Esiste il business della guerra generato direttamente dal conflitto, con le aziende militari dei Paesi belligeranti, o cobelligeranti, impegnate a rifornire gli eserciti impegnati sul campo con missili e proiettili dal valore di svariati miliardi di dollari. Troviamo poi il grande affare della ricostruzione post bellica, la torta degli aiuti umanitari e, in sordina ma sempre particolarmente ricco, il boom indiretto dell’industria bellica.

Banalmente, quando l’aria è densa di tensioni, e due o più Paesi entrano in guerra tra loro, scatta un effetto domino impossibile da arrestare. Le altre nazioni, più o meno connesse ai due sfidanti e quindi preoccupate di un loro possibile coinvolgimento nello scontro, entrano in una spirale votata al riarmo.

Basta dare un’occhiata alla guerra in Ucraina, che ha di fatto potenziato la macchina militare russa, cinese, giapponese e pure dei membri della Nato, o alla stessa ascesa della Cina, che sta preoccupando e non poco l’intera Asia.

I numeri dello Stockholm International Peace Research Institute, sottolineati da La Stampa, parlano di un 2022 caratterizzato da una corsa al riarmo senza precedenti, con una spesa di 2.100 miliardi di dollari. Un fatto è certo: le spese militari mondiali continuano ad aumentare. E la loro corsa sembrerebbe essere inarrestabile.

L’aumento delle spese militari

Tutti stanno correndo dietro al senso di sicurezza incarnato dal riarmo. Anche i Paesi della Nato, che una decina di anni fa fissarono l’asticella della spesa militare al 2% del loro prodotto interno lordo. Lo scoppio del conflitto ucraino ha accelerato questo processo, ma ancora oggi diversi governi dell’Alleanza Atlantica sono distanti dal traguardo prefissato, Italia compresa.

Che dire, invece, della Russia? Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2020, una lunga parentesi temporale caratterizzata dalla leadership di Vladimir Putin, Mosca ha incrementato le proprie spese militari di ben 9,5 volte.

I dati sulla Cina sono più incerti, anche se pure Xi Jinping ha attuato una modernizzazione delle forze armate, con il desiderio di trasformare l’Esercito Popolare di Liberazione in un esercito di caratura globale entro il 2049. Nel frattempo, secondo alcune stime, la spesa militare cinese si aggirerebbe intorno ai 252 miliardi di dollari (numeri del 2020), con un +76% rispetto al 2011.

Gli Stati Uniti, invece, continuano a mettere sul tavolo cifre monstre, che fanno impallidire tanto Mosca quanto Pechino: nel 2021, Washington ha speso 800 miliardi di dollari.

Corsa alle armi

In Europa stiamo assistendo ad una nuova tendenza. Se negli ultimi decenni – almeno 40 anni – i Paesi Nato avevano frenato sulle spese militari, scendendo dal 3% a meno del 2% del pil, adesso, adesso è partita la corsa inversa.

In Asia il fenomeno del riarmo è ancora più evidente. Dal Giappone alla Corea del Sud, dal Vietnam all’Indonesia, passando per Australia e India, non c’è praticamente governo che non abbia stanziato, o stia per farlo, ingenti somme nei settori della Difesa e della sicurezza.

Prendiamo il Giappone: Tokyo ha ordinato i caccia F-35, è entrato nel progetto Tempest assieme a Italia e Regno Unito e punta ad un sistema di missili all’avanguardia nonché a bombardieri strategici ultra moderni.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2021 Roma ha totalizzato una spesa militare pari a 24,4 miliardi di euro, ovvero l’1,37% del pil. L’anno precedente, nel 2020, il Paese era al 102esimo posto su 147 Paesi per spesa militare su Pil. E cioè, sia sotto la mediana Ue, fissata all’1,6%, che Nato (1,8%).

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.