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Il generale (in pensione) dell’aeronautica statunitense Philip Breedlove ha scritto un articolo su Defense News in cui sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero aumentare la produzione dei caccia di quinta generazione F-35, in quanto rappresentano l’unico assetto in grado di garantire la superiorità aerea alle forze della Nato in caso di conflitto.

Il generale Breedlove è stato il comandante supremo alleato in Europa della Nato (Saceur) tra il 2013 e il 2016, oltre ad aver comandato l’Us European Command ed essere stato vice capo di Stato maggiore dell’Us Air Force.

Cosa significhi ottenere la superiorità aerea (o il livello superiore, la supremazia), lo abbiamo già chiarito diverse volte parlando delle operazioni aeree durante il conflitto in Ucraina: riassumendo, la superiorità aerea – ovvero la libertà di utilizzo dei cieli da parte dei propri velivoli – la si ottiene eliminando o riducendo drasticamente le capacità di difesa aerea del nemico, rappresentate dai sistemi Sam (Surface to Air Missile), dai sistemi di artiglieria contraerea, dai caccia, dai siti radar e dai centri di comando, controllo e comunicazione.

Furtività e interoperabilità: i pregi dell’F-35

L’F-35, grazie alle sue doti di furtività, è un cacciabombardiere in grado di contribuire all’ottenimento della superiorità aerea, idealmente colpendo a distanza – con missili da crociera o bombe guidate dotate di una certa capacità di planare sul bersaglio – gli assetti della difesa avversaria, ma soprattutto, per via della sensoristica installata sul velivolo, è una piattaforma volante di raccolta e condivisione dati a lungo raggio in tempo reale, quindi è un abilitante delle operazioni sul campo di battaglia, siano esse navali o terrestri. Oltre a questo, l’F-35 migliora l’interoperabilità tra alleati e partner degli Stati Uniti in quanto è compatibile con un’ampia gamma di sistemi alleati e la sua diffusione e l’utilizzo in operazioni congiunte permettono alle forze armate che lo utilizzano di effettuare operazioni congiunte a un livello mai raggiunto prima, quindi diventando più efficaci ed efficienti.

Un’interoperabilità che sta crescendo in quanto sempre più F-35 vengono acquistati dai Paesi dell’Alleanza (e non solo, come la Svizzera, il Giappone e Singapore): oltre ai partner originari del programma Jsf (Joint Strike Fighter) che ha dato la luce al “Lightning II”, tra cui c’è anche l’Italia e il Regno Unito, il caccia è stato ordinato da Polonia, Belgio, Finlandia, Germania mentre vivo interesse è stato espresso da Repubblica Ceca, Grecia e Romania.

Il velivolo, nonostante alcune problematiche che persistono per via della complessità della macchina, è da considerarsi maturo, con più di 920 caccia consegnati, più di 663mila ore di volo accumulate e più di 2mila piloti abilitati complessivamente sino a maggio 2023.

Un F-35A Lightning II dell’Aeronautica statunitense assegnato al 355th Fighter Squadron riceve carburante da un KC-135 Stratotanker assegnato al 909th Air Refueling Squadron durante un’esercitazione aerea bilaterale con i caccia della Japan Air Self-Defense Force sull’Oceano Pacifico, il 14 aprile 2023. Foto dell’aviere maggiore Jessi Roth.

La richiesta ai legislatori Usa

Nonostante questi numeri, il generale Breedlove ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero accelerare la produzione del caccia perché, secondo lui, c’è bisogno di quanti più F-35 si possano schierare il più velocemente possibile. Breedlove è stato lapidario: il Congresso e l’amministrazione “devono massimizzare la produzione di F-35 per garantire alla Nato le capacità di cui ha bisogno per difendere i suoi membri e scoraggiare una possibile aggressione”, ha detto a Defense News, aggiungendo che “dobbiamo assicurarci che l’America e i suoi alleati superino i nostri avversari nel cielo oggi, domani e per i decenni a venire”.

In effetti una maggior produzione, quindi diffusione, del “Lightning II” porterebbe con sé, oltre a un maggior livello di interoperabilità tra alleati e partner e l’implementazione delle capacità aeree (ma non solo come visto), un effetto collaterale sicuramente benefico, ovvero l’ulteriore abbassamento del costo unitario e di quelli di gestione. Se all’inizio della produzione, i primi due F-35A erano costati 200 milioni di dollari l’uno, ora, col lotto numero 14, il costo unitario è crollato a 78 milioni di dollari.

Lockheed-Martin, che produce il caccia, ha affermato lo scorso novembre che è probabile che il costo di ciascun F-35 d’ora in avanti aumenti a causa dell’inflazione, dell’esaurimento degli ordini e delle capacità aggiuntive fornite. I caccia del lotto 15 saranno i primi dotati di Technology Refresh 3 già installato: una serie di aggiornamenti all’hardware e al software del caccia destinati a migliorarne i display, la capacità di elaborazione dati e la memoria. Questi miglioramenti consentiranno al velivolo di archiviare ed elaborare più dati, oltre a fornire la “spina dorsale” per gli aggiornamenti che andranno a costituire il Block 4 dell’F-35. Quest’ultima serie di miglioramenti includerà la capacità di trasportare più armi, riconoscere meglio i bersagli e condurre operazioni di Ew (Electronic Warfare) avanzate.

Un modo per ridurre i costi unitari è sicuramente quello di produrne di più: inflazione e capacità aggiuntive possono venire compensate da un maggior numero di caccia prodotti, e i nuovi ordini provenienti da Svizzera, Germania, Finlandia e Polonia possono fare la loro parte, ma sicuramente se si decidesse di aumentare complessivamente gli F-35 in servizio nelle forze aeree che già li utilizzano, il loro costo unitario subirebbe un’ulteriore decrescita al punto da potersi attestare su livelli inferiori rispetto a quello di un F-15Ex (circa 80 milioni di dollari) e di un Eurofigther “Typhoon”, che secondo il ministero della Difesa britannico ha un costo di circa 84 milioni di euro per velivolo.

Non bisogna pensare però, dato il panorama di insicurezza globale, di sostituire con un rapporto 1:1 i vecchi caccia di quarta generazione in servizio con gli F-35. Sebbene sia auspicabile, in quanto necessario, aumentare il numero di velivoli di quinta generazione schierati da una forza aerea (in particolare per l’Italia che dovrebbe tornare ai numeri di acquisizione originariamente previsti di 131 F-35 in loco dei 90 attuali), è opportuno mantenere in linea un consistente numero di caccia legacy in modo da avere una forza “di punta” costituita da assetti all’avanguardia (come gli F-35) affiancata da macchine “più vecchie” per avere quella “massa critica” in grado di garantire la superiorità (o supremazia) aerea sul campo di battaglia.

La sfida, infatti, è sempre quella che caratterizza tutti i conflitti, ovvero la lotta tra sistemi offensivi e quelli difensivi, in questo caso tra caccia di ultima generazione e difese aeree. A tal proposito è lecito ipotizzare che i progressi tecnologici nel campo dei radar di scoperta/tracking/acquisizione dei bersagli e della missilistica associata determinati proprio dalla necessità di avere difese aeree all’altezza delle nuove minacce, determineranno la perdita di un discreto numero di assetti di nuova generazione, che però, parimenti, elimineranno altrettanti sistemi di difesa aerea moderni. L’ambiente bellico generale sarà quindi degradato dopo i primi giorni di guerra, meno “contestato”, quindi più idoneo all’utilizzo di caccia legacy che saranno ancora efficaci.

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