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Aukus prende forma. L’accordo concluso tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti per la condivisone di tecnologie, intelligence e programmi per la difesa – e che ha i sottomarini a propulsione nucleare come elemento cardine – ha superato il suo primo step la scorsa settimana. Il ministero della difesa australiano ha infatti annunciato l’accordo per lo scambio di informazioni sulla propulsione nucleare con gli altri due Paesi firmatari di Aukus. Il ministro della difesa, Peter Dutton, in una nota, ha detto che “l’accordo sosterrà l’Australia nel completare i 18 mesi di esame approfondito e completo dei requisiti alla base della consegna di sottomarini a propulsione nucleare”. Londra e Washington, conferma la nota, “saranno in grado di condividere informazioni sulla propulsione nucleare navale con l’Australia, cosa che non possono con nessun altro Paese, nella determinazione del percorso ottimale per l’acquisto dei sottomarini a propulsione nucleare da parte della Royal Australian Navy”. Una formalizzazione di un processo avviato appunto con il patto trilaterale con cui gli Stati Uniti hanno voluto blindare l’Indo-Pacifico.

Canberra, come evidenziato anche nella stessa nota pubblicata dalla sua Difesa, ha già detto di non avere alcuna intenzione di possedere armi nucleari e ha chiarito che questo accordi riguarda solo la propulsione. Un concetto che è caro anche al Pentagono, che è da sempre molto restio a evitare fughe in avanti nel possesso generalizzato di arsenali nucleari soprattutto per evitare una pericolosa corsa al riarmi in una regione già molto complicata. Motivo per cui dalla Russia continuano a chiedere una marcia indietro sulla questione nucleare. Una richiesta arrivata in questi giorni anche dal rappresentante permanente russo nelle organizzazioni internazionali, Mikhail Ulyanov, che – come riportato da Agenzia Nova – in riferimento ai 18 mesi di discussioni previste dall’accordo ha chiesto che Australia, Regno Unito e Stati Uniti “giungano alla conclusione che è necessario ridimensionare la sua attuazione”.

In attesa che questo accordo prenda definitivamente forma, questi 18 mesi serviranno anche a capire quale sottomarino nucleare sarà più adatto per il rafforzamento della Royal Australian Navy. I due contendenti, una volta esclusi definitivamente i mezzi francesi, sono i sottomarini classe Astute di Londra e i classe Virginia in dotazione alla US Navy. Gli strateghi australiani, militari e politici, si interrogano da tempo su quale sia il modello più adatto per le ambizioni di Canberra e bisognerò capire ovviamente l’accordo che sarà concluso in separata sede tra le due parti atlantiche di Aukus, cioè Usa e Uk. Si tratta, infatti, non solo di una questione di sicurezza internazionale, ma anche di prestigio e di economica, con potenziali commesse dal valore di miliardi di dollari.

Secondo un’analisi dello Aspi, l’Australian strategic policy institute, gli elementi da considerate per la scelta di uno dei due modelli di sottomarini sono: “rischio di progettazione, dimensioni, equipaggio, carico, consegna, supporto e operazioni, addestramento e controlli sulle esportazioni”. La combinazione di questi elementi fa sì che ogni sommergibile abbia pro e contro per cui è difficile allo stato attuale esprimere giudizi netti. Sono entrambi sottomarini perfettamente in grado di svolgere i compiti richiesti alla Marina australiana e soprattutto sia gli Astute che i Virginia hanno motivazioni valide per essere preferiti all’altro in virtù di alcune specifiche tecniche legate all’armamento, alla capacità di addestramento, alle tempistiche ma anche alle possibilità di rifornimento in caso di guerra.

Questioni fondamentali che saranno decise in questi mesi e che potrebbero incidere non poco sul futuro dell’Australia. Secondo gli analisti più accreditati, è probabile che per gli australiani serviranno almeno 15 anni prima di avere in dotazione sottomarini nucleari gestiti autonomamente dalle forze di Canberra. E questo implica una decisione che, per i tempi della politica internazionale a cui siamo abituati, ha il sapore del lunghissimo termine. Non si tratta solo di non fare errori: ma di non commetterli per non ingabbiare l’Australia in una scelta che potrebbe comprometterla per diversi decenni.

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