Questa settimana il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha commentato pubblicamente i risultati annuali dell’export di attrezzature militari di Tel Aviv, sciorinando (anche quest’anno) numeri da record: nel 2022, Israele ha raddoppiato gli export in confronto a dieci anni fa.
I numeri dell’industria di Tel Aviv
Gli export di prodotti di difesa di fattura israeliana hanno ammontato nel 2022 a 12,5 miliardi di dollari, laddove nel 2021 (anno che aveva a sua volta segnato il record di esportazioni) il fatturato era stato di 11,4 miliardi di dollari. Per avere una dato di riferimento, tra il 2011 e il 2013 quel numero fluttuava tra i 5,8 e i 6,6 miliardi di dollari.

Durante la presentazione dei dati, gli ufficiali del Sibat (il dipartimento israeliano di Cooperazione per la difesa internazionale) hanno evidenziato un aumento del 65% degli export negli ultimi cinque anni, e hanno citato importanti “cambiamenti geostrategici” in Europa tra le ragioni che hanno provocato il netto incremento nella domanda per armi prodotte in Israele. Il riferimento implicito è all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Gli agenti del Dipartimento hanno anche aggiunto che una parte della domanda è trainata dai contratti di vendita firmati tra Israele e i Paesi arabi che hanno recentemente normalizzato i loro legami diplomatici e commerciali con esso.
Tra i dati forniti dal Dipartimento c’è anche una panoramica dei specifici prodotti che Tel Aviv ha esportato. Droni e Uav (velivoli a pilotaggio remoto) rappresentano da soli il 25% degli export, mentre missili, razzi e dispositivi di difesa aerea sommati ammontano al 19% delle vendite. Gli altri prodotti di punta dell’industria della difesa israeliana sono i velivoli con equipaggio, sistemi di ricognizione, lanciamissili, sistemi di comunicazione e munizioni.
Nuovi clienti

La vera novità svelata delle informazioni divulgate dal ministero della Difesa sta non tanto nella quantità o nella tipologia dei prodotti di difesa venduti da Israele, ma nella distribuzione geografica degli acquirenti. Il boom nel commercio delle armi sottolinea in particolare l’approfondimento dei legami diplomatici ed economici tra Israele e gli Stati firmatari degli accordi di Abramo. Infatti, Paesi arabi che nel 2020 hanno normalizzato i legami con Tel Aviv – Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco – hanno rappresentato quasi il 25% del totale dei 12,5 miliardi di dollari fatturati in export di difesa da Israele, quando nel 2021 rappresentavano appena il 7%. Asia e Pacifico confermano il trend e si mantengono stabili destinatari del 30% degli export israeliani; ugualmente stabile il Nord America intorno all’11%. L’altra grande eccezione è rappresentata dall’Europa, che a fronte del conflitto in Ucraina ha incrementato in maniera imponente la spesa nel 2021 per poi normalizzarla intorno al 30% nel 2022.
In seguito alla firma degli accordi sponsorizzati dagli Stati Uniti, questi Paesi si sono mossi nella direzione di un rafforzamento dei legami soprattutto nella sfera della difesa. Va ricordato infatti che nel 2021 il Bahrain ha confermato che un ufficiale della Marina israeliana è stato assegnato di stanza nel Golfo – il primo militare israeliano ad essere inviato in un Paese arabo. Inoltre, in base alle immagini satellitari, esperti di difesa hanno verificato che gli Emirati Arabi Uniti hanno installato entro i propri confini il sistema di difesa aerea Barak sviluppato congiuntamente da Israele e India.
Per quanto riguarda il Marocco invece, l’inviato israeliano a Rabat ha recentemente affermato che la Elbit Systems – tra le maggiori compagnie israeliane che producono tecnologia per la difesa – sta per aprire due sedi di produzione sul territorio marocchino. L’annuncio è giunto a pochi giorni dalla notizia che il governo israeliano sta considerando di riconoscere la sovranità del Marocco sui territori contestati del Sahara Occidentale.

Contraddizioni e cautele
Il notevole e veloce incremento nei contratti di vendita di armi con i Paesi arabi è sintomo di due processi più profondi e poco visibili. In primo luogo, evidenzia come i rapporti con lo Stato di Israele siano progrediti nonostante la recente acutizzazione delle tensioni con i gruppi armati palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania.
Inoltre, sottolinea la disponibilità degli Stati arabi a intensificare gli scambi commerciali con Israele nel campo della difesa a dispetto della riluttanza che hanno dimostrato a partecipare ad un’iniziativa di coordinamento nella difesa proposta giusto un anno fa da Israele e Stati Uniti e presto rinominata come “Nato del Medio Oriente”. Come a dire, armi da Israele sì, e anche tante, ma una cooperazione formalizzata no. O forse, non ancora.
Gli Stati del Golfo come gli Emirati sono stati infatti molto cauti nell’abbracciare apertamente legami militari con Israele, dal momento che potrebbero essere interpretati come rivolti al comune rivale regionale, la Repubblica Islamica dell’Iran. A fronte del generale clima di distensione che caratterizza questa stagione diplomatica mediorientale, l’Iran mantiene solida la sua postura attiva e aggressiva nei confronti dell’acerrima nemica “entità sionista”.
Se il progetto di una “Nato araba” contro Israele, che pure sopravvive nelle speranze iraniane, si può oramai dire tramontato, l’idea di una Nato Mediorientale rimane invece viva in maniera direttamente proporzionale alla percezione condivisa di una minaccia credibile, che la renda necessaria. In altre parole, un’alleanza militare in Medio Oriente è fattibile se le aggressioni di Teheran e dei suoi delegati la richiederanno. E ad attestarlo sono proprio i numeri del mercato della difesa Israeliano nella regione.