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Gli Stati Uniti hanno da tempo intrapreso una politica di rinnovamento delle proprie capacità nel settore della Difesa: la velocità, e per certi versi la qualità, del riarmo cinese hanno provocato un brusco risveglio dal torpore in cui era piombato il Pentagono nei due mandati dell’ex presidente Barack Obama.

La Cina, che viene vista da Washington il principale avversario strategico degli Stati Uniti, nell’arco di pochi anni ha saputo potenziare, per lo più numericamente, le proprie forze armate: la flotta da guerra di Pechino è la più numerosa al mondo (ma non la più tecnologicamente avanzata), grande impulso è stato dato al miglioramento delle capacità di deterrenza nucleare, con nuovi vettori – e nuovi silos di lancio – comparsi recentemente, mentre nel settore dell’Intelligenza Artificiale, della robotica applicata alle forze armate, e dei sistemi ipersonici, il Dragone asiatico ha saputo fare passi da gigante.

Proprio il settore ipersonico è quello che ha creato i maggiori timori nella difesa Usa: insieme alla Russia, la Cina è il solo Paese che è stato in grado di schierare in servizio un sistema di questo tipo, mentre gli Stati Uniti, che pure erano stati dei pionieri nella ricerca in questo campo, erano rimasti “al palo”. Questo divario, però, si sta sempre più velocemente colmando e il Pentagono ha saputo razionalizzare programmi e investimenti per lo sviluppo di una serie di sistemi ipersonici per le tre forze armate, alcuni già in fase di avanzato collaudo, altri prossimi a esserlo.

Parlare di procurement militare, significa, per forza di cose, parlare di finanziamenti, e gli ultimi due inquilini che si sono avvicendati alla Casa Bianca hanno entrambi ampliato questa voce nel bilancio dello Stato. I nuovi programmi della Difesa Usa, tra cui quello di un nuovo caccia di sesta generazione (Ngad – Next Generation Air Dominance), così come quelli dei già citati sistemi ipersonici, oppure per la costituzione di una flotta più moderna, flessibile e capace, hanno quasi tutti un orizzonte temporale abbastanza lungo avendo come previsione di ultimazione (e ingresso in servizio) la decade 2030/2040, con qualche deroga.

Negli Stati Uniti, quindi, c’è chi pensa che l’aver guardato “troppo avanti” potrebbe aver ostacolato la capacità del Pentagono di rispondere alle sfide di sicurezza di oggi. Il problema, come vi avevamo evidenziato ormai più di un anno fa, è ancora una volta la politica “disinvestire per investire”, o, come viene definita oltre Atlantico, capability over capacity, traducibile come “possibilità invece di capacità”.

Sostanzialmente si traduce nel prendersi rischi ora per ridurli in futuro, ovvero rinunciare a tenere il passo con la Cina nella corsa agli armamenti nel breve termine per scommettere tutto nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie che consentiranno, grazie allo storno degli investimenti, di allungare il passo nel medio/lungo periodo permettendo così di ottenere la supremazia militare su Pechino.

Mentre siamo in dirittura d’arrivo per la determinazione del budget destinato al Pentagono per l’anno 2024 (febbraio 2023), alcune voci in quel di Washington si levano per lanciare l’allarme riguardante la necessità di modificare questa postura e “spendere di più e subito” per la Difesa.

In un editoriale apparso su Breaking Defense, il generale (in pensione) dell’esercito Usa John Ferrari avvisa che occorre una nuova filosofia più adatta alle mutevoli realtà di un mondo scosso dalla guerra in Ucraina, da una Cina diventata molto più aggressiva verso Taiwan e dai problemi economici indotti dalla pandemia.

Secondo il generale, sottrarre fondi per ridurre il numero di aerei e navi “legacy”, cioè di vecchia concezione, dando enfasi allo sviluppo tecnologico per cercare di, come detto, avere la supremazia a partire dal 2030, è un piano che si sta dimostrando fallace, in quanto, secondo lui, Russia e Cina sembrano non voler aspettare fino alla metà degli anni ’30 per “creare scompiglio”. Il generale propone quindi di aumentare le spese per acquistare sistemi d’arma subito, e in gran numero, previo potenziamento della maggior parte delle linee di produzione, specialmente quelle di munizioni, navi e sistemi d’arma a fuoco indiretto. Si risente, anche qui, l’impatto della guerra in Ucraina, e del sostegno statunitense a Kiev che sta mettendo in difficoltà la capacità di approvvigionamento di munizioni per le forze armate Usa.

Il Pentagono, secondo il generale, ha bisogno di un piano di bilancio che includa la scorta di munizioni per tre anni in tempo di guerra, artiglieria sostitutiva e armi missilistiche oltre a un acquisto pluriennale di navi da guerra molto ampio.

In breve, il Pentagono dovrebbe trasferire 45 miliardi di dollari dai 130 stanziati ogni anno per la ricerca e lo sviluppo in nuovi appalti e sostenere un nuovo ciclo industriale di approvvigionamento che genererebbe 225 miliardi di dollari di appalti aggiuntivi nei prossimi cinque anni. Riassumendo, Ferrari afferma che “la marina ha effettivamente bisogno di navi, l’aeronautica ha bisogno di aerei e l’esercito ha bisogno di soldati”.

Ma l’allarme lanciato dal generale è davvero fondato oppure si tratta più di una percezione?

È innegabile che alcuni progressi tecnologici raggiunti da Cina e Russia li abbiano posti su un gradino superiore rispetto agli Stati Uniti, ma il divario tecnologico/numerico potrebbe non essere così impattante e serio come si racconta dalle parti del Pentagono.

Partendo dalle forze armate cinesi, se è vero che siano “in espansione” sotto entrambi i profili, è anche vero che i progressi fatti non hanno mai avuto una prova effettiva sul campo di battaglia, che, in ultima analisi, è quella che determina se un sistema d’arma (sia esso un caccia, una nave, un missile o un semplice fucile d’assalto) sia davvero efficace oppure no.

Ci sono tantissimi esempi in questo senso nella storia, e l’ultimo ci arriva proprio dal conflitto ucraino, dove la Voenno-Morskoj Flot, la marina russa, ha deciso di non acquistare ulteriori corvette della classe project 22160 perché risultate inadeguate a operare in un ambiente contestato (nemmeno altamente) come quello in cui si sono trovate in Ucraina. La marina russa ha ritenuto le qualità tattiche e tecniche delle navi non coerenti con le condizioni operative in combattimento ed è stato riferito che gli equipaggi non sono soddisfatti delle caratteristiche e dell’equipaggiamento delle unità navali.

Restando in campo navale, ma passando alla Cina, se la marina cinese è vero che sia la più numerosa al mondo, è anche vero che, come recita un vecchio adagio marinaresco, che una flotta si può costruire in poco tempo, ma per una marina occorrono secoli, intendendo con queste parole la necessità di creare una cultura navale che formi equipaggi e quadri, e Pechino si sta affacciando alle “acque blu” solo da pochissimo nella sua storia, quindi nonostante l’impressionante rateo di vari di unità anche complesse come le portaerei, per saperle usare con profitto occorrono anni, anche decenni, di operazioni e da questo punto di vista gli Stati Uniti, potenza talassocratica per eccellenza, sono diventati maestri.

Ritornando alla Russia, forse al generale è sfuggito il quadro generale delle operazioni militari in Ucraina, che, dopo quasi otto mesi di conflitto, hanno dimostrato non solo la scarsa organizzazione dell’esercito russo, ma anche il basso impatto di tanti ritrovati bellici definiti “tecnologie dirompenti” come i sistemi ipersonici o degli stessi caccia di quinta generazione. Questo non perché tali tecnologie, in sé, non siano efficaci, ma perché la Russia ha dimostrato di avere tali e profondi problemi strutturali nella sua industria bellica da non poterne schierare in numero sufficiente o comunque tale da poter avere quell’effetto “dirompente” ricercato. Il motivo si individua, sintetizzando, nel peso di otto anni di sanzioni/embarghi internazionali, e nella stessa architettura dell’economia russa ancora strettamente legata a un mercato altamente volatile come quello degli idrocarburi.

Riassumendo, se la Cina, in potenza, rappresenta un avversario temibile che però deve ancora dimostrare la sua forza, la Russia attualmente è un avversario in declino ma caratterizzato da potenzialità di ripresa. In entrambi i casi, la necessità individuata dal generale Ferrari di dover spendere “di più e subito” pena la perdita della capacità di affrontare e vincere un avversario, ci sembra un po’ infondata, e potrebbe riflettere il ben noto meccanismo psicologico di “sovrastima” del nemico che più volte si è visto nella storia anche recente.

Per gli Stati Uniti – di certo non per noi europei che ci siamo cullati in decenni di sonni pacifisti – è più consigliabile investire per avere il vantaggio tecnologico nel futuro.

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