Il contesto del conflitto in Ucraina è profondamente mutato dopo il discorso alla nazione del presidente russo Vladimir Putin. A cambiare le “regole del gioco” non è stata tanto la mobilitazione parziale dei riservisti, e nemmeno, in ultima analisi, la minaccia del ricorso alle armi nucleari (che sarebbero tattiche), in quanto più volte reiterata dal Cremlino nel corso del conflitto.
Il ruolo dei referendum
Quello che ha cambiato, o per meglio dire cambierà, l’equilibrio del conflitto portandolo a un livello di tensione superiore è l’annuncio di referendum per l’annessione alla Federazione Russa nei territori occupati dall’esercito di Mosca: le repubbliche separatiste del Donbass, Kherson e Zaporizhzhia diventeranno parte integrante della Russia – stante l’esito scontato della consultazione popolare – determinando così un fondamentale passaggio in ambito legale che permetterà a Mosca di impegnare qualsiasi forza disponibile per la loro difesa in caso di attacco ucraino.
Ciò significa, considerando la dottrina d’impiego russa delle armi atomiche recentemente aggiornata dal Cremlino, che in caso di “minaccia vitale” all’integrità della Federazione, Mosca potrebbe ricorrere a un primo attacco nucleare tattico come ultima ratio, che, possiamo dirlo con elevata certezza, sarebbe un singolo colpo per avere parimenti eguale effetto dimostrativo e operativo.
Andando a leggere il nuovo documento russo che regola l’uso di armamenti atomici, è interessante ai nostri fini ricordare l’articolo 17 comma D, che sostiene la possibilità di utilizzare ordigni atomici qualora avvenga un’aggressione alla Federazione Russa con l’uso di armi convenzionali quando l’esistenza stessa dello Stato è minacciata. Questo passaggio risulta alquanto aleatorio, in quanto non è possibile definire con esattezza il grado di minaccia per l’esistenza dello Stato: la perdita del Donbass o della Crimea sarebbe vista come minaccia esistenziale? Probabilmente sì, ma non ne abbiamo la certezza in quanto si tratta di meccanismi non automatici soggetti all’interpretazione della politica di governo.
Inoltre, nell’articolo 4, si afferma che la politica statale in materia di deterrenza nucleare è di natura difensiva, e garantisce la tutela della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato, scoraggiando un potenziale avversario dall’aggressione contro la Federazione Russa e, in caso di conflitto militare, impedendo l’escalation delle ostilità e la loro fine a condizioni accettabili per la Federazione Russa. Anche qui ricorre una certa incertezza, sebbene sia chiaro che il ricorso al nucleare tattico possa essere preso in considerazione per evitare la perdita di territorio russo, il quale sarebbe esteso a Donbass, Kherson e Zaporizhzhia dopo il referendum.
Bisogna anche considerare che la Russia è storicamente più “flessibile” rispetto all’uso del nucleare tattico rispetto agli Stati Uniti, i quali culturalmente lo vedono come una soglia che, una volta oltrepassata, porta inevitabilmente all’escalation atomica strategica, punto di vista che invece non è contemplato né dalla politica né dai militari russi. Lo scenario però, nonostante la postura russa, potrebbe effettivamente precipitare.
Il problema della risposta Nato
Se infatti Mosca dovesse decidere per un primo uso di un ordigno atomico tattico, la Nato si troverebbe davanti a un dilemma non indifferente: rispondere con una reazione “uguale e contraria” oppure limitarsi all’azione nel campo della diplomazia internazionale con l’aggiunta di maggior sostegno militare a Kiev?
Premesso che la Russia alzando l’asticella dello scontro sino al livello nucleare ne verrebbe ritenuta unica responsabile agli occhi del mondo e quindi quasi istantaneamente otterrebbe il risultato di essere ancora più isolata in ambito internazionale, possibilmente mettendo a dura prova anche l’amicizia con la Cina – che più volte ha dimostrato di mal sopportare il conflitto in Ucraina – o il partenariato commerciale con l’India, ora più che mai vitale, il rischio per la Nato (e quindi nella fattispecie gli Stati Uniti) è insito nel dare una risposta che da altri attori internazionali verrebbe letta come debole, quindi sdoganando l’uso di armi nucleari.
Se infatti l’Alleanza Atlantica, in quella situazione, non dovesse optare per una contromossa di pari intensità, è molto probabile che altre potenze atomiche regionali, molto meno responsabili nel “maneggio” di armi nucleari come lo sono Russia e Stati Uniti, possano decidere di risolvere le proprie controversie locali ricorrendo all’atomica. La Corea del Nord, ad esempio, che recentemente ha ribadito di non voler rinunciare al suo per il momento piccolo arsenale nucleare, potrebbe cogliere l’occasione di assestare un colpo mortale su Seul, magari mettendo in scena un false flag di qualche tipo come pretesto. Pakistan e India potrebbero decidere di regolare i propri conti in sospeso per il Kashmir ritenendo che il meccanismo di deterrenza che regola l’uso di armi nucleari sia profondamente mutato nel contesto internazionale, essendoci stato un precedente.
Vogliamo essere molto chiari: stiamo dipingendo il peggiore tra tutti i possibili scenari, ma è qualcosa che in analisi e predizione/previsione del rischio si deve tenere in considerazione. Del resto c’è stato almeno un precedente, se pur di ordine di grandezza molto inferiore: il frettoloso ritiro statunitense dall’Afghanistan ha sollevato molti dubbi, in Estremo Oriente, sulla reale intenzione di Washington di ergersi a difesa di Taiwan oppure dello stesso Giappone. Senza considerare che lo stesso meccanismo si è visto anche più di recente e proprio nell’intorno russo: il rifiuto di Mosca di intervenire per porre fine ai recenti attacchi azeri in Nagorno Karabakh come richiesto dall’Armenia secondo i principi del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) ha portato con sé la definitiva decisione del Kazakistan di uscire dallo stesso a partire dal 2023.
Ripetiamo, ancora una volta, che l’uso di armamento nucleare tattico da parte della Russia in caso di attacco ucraino alla Federazione (anche estesa al Donbass o altre regioni) non è un meccanismo automatico: Mosca userebbe l’atomica come ultima ratio preferendo aumentare il coinvolgimento delle sue forze convenzionali, quindi mobilitando ulteriormente la popolazione, ma nella sua dottrina di impiego vi è questa possibilità come abbiamo visto, e non è detto che un ipotetico successore del presidente Putin dimostri di avere un’indole “più pacifica”.