Da tempo si è delineata una nuova architettura di sicurezza globale – o per meglio dire insicurezza – che si può riassumere in due concetti: quello di “competizione duratura” (continuum competition), ovvero di tensione internazionale permanente in cui diventa sempre più complesso tutelare i propri interessi, e quello di “ricorrente instabilità” (pervasive instability) contraddistinta da fenomeni imprevedibili e dinamici, spesso con azioni condotte nella “zona grigia” (gray zone) e quindi al di sotto del livello di innesco di un conflitto aperto.
L’attuale conflitto in Ucraina ha solamente evidenziato ancora una volta come le tensioni del mondo multipolare, che ardevano come braci perimetrali del fuoco del contrasto al terrorismo internazionale alimentate dal vento dell’assertività/aggressività di attori regionali e globali liberi dal meccanismo di contrapposizione tra blocchi, siano una realtà oggettiva da affrontare per mantenere la stabilità e la sicurezza nazionali.
Nel nuovo concetto strategico dello Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ha giustamente sottolineato come le Forze Armate siano proiettate in una fase storica contrassegnata da fenomeni di grande portata politica e strategica, che hanno radicalmente mutato il nostro modo di vivere e la nostra percezione del futuro. Si profila dunque, afferma l’ammiraglio, l’esigenza di evolvere verso un nuovo “paradigma della deterrenza”, di fatto sempre più connesso con lo “sviluppo tecnologico” e con l’ampliamento degli strumenti dissuasivi. La deterrenza pertanto, prosegue il Csm Difesa, non può prescindere da uno strumento militare all’avanguardia, che abbia come corollari l’adozione di un modello operativo interforze e multidominio e la capacità di partecipare, a pieno titolo, alla rivoluzione in atto nel settore delle tecnologie militari. Nel documento si afferma che in questo scenario geostrategico, le missioni all’estero per la pace e la stabilità internazionale, per la salvaguardia della dignità della persona umana, sono la sintesi e la trasposizione operativa sul piano internazionale del patrimonio di valori che ispirano le Forze Armate. L’impegno italiano cresce costantemente: per la prima volta dal dopoguerra, il dispositivo militare nazionale è dispiegato in un arco geografico di un’ampiezza senza precedenti: dalla regione Artica e dal Baltico verso sud attraverso il Fianco Est dell’Alleanza, dal Golfo Persico verso ovest attraverso il Corno d’Africa ed il Medio Oriente, il Mediterraneo, il Nord Africa e il Sahel fino al Golfo di Guinea. In tutte le aree comprese in questo arco, le attività delle Forze Armate potrebbero ampliarsi e proseguire, anche ed inevitabilmente a seguito dei risvolti della crisi ucraina.
Il Mediterraneo Allargato è diventato, nel corso degli anni, centrale come spazio di interesse strategico primario per il nostro Paese. Qui si gioca la partita fondamentale che ci vede come protagonisti, in una sfida che coinvolge la Russia, che ha ampliato la sua presenza militare e politica in quella regione, e la Cina, che ha aumentato in modo tangibile la sua influenza strategica ed economica utilizzando principalmente, ma non solo, lo strumento della Belt and Road Initative (Bri).
Gli equilibri di potenza stanno mutando anche nell’Indo-Pacifico, che sta emergendo come area di interesse strategico per il nostro Paese pertanto si è individuata la possibilità di intervento diretto nell’area per cogliere le opportunità che potrebbero aprirsi dalla contrapposizione tra la Cina e gli alleati degli Stati Uniti.
Gli scenari chiave per l’Italia
Stante questo quadro generale, la Difesa ha individuato delle regioni di interesse primario per la nostra sicurezza nazionale: i Balcani, che vedranno una nostra maggior presenza in supporto della comunità internazionale, la Libia insieme alla Tunisia, il Libano, la Giordania e l’Egitto, il Sahel, dove la presenza militare russa si è fatta più attiva, il Golfo di Guinea con la Nigeria, il Golfo di Aden insieme alla Somalia, sino ad arrivare all’Iraq e al Pakistan, col quale si stanno sviluppando relazioni a seguito del ritiro dall’Afghanistan in modo da avere un hub orientale per la nostra aerea di interesse geostrategico.
Con l’attuale crisi di governo che ha aperto a nuove elezioni previste per il prossimo 25 settembre, quale sarà la sorte delle missioni internazionali a cui partecipa il nostro Paese? Nonostante non sia possibile prevedere con certezza la compagine politica che uscirà vincitrice dalle urne, possiamo affermare, con un certo margine di sicurezza, che l’agenda di politica estera del nostro Paese non subirà sostanziali rivisitazioni, anche alla luce dei nuovi impegni che sono stati finanziati.
Il governo uscente, infatti, a luglio ha approvato lo stanziamento di fondi per il sostentamento di tre nuove missioni sino alla fine di quest’anno: l’impegno bilaterale di supporto alle forze armate del Qatar in occasione dei mondiali di calcio 2022 che vedrà la presenza di 560 unità di personale militare, 46 mezzi terrestri, un mezzo navale e due mezzi aerei; la missione militare di formazione dell’Ue in Mozambico denominata “Eutm Mozambico” che impiegherà 15 unità del personale militare, infine quella forse più importante, ovvero la partecipazione al potenziamento della presenza della Nato nell’area sud-est dell’Alleanza, nella fattispecie con reparti che andranno a comporre i battlegroup multinazionali in Ungheria e Bulgaria, che vedranno la presenza di mille unità di personale e 380 mezzi terrestri.
Le missioni che sono state prorogate a tutto il 2022, che vedono l’impiego complessivo di 8505 unità, sono sei in Europa, otto in Asia (due in meno rispetto all’anno precedente non risultando prorogatala partecipazione italiana a Resolute Support in Afghanistan e a Eubam Rafah a Gaza), e 18 in Africa (una in più rispetto all’anno precedente avendo aggiunto la missione Onu di assistenza in Somalia).
Nel continente africano la presenza italiana più consistente è nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (400 unità, 69 mezzi terrestri, 2 mezzi aerei), in Asia quella in Libano (1169 unità, 368 mezzi terrestri, un mezzo navale e 7 mezzi aerei) e nella coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh (650 unità, 97 mezzi terrestri e 11 mezzi aerei) mentre in Europa è diventata la Nato Joint Enterprise nei Balcani dopo l’incremento, rispetto al 2021, di 852 unità di personale, 137 mezzi e un mezzo aereo (totale complessivo 1490 unità, 367 mezzi terrestri e due mezzi aerei).
Riteniamo che gli impegni internazionali futuri, invece di diminuire, aumenteranno stante proprio quanto affermato nel concetto strategico dello Smd: la nuova collaborazione col Pakistan richiederà molto probabilmente un qualche tipo di cooperazione di tipo militare, mentre l’attenzione rivolta, per la prima volta ufficialmente, verso l’Indo-Pacifico è possibile che si trasformerà – se richiesto dagli interessati – in una cooperazione coi nostri partner strategici nell’Asean o con il Giappone, che rimane il Paese principale per quanto riguarda le collaborazioni militari/strategiche bilaterali e multilaterali.