Qualcosa non quadra nella strana storia della Xelo, la petroliera affondata al largo di Gabes, nella Tunisia meridionale. Da semplice incidente marittimo per il maltempo, a potenziale disastro ambientale, fino al sospetto traffico di carburante clandestino con annesso intrigo internazionale che tocca Libia, Malta, Tunisia, Italia, Turchia, Camerun e Guinea Equatoriale. Ma andiamo per ordine.

Nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 aprile, il comandante della nave – apparentemente battente bandiera della Guinea Equatoriale – lancia il Mayday: le condizioni meteo sono difficili ma non proibitive, c’è un forte vento di Grecale che soffia in direzione sud-ovest, e la nave si inabissa su un fondale di 15 metri, a circa 3 miglia nautiche dalla costa nordafricana. Il ministero dei Trasporti tunisino riferisce che a bordo vi sono ben 750 mila litri di diesel. E scatta subito l’allarme. Il governo aziona il piano nazionale di protezione ambientale e chiede aiuto alla Difesa italiana, che manda sul posto il pattugliatore Vega con a bordo il team operativo subacquei del Comsubin. Dopo quattro giorni, il ministero dell’Ambiente fa sapere che la stiva era vuota e che non c’è nessuna catastrofe ecologica. Falso allarme, dunque, ma che cosa ha indotto le autoritĂ  tunisine all’errore (se di errore effettivamente si tratta)?

I dubbi nella rotta

Il sito web tunisino Business news ha provato a mettere insieme i dati dell’Automatic Vessel Identification System (Ais), il sistema di tracciamento a corto raggio anti-collisione. La petroliera lascia Malta il 29 marzo 2022, impostando come rotta Damietta, in Egitto, dove però non arriva mai. La Xelo attracca invece a Sfax, in Tunisia, il 2 aprile alle 9:44. Due giorni dopo, il 4 aprile, la nave lascia il porto tunisino alle 10:38, facendo poi perdere le sue tracce. L’ultima posizione risale all’8 aprile sempre davanti a Sfax.

Poi il trasponder viene staccato. Il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandurra ha ricostruito su Twitter la rotta tracciabile della Xelo, smentendo di fatto che la petroliera si sia recata in Egitto. L’Agenzia Nova riferisce che l’autorità portuale di Damietta ha ufficialmente negato che la Xelo abbia attraccato nello scalo egiziano. C’è dunque un buco temporale di diversi giorni prima dell’affondamento: perché? L’ipotesi più plausibile è che la nave abbia smesso di segnalare la propria posizine per compiere un allibo di nafta clandestina libica in mare.

La bandiera illegale

Come rivelato da Scandurra, la Xelo presenta delle difformità relative alla bandiera e al nome dell’imbarcazione. Sul sito web di tracciamento delle navi Marinetraffic, infatti, si chiama Liman e batte bandiera del Camerun, mentre su Vesselfinder si chiama Xelo con bandiera della Guinea Equadoriale. Eppure, la scheda della nave sul sito web dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo) presenta come bandiera attuale quella del Camerun.

Costruita nel 1977, fino alla metà dello scorso anno la petroliera navigava con il vessillo della Russia e risulta oggi di proprietà della Star Energy Inc di Istanbul, Turchia. Sul caso è intervenuto anche il vicepresidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Ngwama Obiang Mang, il quale ha ritirato la licenza a 395 navi battenti “illegalmente” il vessillo del suo Paese. “Abbiamo lanciato un piano per risolvere il problema ed evitarlo in futuro. La bandiera della Guinea Equatoriale non può essere un simbolo di frode internazionale”, ha affermato il vicepresidente.

Traffico di carburante

Secondo Emadeddin Badi, analista libico del Global Initiative Against Transnational Organized Crime, organizzazione internazionale non governativa con sede a Ginevra, ci sono “forti sospetti” che la petroliera Xelo fosse coinvolta nel contrabbando di carburante tra la Libia e Malta. “I dati marittimi indicano che la storia ufficiale è discutibile, convalidando la teoria del contrabbando”, scrive Badi su Twitter, ipotizzando un possibile coinvolgimento dei contrabbandieri attivi lunga la costa occidentale libica legati al trafficante Ben Khalifa.

Intanto l’equipaggio è finito in carcere su ordine del gip di Gabes, secondo quanto riferito dal portavoce del Tribunale di primo grado, Mohamed Al Karay, senza fornire tante spiegazioni. Il caso ha creato profondo imbarazzo in Tunisia, scatenando una vera e propria faida tra ministeri, ma anche in Europa: in quel tratto di mare, infatti, dovrebbe essere attiva una certa una missione aeronavale incaricata di monitorare (con pochi mezzi a disposizione) l’embargo Onu sulla armi in Libia e impedire il traffico illegale di idrocarburi.

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