Sembra una storia assurda, da primi anni della Guerra Fredda, qualcosa che supera lo scandalo dei Rosemberg e l’intricata vicenda che legò Lee Harvey Oswald ai servizi sovietici e alla Cia; eppure un ex membro delle forze speciali statunitensi – i famigerati Berretti verdi dell’Esercito – è stato condannato per spionaggio dopo una lunga inchiesta che lo ha scoperto al servizio alla divisione d’intelligence dell’esercito russo, il Gru.

Secondo quanto riportato dalla stampa estera Peter Debbins, originario degli Stati Uniti oggi ultra quarantenne, avrebbe spiato l’apparato militare americano per oltre vent’anni, fornendo informazione ai russi, cui sarebbe legato per origine materna, nata in Unione Sovietica. Lui, il sorridente ragazzo che nelle foto di giornale compare con il basco verde che identifica una delle più famose unità d’élite delle forze armate americane, la “United States Army Special Forces”, specializzata nel condurre azioni di “guerra non convenzionale”, si sarebbe recato in Russia solo nel 1994 – quando il la cortina di ferro era già caduta il Blocco sovietico si era letteralmente disintegrato -, ma avrebbe trovato delle origini talmente profonde da scegliere di farvi ritorno due anni dopo, nel 1996, nel contesto di uno scambio organizzato dal college cui allora era iscritto: l’università del Minnesota.

Sarebbe quello, secondo le indagini condotte dall’Fbi, l’anno in cui il futuro berretto verde avrebbe intrecciato una relazione una donna russa residente nella città industriale di Chelyabinsk. L’amante di Debbins era figlia di un colonnello delle forze aerospaziali russe, che lo avrebbe messo in contatto con la “Direzione principale dello Stato maggiore delle Forze armate russe”, organo militare più noto come Gru: il servizio di intelligence o “servizio segreto” dell’Esercito sovietico prima e russo ora. Per i federali, quando Debbins fece ritorno in Russia per unirsi in matrimonio con la ragazza che aveva conosciuto durante il suo scambio universitario, era già stato reclutato dall’intelligence russa. L’ordine sarebbe stato quello di tornate negli Stati Uniti e trafugare informazioni per Mosca. L’anno seguente si sarebbe arruolato nell’Esercito, e sarebbe diventato un membro dei “berretti verdi”, dove ha prestato servizio fino al 2005. Il suo nome in codice per i russi era Ikar Lenikov.

Durante una missione in Azerbaigian, sarebbe stato soggetto di una “violazione dei protocolli”, e per questo congedato. Nel frattempo però, dati i rapporti familiari che lo legavano alla Federazione Russa, si sarebbe recato del Paese numerose volte, incontrando i suoi reclutatori, ai quali avrebbe dato informazioni di varia natura ed entità riguardanti una vasta gamma di “argomenti classificati” – tra questi viene fatta menzione di identità e informazioni private di alcuni membri della sua unità. Secondo gli inquirenti le informazioni private degli altri berretti verdi dovevano essere sfruttate in un secondo momento per ricattarli, e spingerli ad collaborare a loro volta con i servizi segreti russi nella veste di doppiogiochisti.

Dopo aver lasciato l’Esercito, la talpa si sarebbe tenuta vicina alla sfere della Difesa, lavorando in appalto: occupandosi principalmente di questioni relative alla potenza russa nel campo della traduzione e del controspionaggio. Insistendo per ricoprire ruoli operativi in diversi apparati interni o vicini all’intelligence americano come la Dia (Defense Intelligence Agency) – compresa la Cia. La sua attività di spia si sarebbe conclusa nel 2011 – forse dopo aver perso la sua copertura. Per lui è stata ordinata l’incarcerazione immediata non appena decretata la sentenza. Ora il problema viene rimandato al mittente, perché le “talpe” possono sempre rivelare i segreti della Potenza che le invia in cambio di uno sconto della pena. È il rischio che si corre quando si arruola una “spia doppiogiochista”.





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