Nei giorni successivi all’invasione russa dell’Ucraina su Inside Over avevamo parlato del fatto che l’azione di Vladimir Putin avrebbe rappresentato, di fatto, una vittoria di Joe Biden. E non tanto, o non solo, nei confronti di una Russia che ha scelto consapevolmente di mettersi all’angolo, quanto piuttosto di un’Europa tornata ad essere cortile di casa della superpotenza di oltre Atlantico.

La visita a Bruxelles del presidente Usa in occasione del vertice Nato e del Consiglio Europeo ha, in tal senso, dimostrato che gli Usa tirano ancora le fila dell’Alleanza Atlantica e che il Vecchio Continente segue a ruota. Il Corriere della Sera sottolinea che a Bruxelles “Joe Biden si è comportato come il leader di fatto. Il comunicato finale del vertice sembra una fotocopia della dichiarazione diffusa dalla Casa Bianca qualche ora prima”, con accenno sia alla linea rossa delle armi chimiche come non plus ultra sia alla conferma di nuovi e vigorosi aiuti militari all’Ucraina: droni e missili anti-carro e anti-aerei, con la possibilità in futuro di fornire anche batterie anti-nave.

Cosa più importante, sarà la Nato in prima persona a coordinare gli interventi in sostegno a Kiev, un cui ingresso nell’Alleanza non è però stato nemmeno discusso. Dunque i Paesi europei si inseriscono nel flusso delle coordinate strategiche garantite della Casa Bianca, come accaduto nel 2011 quando su iniziativa italiana l’esuberanza della Francia nel lanciare i raid contro la Libia di Gheddafi fu mediata in seno a un comando congiunto dell’Alleanza Atlantica che riconsegnò ai riluttanti Usa il timone della nave.

Paesi come la Polonia e il Regno Unito avevano nelle scorse settimane superato a destra la posizione degli Usa aprendo alla possibilità di un intervento diretto e muscolare in caso di eccessive minacce portate da Putin all’Occidente. I baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e la Norvegia hanno fatto loro la posizione di “ambiguità costruttiva” di Boris Johnson e Mateusz Morawiecki, la più gradita al presidente ucraino Volodymir Zelensky.



Secondo tale dottrina, l’uso da parte della Russia di armi di distruzione di massa (chimiche, batteriologiche, nucleari) avrebbe dovuto essere causa esplicita di intervento Nato nel conflitto. I Paesi dell’Europa occidentale (Francia, Germania, Spagna, Italia) non hanno voluto sottoscrivere questa presa di posizione e la mediazione finale è arrivata nelle mani di Biden che, per ora, ha scelto una linea cautelativa. Niente ambiguità costruttiva, dunque. Ma un messaggio chiaro viene lanciato da Biden indicando la Polonia, sede del più importante schieramento di truppe Usa a Est, come tappa conclusiva del suo tour europeo. Il fianco Est sarà rinforzato con una forza militare di quattro battaglioni (da 300 a 1000 soldati) di pronto intervento da inviare in Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania, Paese questo che presidia il fianco balcanico del Mar Nero ed appare sempre più decisivo nella strategia Usa.

Inoltre, la scelta dei Paesi europei di promuovere politiche di difesa comune e autonomia strategica nel quadro, però, di un consolidamento della seconda gamba del campo atlantico e seguendo la prescrizione Nato del 2014 di portare le spese militari al 2% del Pil rafforza la presa Usa. Biden era vicepresidente di Barack Obama ai tempi del summit in cui, preoccupata dall’assertività russa a Est, la Nato dopo la crisi della Crimea varò questa prescrizione, a cui i Paesi dell’Est, il Regno Unito e la Francia si sono già conformati, mentre l’Italia e la ritornante Germania hanno iniziato a promuovere l’aumento della spesa.

La Nato si rafforza come proiezione dell’interesse politico Usa e la faglia del contenimento antirusso, dunque, la fa entrare in una nuova fase. Biden vuole traghettare questa unità, in prospettiva, dal contenimento a Mosca a quello a Pechino, non a caso ammonita da possibili iniziative a favore di Putin che, ad ora, non sembrano nella mente di Xi Jinping. Ed è simbolico analizzare la ritualità della foto collettiva dei leader che vede, vicino a Biden, Boris Johnson, a testimonianza di una “relazione speciale” che vive e prospera, principalmente, in antitesi all’Europa continentale. Oggetto e non soggetto delle dinamiche Nato. E, sull’altro fronte, Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco che si trova nella vera “ambiguità strategica”, non filorusso ma nemmeno nemico mortale di Putin, membro della Nato ma non atlantista, venditore di armi (compresi i micidiali droni Tb-2) a Kiev ma fermo nel rifiutare le sanzioni alla Russia, sottoscrittore della dichiarazione finale ma mediatore di primo piano. Da un lato il leader più antirusso, dall’altro quello meno russofobo della Nato, ma nessun leader dell’Ue al proprio fianco: Biden con equilibrismo si rimette al comando della Nato. E il messaggio è chiaro: i pochi margini di autonomia sono concessi ai battitori liberi come Erdogan o ai “fratelli” britannici degli Usa. Staremo a vedere come si muoverà l’Europa nel mutato quadro strategico.





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