La Romania, a denti stretti, ha confermato nelle scorse ore che l’annuncio ucraino della caduta di un drone russo sul territorio nazionale del Paese balcanico era vero, ma non ha compiuto un’offensiva retorica e politica tale da alzare un vespaio di polemiche contro Mosca.
Il presidente della Repubblica Klaus Iohannis, di fatto figura di riferimento in uno Stato dal potere esecutivo fragile e frastagliato da anni, ha smentito il suo stesso ministero della Difesa, i cui funzionari avevano respinto al mittente la dichiarazione di Oleg Nikolenko, portavoce del Ministero degli Esteri ucraino, che riferendosi al Servizio statale di frontiera del suo Paese aveva dato notizia dell’evento il 4 settembre scorso.
Iohannis è entrato nel dibattito senza forzare la mano. Certo, ha riconosciuto che la notizia rappresenta una “grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Romania”. Ma la risposta della Romania appare decisamente distante da quella rabbiosa e durissima della Polonia, che nel novembre scorso fece fuoco e fiamme quando un missile russo diretto in Ucraina colpì poco oltre i confini del Paese uccidendo due cittadini polacchi in un’azienda agricola. Allora il governo polacco di Mateusz Morawiecki andò a pochi passi dal chiedere l’attivazione delle clausole di sicurezza collettive della Nato, fattispecie che oggi Iohannis si è ben guardato dal paventare.
Con grande senso di responsabilità e understatement, il leader di Bucarest ha ben ponderato l’uso delle parole e i toni diplomatici. Non è nell’interesse della Romania alzare la tensione. Iohannis ha lasciato che a smentire le voci rincorsesi su social e media rumeni sulla possibilità che Bucarest arrivasse addirittura a chiedere l’attivazione dell’Articolo 5, la clausola di sicurezza colllettiva dell’Alleanza Atlantica, fosse il ministro della Difesa romeno, Angel Tilvar, che ha avuto modo di rifarsi dopo esser stato smentito dal capo dello Stato nei giorni scorsi. “Questo non ci rende certo felici, ma non credo che si possa parlare di attacco. E come ho detto prima, ritengo che dobbiamo saper distinguere tra un atto di aggressione e un incidente”, ha detto Tilvar. Parole che mostrano la volontà di de-escalation di un Paese diventato un perno della Nato nel quadrante del Mar Nero, ma tutto fuorché fanaticamente anti-russa.
Non dimentichiamo, infatti, che negli ultimi mesi la Russia ha aumentato gli attacchi alle strutture portuali ucraine di aree come Izmail e Reni, nella confluenza tra gli affluenti orientali del Danubio e il grande fiume mitteleuropeo a pochi chilometri dalla foce. Come InsideOver ha avuto modo di documentare da Giurgiulesti, in Moldavia, queste infrastrutture si trovano in un’area in cui tra il Prut e il Danubio Romania, Moldavia e Ucraina si trovano estremamente vicine e in poche centinaia di metri i confini di Stato cambiano. Dunque è possibile che un incidente di questo tipo accada. Al tempo stesso, la Romania ha modo di temere dall’inizio della guerra le provocazioni russe, dall’attacco all’Isola dei Serpenti del primo giorno del conflitto alle manovre di interdizione sul grano ucraino, e certamente ha un sistema di allerta attivo capace di distinguere, chiaramente, tra attacchi premeditati e manovre frutto di errori.
C’è, poi, un dato politico da tenere in considerazione. La Romania non ha interesse a seguire Paesi come la Polonia nel loro zelo anti-russo a tutto campo. Bucarest non sta operando politiche di riarmo tanto intese come quelle di Varsavia, ha fatto della presenza delle infrastrutture Nato e statunitensi sul suo territorio un fattore di accresciuta rilevanza strategica, partecipa da protagonista alla sicurezza collettiva in ambiti come l’innovazione e la cybersicurezza. Ma non ha interesse a fare del Mar Nero uno spazio di rischi e conflittualità che potrebbero mettere a repentaglio la sua fragile prospettiva di sviluppo economico e la sua sicurezza.
Un paper dell’Institute for Central Europe di Lublino del 2021 ha ben spiegato la geopolitica rumena nella regione: “Il governo rumeno desidera esserne l’iniziatore di una cooperazione estesa fondata sulla fiducia reciproca tra l’Oriente del Vecchio Continente e l’Europa occidentale. Vuole contribuire a creare condizioni migliori per un’azione comune in campo economico per l’Unione Europea”, in una dinamica non necessariamente conflittuale con la Russia, “per coordinare le relazioni culturali ed economiche attraverso precisi processi politici”.
L’area del Mar Nero è un punto cruciale in Europa, e per la Romania, come ha scritto Mirko Mussetti in Axeinos – Geopolitica del Mar Nero, fare del Ponto Eusino un’area di bilanciamento geopolitico è, in questa fase, cruciale. Logicamente l’Ucraina ha spinto sull’acceleratore per spingere Bucarest ad ammettere la provenienza russa del drone caduto, cosa che Iohannis ha fatto, e scavare un solco tra Nato e Russia. Ma Iohannis ha pensato anche ad equilibri interni all’Alleanza che fughe in avanti come quella polacca di novembre hanno rischiato di sconvolgere. Del resto, l’Articolo 5 si può anche invocare. Ma deve essere approvato dagli alleati. E certamente, a novembre nessun Paese Nato avrebbe voluto morire per Varsavia. Men che meno oggi lo farebbe per Bucarest davanti a un caso ingigantito dalla propaganda politica, legittima dal punto di vista ucraino, di una parte in causa.
Iohannis, del resto, capisce i meccanismi Nato e con la gestione di questo caso potrebbe aver gettato le basi per una solida e credibile candidatura alla guida dell’Alleanza Atlantica nel 2024. In declino una delle frontrunner, il falco estone Kaja Kallas, implicata negli scandali riguardanti le attività in Russia del marito, e bloccata ogni proposta da parte dei Paesi dell’Ovest, Iohannis potrebbe essere il candidato ideale. Esponente dell’Est, potrebbe essere il primo leader di un Paese ex sovietico a guidare l’Alleanza Atlantica e – fattispecie non secondaria – la prima personalità di etnia tedesca al vertice della sua struttura, tutto questo senza apparire come un candidato eccessivamente sbilanciato nel campo dei “falchi” antirussi. La cui posizione cozza con quelle di buona parte dei Paesi dell’Europa meridionale. Nella de-escalation di Iohannis, insomma, potrebbe esserci il seme di una candidatura per succedere a Jens Stoltenberg. Per il comando di Bruxelles le candidature, almeno informalmente, sono già aperte. E il capo di Stato di Bucarest ha buone e crescenti credenziali.