti Mbt – e avendo già presentato un dimostratore di un carro pesante, il KF-51 “Panther”.
Oltre ai pattugliatori marittimi P-8 Poseidon fabbricati dalla Boeing, la Germania ha inoltre deciso di acquistare il caccia F-35, prodotto da Lockheed-Martin, per sostituire la sua linea da attacco al suolo in rapido invecchiamento costituita dai Panavia Tornado: il velivolo è in dotazione anche ad altre forze aeree europee, come quelle italiane, ma la decisione potrebbe porre una pietra tombale sul programma Scaf e soprattutto dimostra, una volta di più, la volontà tedesca di comprare made in Usa. Prima di questa decisione, infatti, il Bundestag aveva ventilato la possibilità di dotarsi di un mix composto da Eurofighter Typhoon ed F/A-18 “Super Hornet”. Il cacciabombardiere americano sarebbe stato fornito anche nella versione da guerra elettronica (EA-18 “Growler”) ma non avrebbe avuto la possibilità di attacco nucleare, fattore che molto probabilmente ha spinto Berlino a optare per l’F-35.
La tendenza ad acquistare armamenti negli Stati Uniti è diffusa in Europa, soprattutto tra gli ultimi arrivati nell’Alleanza Atlantica: la Polonia è uno dei maggiori acquirenti di armi costruite oltre Atlantico, anche per una questione di “captatio benevolentiae” verso Washington al fine di aumentare la presenza statunitense sul proprio territorio e, possibilmente, partecipare alla condivisione dell’arsenale nucleare tattico della Nato.
Una tendenza che, però, è come un lungo sorso di veleno per l’industria bellica europea, già provata da anni di sottofinanziamenti e politiche ambigue, che hanno prodotto ad esempio, per tornare alla questione cacciabombardieri, due progetti per velivoli di sesta generazione. Del resto, va detto, mettere d’accordo tutti è sempre difficile, soprattutto quando per certe decisioni – e qui passiamo alla politica estera – occorre l’unanimità.
Questa pioggia di soldi al comparto difesa tedesco voluta dal Bundestag sta però alterando gli equilibri all’interno dell’Unione Europea, e in prospettiva – come vedremo – lo farà anche nella Nato. Berlino, ora, può fare la “voce grossa” con Parigi, che sino a oggi ha sempre avuto il ruolo di leader della Difesa Ue (da quando gli inglesi ne sono usciti) pregustando di poter quindi indirizzare la politica estera dell’Unione, come ha cercato di fare con Task Force Takuba (da cui, peraltro, stanno scappando quasi tutti).
Il primo accenno di questo nuovo atteggiamento tedesco è proprio riscontrabile nei recenti sviluppi dello Scaf e del Mgcs che abbiamo già avuto modo di citare. Se, poi, esercito europeo sarà – come da Bussola Strategica – la Germania una volta che avrà forze armate di livello concentrate principalmente sulle operazioni terrestri, conseguenzialmente otterrà più peso politico all’interno di un’Unione, che guarda con molta più preoccupazione al Fronte Est che al Fronte Sud, dove, come detto, ci sono i nostri interessi e quelli di Francia e Spagna. Più peso politico significa poter indirizzare fondi, stabilire priorità e tutto quanto ne consegue.
La stessa dinamica la si ritroverà all’interno della Nato, ma con l’aggravante della presenza più incisiva di Polonia, Paesi Baltici e dei (futuri) nuovi arrivati rappresentati da Svezia e Finlandia, che sentono come unica minaccia la presenza ingombrante della Russia. L’attenzione verso il Mediterraneo e il Nord Africa giù sino al Sahel, rischia quindi di venire ulteriormente compromessa a nostro discapito, e proprio uno degli scandinavi ha già fatto capire che di quel fronte gli interessa relativamente poco: Stoccolma, che avrebbe dovuto comandare Task Force Takuba all’inizio di quest’anno, ha rinunciato al comando e all’intera partecipazione all’operazione voluta da Parigi.
Da queste colonne avevamo già affermato, in tempi non sospetti, che il pericolo maggiore per gli equilibri di potere all’interno dell’Europa era dato dalla possibile decisione di Berlino di adeguarsi alle disposizioni emerse durante il vertice Nato in Galles del 2014 riguardanti l’aumento del Pil per la Difesa al 2%: ora che il Bundestag si sta muovendo anche verso la possibilità concreta di superare quella soglia, si stanno avverando quelli che allora erano solo timori.