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Nella prima settimana di gennaio siamo venuti a conoscenza che uno dei due cavi sottomarini che collega la Norvegia alle isole Svalbard era stato misteriosamente troncato. Si trattava dello Svalbard Undersea Cable System, un cavo di comunicazione sottomarino doppio che collega Longyearbyen, nell’arcipelago artico, con Andoya a nord di Harstad, nella Norvegia settentrionale. I due cavi sono lunghi rispettivamente di 1375 e 1339 chilometri, e sono gestiti da Space Norway, l’agenzia spaziale del Paese, che sovrintende alla Svalbard Satellite Station (SvalSat).

Apprendiamo ora, da Barents Observer, che la polizia norvegese, che sta indagando su quanto accaduto, ha raccolto prove che indicano il “coinvolgimento umano” nell’interruzione del cavo. “Le indagini preliminari rafforzano la nostra ipotesi sull’impatto umano che ha portato alla perdita di comunicazione in uno dei cavi”, ha detto al quotidiano Bergens Tidende, Ronny Jorgensen, legale della polizia norvegese. Jorgensen non ha voluto approfondire i risultati ottenuti dalle indagini, ma chiarisce che è improbabile che il danno sia stato causato da avvenimenti naturali. Finora nessuno è stato accusato o sospettato per quella che, a tutti gli effetti, si dimostra essere stata un’azione di sabotaggio, riferisce il quotidiano Nrk.

Lo Svalbard Undersea Cable System oltre a fornire connessione web all’insediamento umano alle Svalbard, serve il parco antenne SvalSat, che utilizza oltre 100 antenne satellitari su un vicino altopiano montuoso. SvalSat è oggi la più grande stazione di terra commerciale del mondo con clienti in tutto il mondo. La sua particolare posizione geografica, a 78 gradi nord cioè a metà strada tra la Norvegia continentale e il Polo Nord, conferisce alla stazione una posizione unica per fornire supporto agli operatori di satelliti in orbita polare. Proprio per questo i cavi rappresentano anche un assetto militare e la stessa stazione satellitare SvalSat, come logico, è un potenziale bersaglio per una missione di spionaggio o sabotaggio.

Secondo Space Norway, l’interruzione del cavo si è verificata da qualche parte tra 130 e 230 km da Longyearbyen, in un’area in cui le profondità oceaniche scendono a circa 2700 metri. L’interruzione, come riferiscono i norvegesi, non ha in alcun modo modificato la capacità di comunicare efficacemente con le Svalbard, ma ha rappresentato una temporanea mancanza della fondamentale capacità di ridondanza, quindi creando una situazione potenzialmente pericolosa. Sappiamo che questa capacità è stata ripristinata il 18 gennaio e il cavo dovrebbe essere completamente riparato nel corso di questo mese.

Come vi avevamo già raccontato, non è la prima volta che un cavo sottomarino in acque antistanti la Norvegia viene danneggiato: a novembre 2021, il Norwegian Marine Research Institute ha informato che il cablaggio sottomarino dell’osservatorio oceanico Lofoten–Vesteralen era fuori servizio dopo che circa 4 chilometri di cavo erano in qualche modo scomparsi. Quella particolare connessione viene usata per il monitoraggio marittimo, ma ha anche raccolto informazioni di intelligence per le forze armate norvegesi. Alla fine di novembre, un gruppo di ricerca dotato di un Uuv (Unmanned Underwater Vehicle) è riuscito a localizzare parti del cavo mancante a undici chilometri di distanza dalla sede del cablaggio.

In entrambi i casi, quindi, la rottura è stata causata da attività umana, e i sospetti, nonostante le autorità norvegesi non commentino, ricadono sulla Russia. La motivazione potrebbe essere comune: un segnale che l’utilizzo militare di certi assetti non viene tollerato da Mosca.

Per quanto riguarda il cavo tra Norvegia e Svalbard ci sono state indicazioni, anche dalla stessa Russia, che SvalSat sia utilizzata per scaricare dati da satelliti militari oltre che commerciali, quindi in violazione del trattato che definisce l’arcipelago come smilitarizzato. La troncatura pertanto, che avrebbe potuto essere più risolutiva se avesse interessato entrambi i cavi, ha il sapore di un avvertimento. Del resto è anche ragionevole pensare che sia stata un’azione per determinare i tempi di risposta dei norvegesi per il ripristino della connessione, ma si tratta di congetture.



Quello che è sicuro è che la Russia dispone di tutti gli strumenti necessari per questo tipo di azioni. Supposto che il sottomarino/batiscafo Losharik sia ancora in riparazione dopo il terribile incidente che ha provocato la morte di 14 membri di equipaggio, alla Russia restano, oltre ai Rov teleguidati da unità di superficie, due classe Paltus capaci di raggiungere elevate profondità ed entrambi in forza alla Flotta del Nord, così come il Losharik. Si tratta di battelli leggermente più piccoli di quest’ultimo che vengono utilizzati e operati dalla marina russa ma per conto del Gugi (Glavnoye Upravleniye Glubokovodnykh Issledovaniy), ovvero il direttorato principale per la ricerca sottomarina profonda che dipende direttamente dal ben noto Gru, il servizio segreto militare russo.

Si ritiene che le missioni del Gugi includano lavori su comunicazioni sottomarine e reti di sensori, prospezione di idrocarburi, salvataggio di sottomarini, indagini sui relitti e, ovviamente, attività legate allo spionaggio. La flotta di sottomarini a disposizione di questo particolare raggruppamento è rappresentata da tre grandi sommergibili “madre” (Orenburg, Mosca ed il nuovo Belgorod), quattro sottomarini/batiscafo (il Losharik, due classe Paltus e un classe X-Ray/Nelma che probabilmente è stato ritirato dal servizio) e da altri tre più piccoli batiscafi (della classe project 1910).

Perché disturbarsi a raggiungere le profondità oceaniche per tranciare un cavo? Oltre al valore militare che possono avere certi cablaggi – possono essere dei sensori che registrano l’attività subacquea come il passaggio di un sottomarino – attraverso i cavi passa ancora la stragrande maggioranza delle comunicazioni del mondo: si calcola che circa il 95% delle informazioni scorra attraverso una fitta rete di cavi che corrono per 870 mila chilometri tra tutti i continenti. Ai satelliti è devoluto il compito – in condizioni normali – di trasmettere solo la restante percentuale, pari circa al 3-5%. Si capisce bene, quindi, come tali infrastrutture siano altamente strategiche anche in condizioni di pace: è possibile infatti applicare particolari strumenti su di esse per “ascoltare” il traffico dei dati. In caso di conflitto, poi, quando diventa vitale rendere l’avversario “sordo e cieco”, un cavo sottomarino può venire tranciato per interrompere le comunicazioni e sovraccaricare la rete aerea e satellitare, magari tramite dei dispositivi preposizionati su di esso che vengono attivati con un comando a distanza.

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