Sei lanci in 12 giorni e 24 test complessivi dall’inizio di gennaio. Il 2022 si sta fin qui rivelando l’anno più intenso di sempre per lo sviluppo del programma missilistico della Corea del Nord. La goccia che ha fatto traboccare il vaso risale allo scorso martedì. Pyongyang ha sparato un missile a raggio intermedio (IRBM) verso il Giappone – tecnicamente in grado di colpire la base statunitense a Guam – mettendo a dura prova la pazienza di Tokyo, Seoul e Washington. Gli Stati Uniti hanno reagito effettuando esercitazioni congiunte con i sudcoreani, lanciando, a loro volta, cinque missili, e richiamando la portaerei Ronald Reagan (CVN-76) nel Mare dell’Est per intimidire il Nord.

A quanto pare non è servito a niente, visto che, neanche 24 ore dopo il primo lancio, 12 aerei militari nordcoreani hanno volato in formazione, in un’apparente esercitazione, costringendo il Sud a far decollare 30 jet da combattimento come risposta. Otto jet da combattimento e quattro bombardieri “hanno inscenato il volo in formazione a nord del confine aereo intercoreano e si pensa che abbiano condotto esercitazioni di fuoco aria-superficie”, ha dichiarato lo Stato Maggiore di Seoul.

Come se non bastasse c’è attesa per il sempre più probabile settimo test nucleare nordcoreano che potrebbe arrivare da un momento all’altro.

In uno scenario del genere, tra la guerra in Ucraina che va avanti senza sosta, il rischio di un conflitto militare tra Vladimir Putin e la Nato, le scintille tra Cina e Usa su Taiwan, in tutto questo Kim Jong Un ha buone chance di scatenare l’incendio perfetto. Ma per quale motivo il presidente nordcoreano ha scelto di innalzare la tensione proprio adesso?

Calendario alla mano, tralasciando le altre dispute geopolitiche in corso, mancano poche settimane al XX Congresso del Partito Comunista Cinese che dovrebbe incoronare Xi Jinping presidente della Cina per un inedito terzo mandato quinquennale. È lecito supporre che, in concomitanza con l’avvicinamento di eventi chiave – come lo è il citato Congresso in programma il 16 ottobre – Pechino non voglia sentire nessun rumore di sottofondo. Tanto meno quello dei missili lanciati da un loro teorico partner. Eppure Kim non sembra minimamente curarsi del possibile fastidio di Xi: perché?

Il piano di Kim

Impossibile non partire dal dato di fatto più evidente: la Corea del Nord sta stringendo i muscoli approfittando delle turbolenze geopolitiche globali. Quando c’è di mezzo Pyongyang, ogni dimostrazione di potenza militare deve essere letta in relazione ai tempi, al contesto dell’avvenimento e al tipo di arma impiegata. Poco importa se la Cina ha un fondamentale appuntamento alle porte: Kim ha ragioni ben più convincenti per proseguire con i suoi test.

Innanzitutto, questi lanci – e i prossimi – possono essere considerati un promemoria del fatto che la tecnologia militare nordcoreana sta avanzando, e che le capacità balistiche del Nord non devono assolutamente essere sottovalutate. Ovviamente i test sono anche una risposta agli Stati Uniti.

Non è un caso che i test di questa settimana siano arrivati subito dopo che Stati Uniti e Corea del Sud hanno ripreso le esercitazioni navali su larga scala, esercitazioni che Pyongyang considera prove per un’invasione. Per non prlare, poi, della visita al confine intercoreano del vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris.

Più in generale, invece, il comportamento risoluto della Corea del Nord potrebbe essere una conseguenza dell’instabilità politica globale che ha dato l’opportunità a Kim di provocare i suoi vicini, senza i timori di incappare nell’ennesimo giro di sanzioni. La guerra in Ucraina è diventata una distrazione per Joe Biden, e ha pure indirettamente contribuito a rafforzare i legami tra Pyongyang e Mosca. Così come la recente attività militare cinese nello Stretto di Taiwan ha consentito al Nord di sfruttare le crescenti tensioni tra Washington e Pechino.

La posta in gioco

In definitiva, gli apparenti giorni dell’unità del 2017, quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu, Russia e Cina comprese, imponeva pesanti sanzioni al governo nordcoreano, sono evaporati come neve al sole. È apparso evidente lo scorso maggio, nel momento in cui cinesi e russi ponevano i loro veti ad una risoluzione che avrebbe scatenato nuove sanzioni contro il Nord. Kim Jong Un continua quindi a sfruttare l’Ucraina, Taiwan e un Consiglio di sicurezza ostacolato da Putin e Xi per promuovere lo status nordcoreano di Paese nucleare legittimo.

“La Corea del Nord ha goduto di una protezione totale da parte di due membri di questo consiglio”, ha dichiarato, dal canto suo, l’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield. “Due membri permanenti del Consiglio di sicurezza legittimano Kim Jong Un”, ha aggiunto, polemizzando all’indirizzo di Mosca e Pechino. In ballo c’è il futuro dell’Indo-Pacifico.

“Il lancio del missile (l’IRBM ndr) intensifica la minaccia alla sicurezza lungo il fianco occidentale del Giappone: la Russia a nord, la Corea del Nord al centro e la Cina a sud. Un’importante minaccia strategica da tenere d’occhio è la cooperazione tra Russia-Cina-Corea del Nord, che amplifica i rischi per il Giappone”, ha affermato al Washington Post Robert Ward, senior fellow presso l’International Institute for Strategic Studies. Dietro al Giappone ci sono gli Stati Uniti. Allo stesso modo, accanto a Washington, troviamo gli alleati del blocco occidentale.

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