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Gli Emirati Arabi Uniti ora sembrano voler fare retromarcia in merito al possibile acquisto degli F-35. Abu Dhabi da tempo voleva dotarsi dei caccia di quinta generazione della Lockheed-Martin: a novembre del 2020, durante l’amministrazione Trump, era stato formalizzato il primo abbozzo di fornitura dei velivoli tramite la Dsca (Defense Security Cooperation Agency), che, lo ricordiamo, rappresentava solo una prima mossa burocratica per snellire l’eventuale procedura di vendita. Successivamente, a dicembre, arrivò il primo stop da parte del Congresso Usa mentre col cambio al vertice della Casa Bianca era giunto il via libera.

L’accordo vale oltre 23 miliardi di dollari e comprende, oltre agli F-35, i droni Mq-9B Reaper e altre attrezzature di supporto, tra cui motori e armamento per i velivoli in questione. Il pacchetto più remunerativo, però, è quello rappresentato dai caccia: il valore del possibile contratto è pari a 10,4 miliardi di dollari per 50 velivoli, 54 motori Pratt & Whitney F-135 e i relativi sistemi elettronici, di comando e controllo, che servono per operare coi caccia di quinta generazione, quindi ivi compresi i software Algs (Autonomic Logistics Global Support System) e Odin (Operational Data Integrated Network).

Gli Emirati ora minacciano di cancellare i piani per acquistare l’aereo – e gli Mq-9B – a causa delle preoccupazioni per le rigorose misure di salvaguardia imposte da Washington per proteggere questi sistemi dallo spionaggio cinese. Il Wall Street Journal riferisce che Abu Dhabi ha informato Washington che sospenderà le trattative per acquisire l’F-35 in quanto “i requisiti tecnici, le restrizioni operative e l’analisi costi/benefici hanno portato alla loro rivalutazione”, tuttavia gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere che potrebbero essere riaperte in futuro.

Nel frattempo, Breaking Defense dipinge un quadro più pessimista: un anonimo funzionario emiratino afferma che le discussioni sull’accordo sono state “sospese” a tempo indeterminato in attesa di una “completa rivalutazione” dei termini. Secondo il media, la missiva inviata a Washington è servita a ritirare l’impegno di Abu Dhabi, col governo statunitense.

Quanto avvenuto potrebbe essere un segnale che non tutto va bene nelle relazioni tra Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, con il fattore Cina come punto chiave della diatriba. In particolare Abu Dhabi ritiene inaccettabili i requisiti di sicurezza richiesti dagli Usa che sono specificamente destinati a impedire che la tecnologia e le capacità integrate nel caccia cadano nelle mani dei cinesi.

All’inizio di quest’anno sembra anche che Washington sia stata costretta a esercitare pressioni sugli Emirati per garantire che la Cina interrompesse i lavori di costruzione di una struttura militare segreta nel Paese, mentre a maggio due velivoli cargo dell’aeronautica cinese giunti nella capitale emiratina avrebbero consegnato materiale militare non meglio specificato, causando apprensione e malcontento alla Casa Bianca.

Senza dimenticare i legami commerciali con Huawei, la società cinese che si occupa delle infrastrutture telematiche 5G, già “bandita” negli Usa e che ha spinto Washington a minacciare il Regno Unito di ritirare gli assetti sensibili dal Paese e di non schierare gli F-35 su suolo britannico.

A tal proposito proprio nella giornata del 15 dicembre sono arrivati nella base della Royal Air Force di Lakenheat i primi esemplari dei 24 F-35A che andranno a formare il 495esimo stormo: l’unico permanentemente dislocato al di fuori degli Stati Uniti con in dotazione il caccia di quinta generazione che andrà a sostituire gli F-15C/D ivi dislocati.

Al di fuori del Regno Unito gli F-35 sono in servizio, o presto lo saranno, in Belgio, Danimarca, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Svizzera e Finlandia. È notizia recente che anche Helsinki abbia optato per i “Lightning II” in sostituzione dei suoi F/A-18C/D “Hornet”: saranno 64 le macchine che entreranno in servizio nell’aeronautica finlandese dopo che a ottobre il Dipartimento di Stato Usa ne aveva approvato la possibile vendita alla Finlandia insieme a missili aria-aria, munizionamento guidato di precisione aria-terra e relative attrezzature per un costo stimato complessivo di 12,5 miliardi di dollari. In dettaglio, oltre ai caccia, saranno forniti 66 motori Pratt & Whitney F-135 insieme a un interessante pacchetto di armi composto in particolare da 500 Gbu-53/B II “small diameter bomb”, 150 missili Aim-9X Block II+ “Sidewinder”, 100 missili Agm-154C-1 Joint Stand Off Weapon (Jsow-C1), 200 missili Agm-158B-2 (Jassm-Er), 120 kit di guida Jdam per le bombe Gbu-31 e 150 per le Gbu-38/54 insieme a contenitori di armi.

Tornando alla questione “emiratina”, c’è anche la possibilità che la mossa di Abu Dhabi sia funzionale esclusivamente a strappare condizioni migliori per la vendita, ma bisogna considerare che gli Eau hanno già siglato un contratto di acquisto per 80 caccia Rafale dalla Francia, senza considerare l’interesse, mai sopito, per i velivoli di fabbricazione russa: recentemente, in occasione del salone aeronautico di Dubai, è circolata la voce che proprio gli Emirati potrebbero essere il principale partner straniero per la costruzione dell’ultimo caccia “leggero” russo, il Sukhoi Su-75 “Checkmate” recentemente presentato a Mosca. In particolare quest’ultima possibilità, insieme alla presenza cinese, potrebbe aver innescato un’ulteriore stretta in merito alle misure di sicurezza imposte per procedere alla vendita degli F-35. Misure di cui non abbiamo conoscenza, ma che potrebbero riguardare limitazioni nel software di gestione del velivolo, ma che in ogni caso hanno innescato la reazione piccata di Abu Dhabi.





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