Per la prima volta da quando è stato rieletto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha concesso un’intervista ad un giornale. Agli intervistatori del Jerusalem Post, Netanyahu si è rivolto con moderazione e determinazione, rassicurando sulla riforma giudiziaria, sulla svalutazione dello shekel, sull’inossidabile rapporto con gli Stati Uniti. Ha garantito che il suo governo sarebbe disponibile ad aprire gli accordi di Abramo all’Arabia Saudita, se non fosse che i palestinesi non vogliono la pace con Israele, e ha aggiunto che le apparenti trattative tra Washington e Teheran non lo preoccupano, perché si tratta di un’intesa dalle dimensioni insignificanti.
Tutti questi argomenti Netanyahu li ha affrontati esibendo sicurezza e calma, ma su un punto preciso ha assunto un tono di preoccupazione. Si tratta degli aiuti militari all’Ucraina, a lungo negati dal governo di Tel Aviv. E Netanyahu ha spiegato perché.
Una posizione unica nei confronti di Mosca
L’intervistatore ha chiesto conto della una timida apertura da parte del governo israeliano all’invio di armi all’Ucraina, riferendosi in particolare alla dotazione di un sistema di allarme missilistico. Prima di tutto, il premier ha sottolineato che Israele si trova – nei confronti della Russia – in una posizione diversa da quella di qualsiasi altro Paese occidentale che invia armi all’Ucraina. “Abbiamo un confine militare molto prossimo con la Russia, e i nostri piloti volano proprio di fianco ai loro sui cieli della Siria” ha affermato Netanyahu.

Fin dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, il governo israeliano ha tenuto “un piede in due scarpe”. Se da una parte si è da subito proposto come mediatore di una pace che mantenesse l’indipendenza ucraina e ha inviato aiuti umanitari come gran parte del mondo occidentale, dall’altra ha scrupolosamente evitato di implementare policy estere che avrebbero potuto danneggiare la sua posizione nei confronti di Mosca.
La collaborazione con i russi nell’ambito della sicurezza è fondamentale per Tel Aviv. I militari di Mosca infatti costituiscono una presenza importante in Siria e nel suo spazio aereo. Per Israele è necessario mantenere un alto livello di cooperazione con le forze russe per poter dare la caccia ai proxy delle Guardie della rivoluzione iraniana sul suolo siriano. Ridurre al minimo il rischio di ingaggiare un conflitto con la controparte russa è un presupposto fondamentale per mantenere la libertà d’azione “necessaria ad impedire i tentativi dell’Iran di posizionarsi militarmente sul nostro confine settentrionale” – ha affermato il premier.
Il lungo viaggio delle armi verso Israele
Spiegando il motivo di tanta cautela rispetto alle forniture militari a Kiev, Netanyahu ha citato il rischio più grande per Israele, che dalle sue parole sembra essere già reale: “temiamo che qualsiasi sistema inviato in Ucraina potrebbe essere usato contro di noi, poiché potrebbero cadere nelle mani dell’Iran. In realtà, questa non è una possibilità teorica: è già successo, abbiamo trovato sistemi anticarro di fabbricazione occidentale sui nostri confini. Pertanto dobbiamo prestare molta attenzione”.
Già nelle scorse settimane i comandanti delle Israeli defence forces avevano espresso la propria preoccupazione per il rischio che le armi fornite dagli Stati Uniti e dall’Occidente all’Ucraina potessero finire nelle mani dei nemici di Israele in Medio Oriente, primo tra tutti l’Iran. Il dirottamento delle armi (come ad esempio il sistema portatile per missili anticarro Javelin) è da tempo monitorato da forze paramilitari operative su entrambi i fronti della guerra russo-ucraina.
La paura confidata da un comandante israeliano al giornale americano Newsweek è che le forze russe e filo-russe siano spinte a cedere all’Iran le armi di provenienza americana e israeliana catturate sul campo di battaglia a causa della stretta relazione di difesa che lega Mosca e Teheran, e che dall’altra parte elementi filo-ucraini possano fare la stessa cosa motivati dai profitti del contrabbando d’armi. In entrambi i casi, il comandante israeliano sostiene che la via principale verso i confini israeliani passi dal Mar Nero al Mediterraneo, e che questa situazione costituisca motivo di grande preoccupazione per Tel Aviv per due motivi principali. Il primo è che gli agenti iraniani possano effettuare degli studi sulle funzionalità di questi sistemi d’arma, e riescano a produrli autonomamente. L’altro problema è che queste competenze vengano assorbite direttamente da organizzazioni come Hamas e Hezbollah (il cui arsenale, messo in mostra poche settimane fa, è ben lontano dal livello di avanguardia della tecnologia israeliana).
Il rischio che gli arci-nemici regionali possano mettere le mani sulle armi di Tel Aviv, ma anche americane, compromette grandemente il sistema di sicurezza che protegge Israele dai vicini. Dalle sue parole traspare che Netanyahu stesso è ben consapevole del pericolo. Nonostante i leader israeliani definiscano il Paese come parte della sfera occidentale e democratica del sistema internazionale, la prospettiva mondiale conta, e il dubbio che le loro stesse armi possano rivoltarsi contro Israele è un motivo sufficiente per non supportare apertamente Kiev e non inimicarsi Mosca.