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La mossa di Joe Biden ha il sapore più politico che tattico. La decisione di inviare gli Abrams all’Ucraina, infatti, sembra essere stata più utile a sbloccare il negoziato con la Germania che importante sotto il profilo bellico. E il peso di questa scelta – tutt’altro che facile per Washington – lo dimostra il fatto che l’annuncio è arrivato dopo settimane di tentennamenti e comunque con il freno a mano tirato da parte di Pentagono e Casa Bianca, che non hanno voluto esaltare troppo questa mossa.

I problemi dietro la scelta Usa

Washington ha voluto mostrare l’unità e la compattezza del fronte atlantico nella sfida all’invasione russa. E la scelta dei tank a Kiev è sicuramente un messaggio non secondario nella logica con cui gli Usa si impegnano in questo conflitto. Ma dietro a questa mossa ci sono diversi problemi che inducono gli stessi statunitensi a mostrare una certa moderazione nelle aspettative su questo invio di carri.

Innanzitutto, dalla Casa Bianca continuano a ripetere che ci vorranno “molti mesi” prima dell’arrivo dei mezzi a Kiev e dintorni. Il Washington Post dava come possibile periodo di arrivo l’autunno, ma è probabile che la data possa anche slittare a fine anno. I funzionari statunitensi non hanno dato delle indicazioni precise sui tempi, ma appare chiaro che la fornitura di carri armati non sarà rapida né tantomeno “a cuor leggero”.

La questione dell’addestramento

Gli analisti americani hanno più volte sottolineato che per questi mezzi occorre molto addestramento, cosa che gli ucraini necessariamente non possono avere, ma che risulta fondamentale per far sì che questi mezzi siano efficaci. Le forze di Kiev hanno certamente dimostrato di poter superare ostacoli imponenti – come conferma del resto l’andamento della guerra – ma questo non autorizza a pensare che alcune decine di carri male impiegati possano rivoluzionare le sorti di un’invasione realizzata da un esercito che, al contrario, conosce perfettamente i primi (molti) carri armati.

John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha detto che ci vorranno settimane solo per “definire i dettagli e iniziare a mettere in atto il regime di addestramento”. Poi inizierà il training vero e proprio, per il quale ci vorranno mesi e che dovrà essere composto sia di fasi per l’impiego operativo sia di addestramento per la manutenzione.

Il problema dei rifornimenti

Il secondo tema – sottolineato anche da Newsweek – è poi quello del carburante. Inviare un carro Abrams significa infatti inviare un mezzo che si basa sul consumo di un’enorme quantità di carburante. Alcuni esperti sottolineano che l’ostacolo del tipo di carburante potrebbe essere superato dal fatto che i mezzi possono impiegare anche il cherosene comune usato dall’esercito statunitense.

Tuttavia c’è sempre il tema di avere un flusso di carburante adeguato, una rete che lo consegni in modo sicuro alle basi e soprattutto che la logistica si muova insieme ad essi anche lungo il fronte. In una situazione come quella ucraina in cui le forze Usa non sono presenti sul campo come avvenne per esempio nella Guerra del Golfo, tutto questo diventa molto complicato.

I rischi per la sicurezza

Un altro tema è poi quello eminentemente legato alla sicurezza interna americana. Cosa che può sembrare secondaria nell’invio di un’arma per sostenere un alleato ma che non lo è in un meccanismo estremamente preciso come quello che combina industria bellica, intelligence e forze armate. Come analizzato dal portale The Drive, esistono diversi problemi legati alle componenti degli Abrams, dal momento che quelli utilizzati direttamente dai reparti dello Us Army sarebbero impossibili da esportare. Qualsiasi “breccia” nella rete di sicurezza – si pensi anche a uno solo di questi mezzi catturati o distrutti – può essere usata dai russi per studiare il mezzo e quindi analizzarne tutte le componenti secretate.

Inoltre, tra parti classificate e parti che legalmente sono difficili da impiegare all’estero, il dubbio è che i tank a Kiev possano essere necessariamente modelli specifici riconvertiti per essere mandati al fronte. Il che comporta anche l’assegnazione dell’appalto ad aziende specifiche con tempi tecnici legati al tipo di appalto e compensi. Anche in questo caso, l’invio di un mezzo aggiornato per essere poi mandato alle forze ucraine richiederà tempo che, anche se non eccessivo, comporterà dei ritardi che sono però considerati fondamentali per la sicurezza nazionale.

Sempre Joseph Trevithick su The Drive ipotizza che gli Usa possano chiedere ai propri clienti di inviare i carri armati già esportati, in modo da evitare ulteriori lavorazioni. Tuttavia sembra difficile che gli Stati partner di Washington non direttamente coinvolti nella Nato si possano impegnare nel mandare carri che sarebbero visti come un affronto da parte della Russia o come un netto spostamento del baricentro politico verso Occidente.

Il messaggio Usa agli alleati

Fatte queste premesse, è opportuno quindi scindere il tema politico da quello tattico e strategico. Dal punto di vista diplomatico, l’atteggiamento Usa è apparso quello incline al negoziato con gli alleati europei e convinto della bontà della causa ucraina. Biden e il suo entourage hanno capito di avere ceduto alla richiesta tedesca per convincere Olaf Scholz a consegnare i Leopard a Kiev e, d’altro lato, hanno mostrato all’Alleanza Atlantica di essere non solo il vertice di essa ma anche interessati allo sforzo collettivo per sostenere Kiev.

Dal punto di vista materiale, però il freno a mano tirato dai funzionari Usa manifesta anche un estremo realismo che rende anche l’idea di come questa mossa sia stata non solo estremamente ponderata, ma anche considerata nei suoi ostacoli. Tutti, dalla Casa Bianca al Pentagono fino agli analisti più esperti della materia, sono consapevoli delle criticità e delle conseguenze di questa scelta.

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