Un centinaio di missili aria-aria Aim-9X Block II Sidewinder dal valore complessivo di 85 milioni di dollari e 60 missili antinave Agm-84L Harpoon Block II da 355 milioni. Bisogna poi includere l’ammontare di 655,4 milioni di dollari per l’estensione di un contratto sulla sorveglianza radar. Sono queste le richieste complessive, relative alla vendita di un cospicuo pacchetto di armamenti destinato a Taiwan, che l’amministrazione di Joe Biden prevede di recapitare al Congresso. Il tutto per circa 1,1 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Politico.

Il tempismo della notizia non è certo delle migliori, viste le recenti tensioni che attraversano la regione. In seguito alla visita della speaker della Camera Usa Nancy Pelosi a Taipei, la Cina continua infatti ad inviare navi da guerra e aerei nello Stretto di Taiwan. Pechino ha inoltre da poco concluso imponenti esercitazioni militari, in calendario già da tempo ma sfruttate per lanciare un chiaro messaggio agli Stati Uniti e, in seconda battuta, a quella che il Dragone considera una “provincia ribelle”.

Nel caso Washington dovesse optare per l’invio di nuove armi a Taiwan non è da escludere l’eventualità che il governo cinese possa reagire, non solo a parole, ma pianificando una qualche risposta militare. Pressoché impossibile immaginare un’invasione. Molto più probabile, semmai, ipotizzare nuove esercitazioni o un blocco economico, completo o parziale, attorno all’isola. Siamo di fronte a tre scenari molto diversi tra loro. Escludendo lo scenario dell’attacco diretto, al momento utopico, le altre due eventualità dovrebbero essere valutate con la massima attenzione. Se, infatti, le manovre militari potrebbero rivelarsi dimostrazioni fini a se stesse, il discorso cambierebbe radicalmente qualora Pechino accarezzasse l’idea di soffocare l’economia taiwanese. La strategia del blocco, in altre parole, agli occhi di Taipei equivarebbe ad una sorta di atto di guerra.



La (rischiosa) mossa di Biden

Il citato pacchetto militare si trova ancora in una fase iniziale e, da qui al semaforo verde, il suo contenuto potrebbe subire sostanziali modifiche. Certo è che i missili Sidewinder andrebbero ad armare i caccia F-16 di fabbricazione statunitense utilizzati dall’esercito taiwanese. Procediamo però con ordine. Quando e se l’amministrazione Biden formalizzerà la notifica, il presidente democratico e il grado repubblicano della commissione per le relazioni estere del Senato e della commissione per gli Affari Esteri della Camera dovranno firmare la vendita. Soltanto a quel punto l’operazione potrà andare in porto. È infatti possibile che i legislatori approvino la vendita, ma che il processo possa bloccarsi o protrarsi, vista la momentanea “pausa estiva”, e quindi sospensione, del Congresso.

In attesa di capire che cosa accadrà, vale la pena chiedersi per quale motivo gli Stati Uniti dovrebbero effettuare una vendita di armi a Taiwan proprio adesso. C’è chi ipotizza che Washington abbia intenzione di testare i nervi Pechino, spingendo Xi Jinping ad effettuare un passo falso in vista del fondamentale Congresso del Partito Comunista Cinese programmato per ottobre, e chi, al contrario, ritiene che l’eventuale mossa di Biden debba essere inserita nella strategia statunitense per contenere la Cina nell’Indo-Pacifico. Considerando che, nonostante le gravi accuse e minacce, la Cina non ha potuto impedire la visita di Pelosi a Taipei, gli Stati Uniti potrebbero alzare il tiro spedendo armamenti al governo taiwanese, confidando sul fatto che anche questa volta il Dragone si limiterà ad abbaiare senza mordere.

È tuttavia un rischio enorme, o peggio, una sorta di arma a doppio taglio che rischia di mandare in fumo il fragile equilibrio sul quale poggiano le basi della questione taiwanese. Ricordiamo, infatti, che gli Stati Uniti hanno aderito – e tecnicamente continuano a farlo – alla cosiddetta One China Policy delineata nel Taiwan Relations Act del 1979. Stiamo parlando di quella particolare politica che stabilisce che gli Stati Uniti non stabiliranno relazioni diplomatiche formali con Taipei e riconosceranno una sola Cina. La Repubblica Popolare Cinese, appunto, e non Taiwan. Sebbene gli Stati Uniti non abbiano relazioni diplomatiche formali con Taiwan, sono comunque autorizzati ad aiutare la democrazia a difendersi. In aggiunta a ciò, il Taiwan Relations Act ha dato via alla dottrina dell'”ambiguità strategica“, in base alla quale gli Stati Uniti hanno scelto di non impegnarsi ufficialmente sul difendere o meno militarmente Taiwan di fronte ad un’eventuale invasione di Pechino.



Le armi Usa a Taiwan

Lo scorso maggio, ben prima del caso Pelosi, pare che l’amministrazione Biden abbia respinto le richieste di Taiwan per ottenere armi di grosso calibro. Washington avrebbe al contrario esortato Taipei ad acquistare altre attrezzature che, a detta degli Stati Uniti, potrebbero scoraggiare un’eventuale attacco di Pechino. In particolare, le autorità taiwanesi sarebbero interessate all’elicottero MH-60R Seahawk, mentre gli Usa avrebbero più volte esortato l’isola ad investire su droni, missili antiaerei Stinger e missili anticarro Javelin, teoricamente meno vulnerabili al cospetto delle avanzate armi cinesi.

In ogni caso, nel corso degli ultimi anni le relazioni tra Taiwan e Stati Uniti si sono rivelate particolarmente attive. Taipei ha ricevuto molteplici pacchetti militari da Washington, anche se, recentemente, il governo taiwanese ha dovuto fare i conti con gli effetti della guerra in Ucraina. Sempre a maggio, il ministro della Difesa taiwanese, Chiu Kuo Cheng, ha spiegato che l’acquisto di obici semoventi M109A6 Paladin è stato sospeso a causa di un’affollata linea di produzione, così come un ordine di Stinger è stato ritardato.

Tornando al pacchetto da 1,1 miliardi di dollari, se dovesse andare in porto questa vendita sarebbe la più grande da un accordo da 2,4 miliardi di dollari risalente all’ ottobre 2020, nonché la più grande da quando Biden è entrato in carica. In precedenza, l’amministrazione Biden aveva infatti venduto ricambi per navi e sistemi navali (120 milioni di dollari, l’8 giugno), fornito un pacchetto di assistenza tecnica (95 milioni), garantito un programma di sorveglianza (100 milioni) e, come detto, autorizzato la cessione di obici semoventi M109A6 Paladin, ordine poi sospeso.

Decisamente più nutrita la lista di cessioni sotto la presidenza di Donald Trump. Limitandoci a citare le spese più corpose, sottolineamo gli 1,8 miliardi per vendere a Taipei 135 missili AGM-84H, 4 missili telemetrici ATM-84H SLAM-ET e 12 missili CATM-84H dell’ottobre 2022, i 100 Harpoon Coastal Defense Systems (HCDS) con 400 missili annessi (oltre un miliardo, sempre nell’ottobre 2022), la maxi commessa di 66 caccia F-16V block 70, 75 radar AN/APG-83 AESA e 75 sistemi Link 16 (8 miliardi, agosto 2020) e i 108 carri armati M1A2T inclusi in un pacchetto da 2 miliardi nel luglio 2019. La lista è ovviamente molto più corposa e include ogni presidenza Usa da Jimmy Carter ad oggi.

Dal canto suo, il Ministero degli Esteri cinese ha invitato gli Stati Uniti a interrompere la vendita di armi e i contatti militari con Taiwan. “La Cina si oppone fermamente alla vendita di armi da parte degli Stati Uniti alla regione cinese di Taiwan”, ha fatto sapere Pechino in un commento inviato a Bloomberg. Nel frattempo, in vista del prossimo anno Taipei ha proposto di aumentare la spesa totale per le forze armate di quasi il 14%.





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