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Un (apparentemente secondario) annuncio del Dipartimento di Stato Usa può rappresentare un punto di svolta importante per il Mediterraneo orientale. Gli Stati Uniti, infatti, hanno comunicato di avere revocato tutte le restrizioni al commercio con Cipro per l’anno fiscale 2023 nel campo della Difesa. Secondo il Dipartimento di Stato, il governo di Nicosia ha soddisfatto tutte le condizioni ritenute necessarie dagli uffici Usa per esportare armi e altri articoli per il settore bellico. E per questo motivo, dall’anno prossimo anche Cipro potrà importare tutti i tipi di armi: possibilità limitata da un embargo che ha avuto inizio nel 1987 per giungere a un accordo tra la parte turca e quella meridionale e che aveva iniziato già a essere ridotta sotto l’amministrazione di Donald Trump.

L’annuncio, accolto ovviamente con grande entusiasmo dalla parte greca, ha provocato al contrario l’ira della Turchia, che vede in questa mossa un preciso segnale di indebolimento delle sue posizioni nei circuiti statunitensi. Per molti analisti, la partita di Cipro per Washington riguarda soprattutto la possibilità che quest’isola non ammetta più la sosta di navi militari russe e prosegua in un distacco da Mosca dopo anni in cui veniva considerata anche una sorta di centrali degli interessi di molti oligarchi e magnati russi nel Mediterraneo. Tuttavia è chiaro che la questione abbia ripercussioni sostanziali anche nei rapporti con Ankara, considerato che Cipro nord, tutt’ora de facto indipendente e riconosciuta solo dalla Turchia, rappresenta un elemento essenziale della strategia del Paese anatolico (e non solo di Recep Tayyip Erdogan).

La parte nord dell’isola, che vede ancora la presenza di militari turchi, è in sostanza un protettorato di Ankara sorto dopo lo sbarco delle sue forze nel 1974. Gli Stati Uniti, insieme al Regno Unito, hanno provato a trovare un compromesso con la Turchia che evitasse un nuovo scontro frontale tra quest’ultima e la Grecia, soprattutto perché questo significherebbe un conflitto interno alla Nato e che coinvolgerebbe anche l’Unione europea.

Ma mentre gli accordi di pace non hanno mai trovato davvero un seguito che potesse porre davvero fine allo disputa tra Ankara e Atene (e Nicosia), nel frattempo è sorta anche una guerra interna agli apparati Usa messa in atto dalle lobby filoturche e filoelleniche e cipriote. Una sfida che è cambiata anche in funzione delle diverse presidenze che si sono succedute alla Casa Bianca e alla composizione del Congresso americano.

Questo punto, che può apparire meno rilevante nelle logiche del Mediterraneo quando si ha a che fare con una superpotenza come gli Stati Uniti, è in realtà centrale per comprendere gli intricati rapporti triangolari tra Washington, Ankara e Nicosia, con Atene che rappresenta il grande sponsor di quest’ultima. Perché è proprio guardando alle dinamiche interne del Congresso e alle amministrazioni statunitensi che si capisce come la politica estera Usa si orienta anche su un fronte così complesso come quello del Levante. E per Erdogan, che da tempo prova a strappare una posizione di forza nella regione, il messaggio che arriva dal Dipartimento di Stato non può che essere negativo: la politica americana al momento non appare infatti affatto ben disposta nei suoi confronti. E dopo il riconoscimento da parte di Joe Biden del genocidio degli armeni, lo stop agli F-35, la paralisi sul fronte F-16, il sostegno al rafforzamento delle forze Usa in Grecia e il nodo del supporto ai miliziani curdi, la rimozione dell’embargo alle armi per Cipro è un tema che non può che essere recepito come un avvertimento verso Ankara. Messaggio che si aggiunge anche alla freddezza con cui Washington ha saputo dei nuovi scontri in Caucaso e al viaggio di Nancy Pelosi in Armenia: certo non una mano tesa verso l’Azerbaigian alleato della Turchia.

I media turchi hanno segnalato come la rimozione delle limitazioni alle armi per Cipro può innescare una nuova escalation che coinvolgerebbe la parte turca del nord e inevitabilmente anche Ankara. Il Daily Sabah ha riportato le parole del presidente della Repubblica turca di Cipro nord, Ersin Tatar, il quale ha detto che la parte turca “non rimarrà inattiva” di fronte a un possibile riarmo di Nicosia con strumenti in arrivo dall’Occidente. E, sempre dalla repubblica settentrionale, è stata ribadita l’importanza della “garanzia” militare fornita Turchia, che “non è affatto discutibile ed evidentemente vitale più che mai”.

Importanti anche le tempistiche, che non possono affatto essere sottovalutate. Lo stop all’embargo sulle armi è previsto infatti nel 2023, un anno cruciale anche dal punto di vista elettorale: Grecia, Cipro e Turchia andranno tutte e tre al voto. Ed è chiaro che il tema di Cipro nord tornerà a essere al centro della campagna elettorale, specialmente per un Erdogan a caccia di consensi e di rafforzamento della propria leadership interna e regionale. La politica estera è sempre stata uno strumento non solo strategico, ma anche di vetrina per il “Sultano”. E a questo si aggiunge il fatto che il nodo cipriota è un tema che unisce tutti i partiti turchi, anche quelli meno entusiasti di Erdogan e i più fermi sostenitori del kemalismo. L’annuncio del Dipartimento di Stato potrebbe essere interpretato come un segnale di decadenza del nome di Erdogan negli apparati che contano, pecie nella Nato.

Anche in Grecia, governata da un primo ministro conservatore come Kyriakos Mitsotakis, e fortemente orientata su una politica antiturca, la questione della tutela degli interessi greco-ciprioti può essere fondamentale. Tutta (o quasi) la politica estera di Atene si basa sulla sfida al dirimpettaio dell’Egeo. E non è un caso che il ministro degli Esteri Nikos Dendias abbia espresso “profonda soddisfazione” per la decisione statunitense di revocare l’embargo sulle armi a Cipro definendola addirittura “una pietra miliare” nelle relazioni tra Repubblica di Cipro e Stati Uniti d’America. Una scelta che dopo l’East Med Act del 2019 segna un passo in avanti nel supporto agli interessi ellenici e ciprioti: specialmente in una fase in cui Washington vuole limitare Mosca in ogni campo (dal gas alle reti di alleanze) e avvertire chi non è troppo aderente a queste direttive. Ma è chiaro che Grecia e Turchia sono entrambi alleati della Nato e fondamentali su diversi fronti, specialmente Ankara tra Mar Nero e Medio Oriente. La partita Usa è complessa: ma rischia di innescarsi su una sfida dalle radici antiche e che appare spesso pronta a sfociare in uno scontro frontale.