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Recenti immagini satellitari hanno mostrato rapidi sviluppi nei lavori di costruzione dei tre presunti campi di silos di lancio per missili balistici in Cina, evidenziando i notevoli sforzi che Pechino sta mettendo in atto nello sviluppo delle sue capacità nucleari.

Una crescita senza precedenti

Gli esperti della Federation of American Scientists (Fas), un’organizzazione super partes che si occupa di difesa e sicurezza nazionale, hanno reso noto nel loro ultimo rapporto che quanto sta facendo la Cina è “senza precedenti”. Nel documento si evidenzia come i silos missilistici siano ancora lontani parecchi anni dal diventare pienamente operativi e restano dubbi su come la Cina li armerà e li gestirà. Tuttavia le attività e i progressi cinesi in campo militare stanno allarmando i funzionari statunitensi: il primo allarme era stato dato a fine giugno, quando era stato scoperto il primo campo di silos, successivamente un altro rapporto della Fas, pubblicato a luglio, ne ha mostrato un secondo.

Ad agosto era stato l’ammiraglio Charles Richard, a capo del Comando Strategico degli Stati Uniti, ad affermare che stiamo assistendo a una svolta da parte della Cina nel campo degli armamenti atomici, ma gli allarmi arrivavano da tempo: il primo avviso era giunto dal Bulletin of Atomic Scientist a luglio del 2019, quando in un rapporto si affermava che “la Cina sta continuando il suo programma di modernizzazione dell’arsenale atomico cominciato nel 1980 schierando un numero mai visto prima di armamenti nucleari di diverso tipo”, successivamente la Dia, la Defense Intelligence Agency statunitense, avvisò che all’attuale rateo di produzione Pechino arriverà almeno a raddoppiare il numero delle testate con anche la possibilità di raggiungere le 600 unità entro la fine del prossimo decennio. A settembre dell’anno scorso il Pentagono, nel suo rapporto al Congresso Usa “Military and security developments involving the People’s Republic of China” aveva confermato l’intenzione del Politburo cinese di arrivare a implementare le capacità tecnologiche del suo arsenale nucleare e di raddoppiarne la consistenza entro 10 anni.

Le ultime immagini satellitari giunteci da Maxar Technologies e Planet Labs, analizzate dalla Fas, offrono una visione più dettagliata di tre sospetti campi di silos che portano il loro numero complessivo a circa 300. Sembra quindi che i lavori di costruzione siano la diretta conseguenza, e ne confermano gli allarmi, della nuova politica di riarmo nucleare della Cina.

Cambio di dottrina?

Nuovi silos per nuovi missili quindi. Questo potrebbe significare che Pechino potrebbe presto cambiare la sua dottrina di impiego dell’armamento nucleare. Sino a oggi i vertici militari e politici cinesi sono stati animati dalla convinzione che avere la capacità di effettuare un attacco di ritorsione credibile sia uno strumento di deterrenza sufficiente. Questo trova riflesso in due filosofie che sono alla base della dottrina di impiego delle armi atomiche: il “no first use” ovvero il non ricorre ad un attacco nucleare per primi e la spasmodica ricerca della capacità, per l’arsenale, di sopravvivere al primo colpo avversario.

A sua volta si è stabilita una postura tattica che potremmo definire “di minima allerta”, in quanto le forze nucleari (almeno quelle basate a terra) non hanno le testate montante sui missili in circostanze normali. Secondo Pechino la Cina non intende usare armi atomiche contro nazioni che non ne siano dotate, o in quelle zone definite “denuclearizzate”, e pertanto si impegnano a mantenere una minima capacità di deterrenza in funzione solamente di un contrattacco. Qualora però il proprio arsenale atomico venisse minacciato e colpito da un attacco convenzionale proveniente da un qualsiasi avversario, la Cina si riserverebbe il diritto di utilizzare le proprie armi nucleari in risposta. Questo rappresenta un’importante deroga alla regole del “no first use”.

Oltretutto, con l’avvento di minacce di nuovo tipo come quella cibernetica, la definizione di “primo attacco” sembra sfumarsi: non sappiamo se la Cina, così come la Russia ha recentemente stabilito, possa considerare nell’immediato futuro un attacco cibernetico su vasta scala, o al contrario mirato al suo arsenale, come un primo attacco, e pertanto sentirsi in diritto di usare il suo armamento atomico in risposta. La Cina comunque sembra cambiare molto lentamente la sua dottrina e lo sta facendo anche in funzione del forte miglioramento delle sue capacità di early warning, che la metteranno in grado di effettuare un eventuale lancio su allarme con tutti i rischi di errore del caso.

Riteniamo quindi che un aumento dei silos, in conseguenza di un previsto aumento dei missili, possa mutare la postura cinese che passerebbe da un livello di “minima allerta”, come già spiegato, a uno di “pronto impiego”, ovvero con le testate montate sui vettori nei silos. È altresì molto probabile che l’elevato numero di silos costruiti serva per “dispersione”, in modo da garantire la sopravvivenza in caso di primo attacco avversario (se da sottomarino darebbe una manciata di minuti per poter rispondere). Quindi possiamo ipotizzare che solo una parte dei silos sarebbe effettivamente caricata con un missile, mentre gli altri verrebbero lasciati vuoti a fare da possibile bersaglio non pagante.

Corsa al nucleare

Una cosa è certa: la Cina sta dimostrando di voler aggiornare la sua politica sugli armamenti atomici e il controverso test di un veicolo di rientro orbitale ipersonico lo dimostra. Lo scorso agosto Pechino ha lanciato un vettore orbitale tipo Fobs (Fractional Orbital Bombardment System) con a bordo un veicolo di rientro Hgv (Hypersonic Glide Vehicle). Un sistema di questo tipo è in grado di colpire il suo obiettivo dopo una o più orbite effettuate “in orbita bassa” quindi non violando il Trattato sullo Spazio Esterno (Outer Space Treaty) che vieta il posizionamento in orbita di armi nucleari. Questa modalità, non nuova in quanto risalente alla Guerra Fredda sviluppata però dai sovietici, permetterebbe di effettuare un attacco nucleare eludendo le difese antimissile statunitensi se proveniente dai quadranti meridionali, ad esempio.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha recentemente affermato che il test di agosto è stato di “un veicolo spaziale, non un missile”, ma i dubbi persistono. C’è chi ritiene che l’aumento del numero dei missili (quindi dei silos) non comporterà un cambiamento dottrinale, in quanto la Cina potrebbe solo aver bisogno di un po’ più di assicurazione contro la prospettiva di un primo attacco degli Stati Uniti, ma risulta difficile pensare che le testate vengano tenute smontate dai vettori per una potenza che vuole diventare un attore militare di portata globale: il deterrente atomico per essere credibile non deve solo avere efficacia e capacità di sopravvivenza, ma anche tempi di reazione rapidi per essere in grado di venire lanciato in caso di attacco da sottomarini lanciamissili, che lasciano pochi minuti di preavviso.





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