Berlino 2023. Dimenticate Federico II, Clausewitz, Moltke, Bismark, Tirpiz, Hindeburg, Guderian e Rommel. Gli dei della guerra hanno (forse definitivamente) abbandonato il suolo e l’animo tedesco. Al posto di ferrigni sovrani, cancellieri di ferro e geniali feldmarescialli e ammiragli oggi vi sono dei modesti politicanti mal guidati da un modestissimo Olaf Scholz che con le sue continue oscillazioni e giravolte continua ad imbarazzare i suoi ministri, spiazzare i soci europei e far infuriare l’opinione pubblica nazionale.
Significativa è la missiva riservata spedita alla cancelleria dall’ambasciatore presso la UE, Michael Claus. La lettera, intercettata dalla Suddeutsche Zeitung, esordiva così: “In Europa un governo deve sapere presto cosa vuole. Se non ci riusciamo, poiché cambiamo parere poco prima della chiusura di un dossier o mandiamo segnali contradditori, allora raccogliamo scuotimenti di testa e miniamo la nostra reputazione, danneggiando la nostra posizione ben oltre il singolo tema”. Un affondo durissimo che, visto il mittente e il destinatario, ha infuocato ulteriormente il già animato dibattito sulle capacità politiche di Scholz.
E poiché al peggio non vi è limite ecco l’ultima goccia che rischia di far traboccare il classico vaso. Lo scorso 14 marzo la commissaria alla Difesa del Bundestag, la socialdemocratica Eva Hogl, ha presentato alla stampa il suo rapporto annuale sulle condizioni delle forze armate teutoniche: 170 pagine per descrivere minuziosamente un disastro completo e senza appello. Primo responsabile ovviamente Scholz. La roboante promessa, fatta dal cancelliere tre giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, di alzare al 2 per cento del Pil la spesa annua e destinare 100 miliardi di euro extra per ammodernare in tempi brevi il complesso militare federale si è rivelata una bufala. Nel 2022 la Germania è rimasta ferma al solito 1,4 per cento e il contributo straordinario è rimasto una pia intenzione. “Non un centesimo è arrivato a nostri soldati”, ha sibilato la Hogl. Unico investimento finora contabilizzato sono 30 miliardi per l’acquisizione di 35 aerei F-35, peccato che i jet americani atterreranno sulle piste tedesche solo a partire dal 2026.
In ogni caso i fantomatici 100 miliardi, ammesso e non concesso, che arrivino non bastano. Secondo la bellicosa signora per rendere pienamente operativa la scassata Bundeswehr di miliardi ne servirebbero almeno trecento, ovvero il triplo. Ma andiamo per ordine. Il sostegno all’Ucraina ha svuotato i già smunti arsenali e ad oggi, denuncia la Hogl: “non abbiamo abbastanza carri, ci mancano navi, aerei, munizioni, addestramento”. In più “le caserme sono ridotte in uno stato penoso: allogiamenti e servizi igienici fatiscenti, installazioni sportive ammalorate, cucine insufficienti, wi-fi ovunque praticamente inesistente”. Non mancano situazioni tragicomiche come quella della base di Eckernforde sul Baltico destinata agli incursori di Marina, l’equivalente (in teoria) del nostro Comsubin.
Sulla carta la casa ultratecnologica di una componente delle Forze speciali tedesche in realtà un baraccone malandato privo persino della piscina per l’addestramento dei nuotatori da combattimento e dei palombari. L’impianto è infatti chiuso per lavori dal 2010 e la sua riapertura è prevista solo nel 2024. In tutto quattordici anni di vuoto assoluto.
È ovvio che in queste condizioni ben pochi giovani sentano il richiamo della vita militare – nel 2022 l’11% in meno rispetto all’anno precedente – e le dimissioni sono in crescita costante rendendo così l’obiettivo di innalzare gli effettivi della Bundeswehr da 183 mila unità a 203 mila nel 2031 è semplicemente aleatorio.
“Se la situazione non cambia radicalmente e in fretta, se non faremo i necessari investimenti”, ha concluso Eva Hogl, “saranno necessari almeno cinquant’anni per rimettere in uno stato d’efficienza decente le nostre forze armate”. Un monito che il nuovo ministro della Difesa Boris Pistorius ha rilanciato immediatamente al sonnolento cancelliere Scholz. Battendo cassa.