La guerra sotto i mari rappresenta uno dei grandi livelli di confronto delle potenze grandi e medie in quello che è considerato il “Blue Century”, il secolo in cui il dominio marittimo ha (e avrà) un’importanza vitale per il destino del pianeta. La questione riguarda non solo il traffico marittimo di superficie, elemento fondamentale nel sistema commerciale globalizzato, ma anche ciò che passa nei fondali.
Cavi sottomarini per le telecomunicazioni, gasdotti, oleodotti, elettrodotti, uniti spesso a infrastrutture offshore oltre che ai terminali sulla costa, rappresentano infrastrutture necessarie alla vita quotidiana oltre che centrali negli equilibri politici e strategici. Tutto questo, unito alle classiche necessità di dotarsi di una flotta sottomarina (proiezione di forza e capacità di muoversi in un ambiente subacqueo), ha fatto sì che negli ultimi anni questa componente ha assunto un ruolo di primo piano nei processi di modernizzazione delle flotte. Ciò che si credeva essere una grande testimonianza del periodo della Guerra Fredda è diventata così fondamentale per tutte le potenze coinvolte nella sfida dei mari, e non solo tra superpotenze.
Stati Uniti
La componente sottomarina degli Stati Uniti rappresenta, sin dalla seconda metà del Novecento, una protagonista dello scenario bellico mondiale. Attualmente, gli Usa hanno in servizio 53 sottomarini d’attacco, 14 sottomarini con missili balistici e quattro con missili guidati. In base a quanto dichiarato dalla Us Navy, il 54 per cento dell’arsenale nucleare Usa è trasportato da unità sottomarine. Le classi dei sottomarini Usa attualmente in servizio sono Ohio, Los Angeles, Seawolf e Virginia. Con la prima a fungere da elemento cardine della triade nucleare di Washington.
Se i numeri rendono la componente subacquea un pilastro della strategia Usa, bisogna tuttavia fare i conti con le contingenze. Infatti, da diverso tempo analisti e osservatori della flotta statunitense premono sul fatto che questa componente non sia all’altezza dei compiti e avvertono sul fatto che molte unità non sono in servizio attivo. A metà luglio, un rapporto del Congressional Research Service citato dai media riportava che quasi il 40% dei sottomarini di attacco rapido classe Virginia era in riparazione o in attesa di lavori. Il che di fatto priva la flotta Usa di un’enorme capacità operativa. Questo è un tema essenziale soprattutto alla luce delle sfide che Washington ha messo in agenda in particolare con i due principali rivali nei fondali: la Russia e, da qualche anno, la Cina.
Il più recente varo del sottomarino Uss New Jersey, del “collega” Uss Iowa e la prossima entrata in servizio dello Uss Hyman G. Rickover – che seguono l’inizio delle attività degli altri sottomarini Uss Oregon e Uss Montana – confermano la grande vitalità dell’industria bellica statunitense, ma soprattutto la rilevanza strategica dei sottomarini nell’agenda di Washington. Un’agenda in cui i classe Virginia rappresentano indubbiamente uno dei pilastri, in grado di svolgere quasi tutte le missioni richieste a un sottomarino di una grande potenza.
Russia
La flotta russa ha nei sottomarini uno dei suoi grandi “cavalli di battaglia”. Divisa tra flotta del Nord (che ne ha la maggior parte), del Baltico, del Mar Nero e del Pacifico, la componente subacquea continua a essere ritenuta dal Cremlino un pilastro della propria agenda militare, al punto che anche con la guerra in Ucraina in corso e con un elevato dispendio di uomini e mezzi, la Federazione Russa non sembra affatto disposta a rinunciare ai suoi programmi di modernizzazione della flotta.
Sul numero reale di sottomarini di Mosca, esistono dei dati che oscillano dai 58 censiti dall’organizzazione Nuclear Threat Initiative ai 70 del Global Fire Power. Qualcuno azzarda anche 75. Tra questi, vi sono sottomarini lanciamissili balistici, unità d’attacco a propulsione nucleare, sottomarini armati di missili da crociera e sottomarini d’attacco diesel-elettrici. A questi si devono aggiungere sottomarini con compiti specifici, solo apparentemente di ricerca, e la componente dei droni. Il numero e l’impegno di Mosca per la modernizzazione di questi mezzi conferma quello che è uno dei dati principali della storia della flotta russa dalla Guerra Fredda a oggi, ovvero l’importanza sempre più grande dei sottomarini all’interno della Voenno-morskoj Flot.
Del resto, questo lo si vede anche dalla differenza numerica (e quindi strategica) di portaerei in dotazione alla Us Navy rispetto alla flotta russa, che conferma la scelta dei comandi moscoviti di puntare sempre sui sottomarini come vera spina dorsale. Di recente, la Federazione Russa ha confermato l’inizio della produzione, il varo o l’entrata in servizio di diversi sottomarini, dirottati soprattutto verso la Flotta del Pacifico. Inoltre, negli ultimi anni ha avuto grande risalto l’inizio delle operazioni del Belgorod, varato nell’arsenale di Severodvinsk: sottomarino a propulsione nucleare per missioni speciali che rappresenta l’ampliamento e il miglioramento dei sottomarini noti in Occidente come classe Oscar II.
L’importanza cresce soprattutto in relazione ai compiti di questi mezzi, che non riguardano più solo la proiezione di potenze classica ma anche il controllo delle rotte, dei cavi sottomarini, la possibilità di sabotarli e la tutela delle proprie reti.
Cina
La Cina è quella che si può considerare indubbiamente come la potenza in ascesa nell’ambito della guerra sottomarina. Come superpotenza economica e con un non celato impegno nella modernizzazione delle proprie forze armate, la Repubblica popolare cinese ha da tempo avviato un programma di revisione della flotta per colmare il divario tecnologico con la Russia e con gli Stati Uniti. Per questo motivo, se gli analisti occidentali concordano nel fatto che al momento la capacità operativa subacquea cinese sia abbastanza ridotta rispetto a quella Usa e anche a quella russa, le cose potrebbero cambiare nel corso dei decenni grazie alla pianificazione dei programmi navali del gigante asiatico.
La modernizzazione non riguarda solo le unità d’attacco, ma anche quelle che compongono la triade nucleare cinese. L’obiettivo di Pechino infatti non è tanto quello di mantenere il numero elevato di mezzi, che al momento la rende la potenza con più sottomarini attivi al mondo, ma quello di ampliarne le capacità. Questo vale sia per il potenziale di attacco, sia per quello di movimento sia per aumentare sensibilmente le caratteristiche stealth di questi mezzi.
Se infatti la Cina ha al momento a disposizione sei classi di sottomarini per più di 70 unità dislocate su tutte le basi del Pacifico, diverso è il tema del confronto con le maggiori potenze regionali e mondiali. Due in particolare le classi che Pechino ha costruito per sovvertire l’equilibrio strategico (sottomarino e non) nel Pacifico: la classe Jin e la classe Shang. Ora la sfida del Dragone è rappresentata dai Type 096, che dovrebbero sostituire la Jin come “spina dorsale” della flotta subacquea asiatica. E sono molti, negli Stati Uniti, a essere preoccupati per il miglioramento delle capacità cinesi soprattutto rispetto a un eventuale conflitto per Taiwan, dove i sottomarini di Pechino potrebbero rapidamente avere la meglio sia rispetto alle forze dell’isola sia rispetto a possibili interventi di una parte della flotta Usa.
L’aumento delle attività di pattugliamento con sottomarini nucleari nell’Indo-Pacifico è un cambiamento di postura rispetto alla tradizionale agenda cinese che ha da tempo fatto comprendere i nuovi obiettivi della potenza asiatica nel contesto oceanico.
Pacifico
Insieme alla Cina, l’intero Indo-Pacifico rappresenta un palcoscenico di grande crescita della componente subacquea, al punto che è possibile parlare di una vera e propria corsa ai fondali. L’alleanza Aukus siglata da Australia, Usa e Regno Unito ha costituito uno spartiacque nell’equilibrio bellico della regione, dal momento che Canberra sarà dotata di sottomarini a propulsione nucleare. La svolta australiana, su pressione Usa e britannica che hanno scavalcato il vecchio accordo tra il Paese oceanico e la Francia, ha così palesato una nuova corsa verso il riarmo anche sul fronte sottomarino. Corsa in cui rientrano diverse potenze dell’area.
Il Giappone ha avviato nel corso degli ultimi anni una netta virata verso una modernizzazione delle proprie Forze di Autodifesa, tra le quali rientra anche la componente sottomarina. Al punto che qualcuno ha anche ipotizzato che Tokyo possa essere addirittura la prossima a entrare nel patto Aukus (con tutte le implicazioni che questo avrebbe sotto il profilo dell’accettazione di una tecnologia nucleare nelle forze armate nipponiche). Al momento questo non appare un problema insormontabile, dal momento che il Giappone è dotato di sottomarini tra i più moderni per quanto riguarda la propulsione, diesel-elettrica, indipendente dall’aria e con batterie a ioni di litio e altamente silenziose. Tuttavia, per Tokyo resta il problema della quantità, certamente inferiore rispetto a quella cinese e per cui si considera parte di un intero blocco legato a Washington.
Più a nord la Corea del Sud è un’altra delle forze che sta aumentando velocemente le proprie capacità sottomarine. Oltre alla vecchia classe Jang Bogo e alla Son Won-Il, oggi a destare maggiore interesse è il nuovo sottomarino della classe Dosan Ahn Changho che, come spiegato su Startmag, è “il primo sottomarino a propulsione convenzionale al mondo, e operativo a tutti gli effetti, a essere dotato anche della capacità di lanciare missili balistici”. Anche a Seul, in ogni caso, si è tornato a parlare di propulsione nucleare dopo la nascita di Aukus
Oltre il 38esimo parallelo, a farla da padrone è poi la Marina nordcoreana, i cui sottomarini rappresentano una componente essenziale, molto grande, ma anche in larga parte più che obsoleta legata ai modelli sovietici. Proprio per questo motivo, molti analisti ritengono che dei circa 80 sottomarini a disposizione di Kim Jong-un siano pochi in realtà quelli realmente in servizio, in larga parte piccoli e utilizzabili per la sola difesa costiera.
Tuttavia, il fatto che Pyongyang destini la maggioranza dei proprio fondi per la modernizzazione dell’arsenale, non deve sorprendere che da più parti si inizi a discutere delle reali capacità strategiche nordcoreano in ambito sottomarino. Proprio per questo motivo, la risposta potrebbe essere il test del drone sottomarino nucleare che, a detta dei media di regime, potrebbe scatenare uno “tsunami radioattivo”. Negli anni passati, ad avere destato la curiosità degli osservatori era stato il varo di un sottomarino, il Sinpo-C, che dovrebbe essere una versione più moderna dell’attuale classe Romeo.
India
Divisa tra le due principali basi di Mumbai e Visakhapatnam, la Marina indiana vanta pochi sottomarini (circa 16) ma un grande interesse nell’aumentare le proprie capacità su questo fronte. Fino alla fine del Novecento, Nuova Delhi si è orientata sul possesso di pochi sottomarini, storicamente legati all’importazione da Unione Sovietica (poi Russia), Francia e Germania. Nel tempo, la volontà di dotarsi di maggiore “know how” sul fronte bellico ha portato i governi indiani a concentrarsi sulla costruzione di mezzi indigeni, sempre ovviamente con un interscambio di tecnologie o con progetti esteri ma prodotti nei cantieri nazionali. La sfida per la Marina indiana è tutt’altro che semplice, dal momento che il gap tecnologico e temporale già solo rispetto alla Cina è – al momento – abissale. Tuttavia, Narendra Modi appare intenzionato a mitigare questo divario, come dimostrato dal recente accordo con Emmanuel Macron per nuovi sottomarini Scorpene.
Inoltre, il test di un missile balistico dal sottomarino a propulsione nucleare INS Arihant ha dato modo all’India di entrare a far parte del ristretto club delle potenze nucleari capaci di lanciare un missile balistico da un sottomarino. Il problema, per Nuova Delhi, è racchiuso però nella duplice necessità di sostituire rapidamente i vecchi modelli e aggiungerne di nuovi per non rimanere troppo inferiore a livello numerico rispetto ai rivali regionali.
Italia e riarmo nel Mediterraneo orientale
Anche nel Mediterraneo si assiste a una corsa al riarmo sottomarino. L’Italia, come scritto anche su questa testata, ha scelto di procedere a un rafforzamento della propria componente subacquea rappresentato in particolare dall’acquisizione dei battelli U212 Nfs. Questi ultimi sostituiranno la più risalente classe Sauro e si uniranno ai classe Todaro per supportare le varie attività della flotta di superficie oltre che per il controllo dei fondali mediterranei nel contesto Nato e di una rinnovata attività russa nel Mare Nostrum.
Oltre al nostro Paese, particolare rilevanza hanno poi le flotte sottomarine del Mediterraneo orientale, in particolare quella turca, quella greca e quella israeliana. La Marina di Ankara prevede la costruzione di nuovi sottomarini di classe Reis, costruiti in patria, nel cantiere navale di Gölcük, e basati sul Type 214 di matrice tedesca. Inoltre, da anni è stato avviato il programma Milden, che prevede la nascita di una classe di sottomarini completamente indigena e che dovrebbe avere come momento iniziale di costruzione il 2025.
La Grecia attualmente possiede 11 sottomarini. La sua storia è quasi completamente legata alla Germania, in particolare alla Howaldtswerke-Deutsche Werft. I più moderni sono i quattro sottomarini d’attacco diesel-elettrici della classe Papanikolis. Estremamente silenziosi e capaci di navigare diverse decine di giorni senza emergere, sono dotati di sistema di propulsione indipendente dall’aria e rappresentano uno dei grandi pilastri della Marina ellenica. A dicembre arriverà il primo lotto di siluri pesanti SeaHake Mod4.
Nel Mediterraneo orientale, inoltre, va registrata l’ascesa di due forze subacquee, quella egiziana e quella israeliana, entrambe potenze interessate al controllo del Levante e in particolare degli enormi giacimenti di gas presenti nell’area. L’Egitto ha da poco issato la bandiera su un sottomarino Type-209/1400 di produzione tedesca. Mentre Israele, intenzionato a rafforzare e modernizzare tutta la flotta, ha nella classe Dolphin, sempre di fabbricazione tedesca, la sua principale arma di monitoraggio e difesa dei fondali e delle sue coste.
Europa orientale
Di particolare interesse anche quanto avviene in due settori molto rilevanti del panorama europeo: il Baltico e il Mar Nero. Nel mare a nord-est dell’Europa, una potenza su tutte ha assunto da qualche tempo una particolare postura volta al rafforzamento di tutte le sue componenti belliche, la Polonia. Proprio a questo proposito, di recente Varsavia ha annunciato la riattivazione del programma Orka, che prevede così di dotare le forze polacche di unità sottomarine, fondamentali nello scacchiere Baltico. Come scritto su questa testata, il programma prevede “l’acquisizione di almeno tre sottomarini a propulsione tradizionale, armati di missili da crociera, con richiesta di una eccellente capacità stealth, in particolare per la sfida alla Russia.
Inoltre, di recente, a destare attenzione è stato anche l’interessamento della Romania ad acquisire di nuovo una capacità subacquea. L’idea di Bucarest è quella di mettere a disposizione della propria Marina due sottomarini di classe Scorpene, quindi di fabbricazione francese, che possano prendere il posto dell’ormai fuori servizio Delfinul. Una mossa che mostra non solo l’asse industriale tra Parigi e Bucarest ma anche un potenziale futuro nuovo assetto del Mar Nero per la Nato.