La richiesta di aiuti militari dell’Ucraina per fronteggiare l’offensiva russa ha letteralmente trasformato l’industria bellica mondiale. L’esempio più eclatante coincide con la Corea del Sud, che nel 2022 ha visto schizzare alle stelle l’export del suo settore degli armamenti (+140%), fino al raggiungimento del valore record di 17,3 miliardi di dollari.

La maggior parte di quell’incasso è figlio di un accordo da 12,4 miliardi con la Polonia per la vendita di carri armati, obici, aerei da combattimento e lanciarazzi multipli. Ricordiamo che, anche se Seul si è rifiutata di foraggiare direttamente Kiev, il governo sudcoreano ha comunque deciso di incrementare le proprie esportazioni globali di armamenti verso quei Paesi impegnati a farlo in maniera esplicita.

In ogni caso, già nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021, e secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, la Corea del Sud era stata la nazione in più rapida crescita tra i primi 25 esportatori di armi al mondo, classificandosi all’ottavo posto con una quota del 2,8% del mercato globale. Numeri che sarebbero in seguito cresciuti a causa del conflitto ucraino. E della fame di obici delle forze armate di Volodymyr Zelensky.



La fame ucraina di obici

Assemblaggio, prova sul campo, spedizione. Il processo è continuo e procede a vele spiegate. La richiesta più gettonata ricevuta dalla Corea del Sud è l’obice semovente K9 da 155, definito dal Wall Street Journal il cuore dell’improbabile ascesa di Seoul come esportatore di armi. Al centro di tutto ciò troviamo invece Hanwha Aerospace, il più grande appaltatore della Difesa nazionale, ora più che mai impegnato nel tentativo di aumentare la propria capacità produttiva per stare al passo con l’immensa mole di richieste pervenuta.

Come è stato possibile arrivare fin qui? Semplice: gli Stati Uniti e i loro alleati hanno inviato all’Ucraina gran parte delle proprie forniture di artiglieria e munizioni, per poi rendersi conto che le rispettive industrie belliche non erano preparate a rifornire Kiev in maniera rapida. È qui che è entrata in gioco la Corea del Sud.

Il Paese asiatico è stato disposto a rifornire Washington e annessi partner, dimostrando per altro di poterlo fare spesso in tempi più brevi, e a costi inferiori, rispetto a molti concorrenti occidentali. Il risultato è che la guerra in Ucraina ha trasformato l’industria bellica della Corea del Sud, che in passato produceva armi principalmente per la propria Difesa, nell’esportatore di armi in più rapida crescita al mondo.

Il jolly di Seoul

Hanwha, intanto, sta raddoppiando la sua capacità di produrre obici, ha affermato Choi Dong-bin, direttore generale dello stabilimento Hanwha Aerospace di Changwon. Anni di investimenti costanti nei processi produttivi – causati dalla necessità di tenere a bada la minaccia nordcoreana – hanno gettato le basi per l’espansione internazionale dell’azienda, arrivata in concomitanza con l’offensiva russa in Ucraina.

Al contrario, terminata la Guerra Fredda, molti membri della Nato hanno ridefinito le priorità delle loro industrie degli armamenti. Le nazioni europee hanno ridotto i loro bilanci per la Difesa, riducendo le scorte di carri armati e artiglieria pesante, pensando che fosse pressoché impossibile che una guerra terrestre su larga scala potesse coinvolgere una grande potenza militare. I fondi furono invece destinati all’acquisizione di caccia e navi.

Ecco che gli obici made in Korea hanno rapidamente scalato le gerarchie. In particolare, l’obice K9 della Corea del Sud non è considerato avanzato quanto il PzH 2000 della Germania – che ha una velocità di lancio più rapida ed è in grado di caricare più munizioni contemporaneamente – ma costa quasi la metà e, soprattutto, una rapidità di consegna stimata in pochi mesi invece che in anni. Come se non bastasse, le armi della Corea del Sud si basano su trasferimenti tecnologici statunitensi e tedeschi, e questo le ha rese ideali per i Paesi della Nato. L’industria globale degli armamenti ha un nuovo player.

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