L’invasione russa dell’Ucraina ha avuto come immediato risultato il generale ricompattamento dei Paesi europei facenti parte della Nato sui legami atlantici, dopo quasi un lustro che all’interno dell’Alleanza si era aperta una crisi che aveva addirittura portato il presidente francese Emmanuel Macron a definirla “cerebralmente morta” a novembre del 2019.
Emmanuel Macron, in quella occasione, aveva affermato che l’Alleanza, fondata nel 1949, soffriva della mancanza di coordinamento e dell’imprevedibilità degli Stati Uniti, allora retti dal presidente Donald Trump. Addirittura quando gli è stato chiesto se credeva ancora nella difesa collettiva garantita dall’articolo cinque del trattato della Nato, aveva risposto molto esplicitamente: “Non lo so”.
Macron aveva criticato quella che aveva definito una mancanza di coordinamento strategico tra i membri europei dell’Alleanza, gli Stati Uniti e la Turchia, accusando anche Washington di mostrare segni di “voltarci le spalle”, a seguito dalla decisione di Trump di ritirarsi dalla Siria nord-orientale senza consultare gli alleati. Inoltre, l’unità tra i membri del blocco era stata messa a dura prova anche quando la Turchia aveva lanciato, subito dopo il ritiro Usa, un’operazione militare in Siria, che Macron aveva definito “folle”.
Il vaso di Pandora
Allora gli Stati Uniti erano particolarmente frustrati dalla mancanza di contributo finanziario da parte degli altri membri dell’Alleanza: Trump lamentava che la stragrande maggioranza dei Paesi europei della Nato non stava facendo abbastanza per raggiungere (o avvicinarsi) al traguardo del 2% del Pil per la Difesa, e forte della sua politica “America First”, aveva addirittura egli stesso messo in dubbio il futuro dell’Alleanza – definendola “obsoleta” nel 2017 – arrivando ad affermare che gli Stati Uniti avrebbero potuto non venire in difesa degli alleati che non spendono abbastanza per la difesa comune.
Le parole del presidente francese Macron aprirono una faglia in seno alla Nato, con l’allora cancelliere tedesco Angela Merkel che le definì una reazione eccessiva, ma la situazione non migliorò, e il frettoloso ritiro statunitense dall’Afghanistan ad agosto del 2021 – gestito in modo quasi del tutto unilaterale – confermò all’interno dell’Unione Europea i timori francesi, portando quindi a una decisione epocale, ovvero quella di stabilire un primo contingente militare condiviso per costituire una Expedition Force, ovvero una forza di primo intervento da inviare in aree di crisi: l’embrione da cui, idealmente, dovrebbe svilupparsi la Difesa europea.
La bussola strategica
Difesa comune e politica estera comune sono strettamente interconnesse, ma entrambe non possono esistere se non c’è autonomia strategica, e ancora una volta è stata Parigi la prima a parlarne, sebbene durante il Consiglio Atlantico del febbraio del 2021. In quella occasione il presidente Macron ha individuato alcuni punti che possono essere presi come cardine della sicurezza europea anche in ambito extra Nato, e che infatti poi sono comparsi nella Bussola Strategica dell’Unione europea: l’attenzione al “nostro vicinato”, in particolare il Medio Oriente e l’Africa che, come disse il leader francese “sono il nostro vicinato, non quello degli Stati Uniti”, e la definizione dell’Unione Europea come un organismo che opera “in coordinamento politico con la Nato”, quindi non in modo subordinato.
Andando a leggere la Bussola Strategica, infatti, possiamo vedere come il “fronte meridionale” – intendendo con questo termine il continente africano e il Medio Oriente – occupi una parte importante della trattazione insieme a quello orientale, e come la Nato viene vista come un partner strategico – al pari dell’Onu, dell’Osce e di altri – con cui rafforzare i legami, e non potrebbe essere altrimenti data la natura dell’Alleanza Atlantica e dato il particolare periodo storico che vede una guerra in Europa.
La Bussola Strategica è il documento più importante stilato dall’Ue per quanto riguarda la Difesa e mira a rafforzare ulteriormente il ruolo dell’Unione nella gestione delle crisi, utilizzando i diversi strumenti a sua disposizione. Uno di questi sono gli Eu Battlegroup, per i quali è stato deciso un ulteriore sviluppo portando il numero di soldati a 5mila, e che dovrebbero cominciare le esercitazioni congiunte e l’addestramento quest’anno. La forza deve essere pienamente operativa entro il 2025 ed essere in grado di restare dispiegata per 12 mesi in aree fino a 6mila chilometri misurati da Bruxelles. Oltre alle truppe di terra, la nuova forza deve includere capacità spaziali e informatiche, forze speciali e capacità di trasporto aereo strategico e, a seconda delle esigenze, forze aeree e navali.
Bisogna però pensare a possibili incentivi per la generazione della forza, nonché a mandati più flessibili e solidi per le missioni e operazioni oltre a snellire il processo decisionale, che appare ancora molto farraginoso. Del resto anche la messa in atto delle indicazioni contenute nella Bussola Strategica sembra già lenta così com’è, senza vari lacci e laccetti dati dallo scarso coordinamento europeo: il termine ultimo per la piena autonomia di azione è fissato al 2030.

Indecisioni e lentezza decisionale
Autonomia significa avere strumenti finanziari per la Difesa e altri per determinare il procurement e le specifiche di questi strumenti, e qui forse si potrebbe rivedere una complessità che non fa bene all’Unione europea: Pesco, Edf, Occar, Aed rischiano di sperperare risorse e differenziare troppo le piattaforme, che invece andrebbero regolate in modo da uniformare al massimo le dotazioni delle forze armate europee. A proposito: perché continuare a finanziare due caccia di sesta generazione? Non sarebbe meglio concentrarsi sul più promettente date expertise maturate dai partecipanti e prospettive di vendita ovvero il Tempest?
Soprattutto, però, in questo momento la lentezza decisionale europea e le innumerevoli diatribe per quanto riguarda la costruzione di nuovi sistemi d’arma spingono alcuni Paesi a guardare al di fuori del Vecchio Continente e in particolare a comparare “dallo scaffale” (o off the shelf) negli Stati Uniti e altrove. Un esempio lampante è dato dalla Polonia che, senza particolari indugi, si è affidata agli Stati Uniti e alla Corea del Sud per modernizzare il suo esercito e le forze aeree. Anche la Romania, ultimamente, ha preso la stessa rotta individuando negli M1 Abrams gli Mbt (Main Battle Tank) per il proprio esercito. Eppure in Europa esistono almeno un carro armato di pari livello, ovvero il tedesco Leopard 2A7, che però non viene prodotto a ritmi sostenuti che invece oltre Atlantico possono garantire, senza considerare che da quelle parti possono disporre di depositi di Mbt dismessi dal Corpo dei Marines che ha abbandonato la sua forza pesante.
Mentre la nascita della Difesa europea prosegue, sebbene lentamente, non si vede ancora una linea comune di politica estera, nonostante alcuni punti interessanti fissati nella Bussola Strategica come l’avvio di esercitazioni navali coi partner nell’Indo-Pacifico: le valutazioni delle nazioni europee divergono profondamente per quanto riguarda la priorità tra le diverse minacce.
Dobbiamo anche considerare che un altro grosso ostacolo verso la nascita della Difesa comune è dato dalla stessa natura delle forze armate europee, che come abbiamo già ampiamente discusso in questi anni, hanno subito pesanti tagli nelle loro capacità con la dismissione di mezzi e il taglio al personale. Come può l’Unione europea avere capacità di deterrenza se non ha un numero sufficiente di Mbt, veicoli corazzati da combattimento, artiglieria, sistemi missilistici da crociera di precisione, velivoli da combattimento e unità navali?
Ecco perché la Nato, in quanto vede la presenza di una superpotenza militare come gli Stati Uniti, è ancora l’unico vero ente in grado di poter avere un reale peso nelle dinamiche della difesa europea, mentre il turno dell’Ue è rimandato a quando l’industria bellica sarà finanziata adeguatamente, il procurement militare razionalizzato e gli indirizzi di politica estera definiti da un numero limitato di Paesi maggiori (come una sorta di “Consiglio di Sicurezza Europeo”) con la possibilità per tutti gli altri di avere solo potere consultivo e di entrare in questo consiglio a rotazione annuale.