Proprio come David Quammen aveva “previsto” la pandemia di Covid-19 con il suo volume Spillover (Adelphi, 2017), Elliot Ackerman e James Stavridis potrebbero fare altrettanto con lo scoppio della guerra tra Cina e Stati Uniti. Rispettivamente ammiraglio, con otto anni di servizio nei Marine e nelle forze speciali Usa, e consigliere della Casa Bianca, nel 2021 i due autori hanno dato alla luce 2034 (SEM, 2021), un romanzo nel quale vengono ipotizzati scenari da incubo.

Ackerman e Stavridis, in un’opera di fantasia altamente verosimile, ricostruiscono quella che potrebbe essere la resa dei conti tra l’Aquila e il Dragone. Dove avrebbe potuto verificarsi un testa a testa del genere, se non tra le agitate acque del Mar Cinese Meridionale? Il loro era solo un libro, appunto, ma nello stesso anno di uscita di 2034 si è sfiorato un mezzo disastro, proprio nel Mar Cinese Meridionale e proprio tra Pechino e Washington.

Un gruppo di scienziati dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) cinese ha reso noto un episodio risalente al 2021 ma fin qui rimasto avvolto nell’ombra. All’alba del 6 gennaio, mentre negli Usa stava per andare in scena l’assalto di Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump, a circa 150 chilometri dalle coste di Hong Kong è andato in scena un quasi scontro ravvicinato tra le forze armate statunitensi e quelle cinesi.



Incidente sfiorato

Secondo quanto riportato da un report pubblicato dalla rivista in lingua cinese Shipboard Electronic Countermeasures, tre aerei anti sottomarino statunitensi, lanciati alla caccia di un sottomarino di Pechino, avrebbero volato fino a portarsi al largo delle coste hongkonghesi, provocando una contro azione – fin qui rimasta classificata – da parte dell’esercito cinese.

L’Epl, che stava conducendo un’esercitazione navale in quell’area, ha risposto inviando una forza contraria, le cui dimensioni e natura rimangono segrete. A quel punto, poiché le due forze erano tra loro molto vicine, gli Stati Uniti hanno distrutto i propri sonar galleggianti per evitare che i dispositivi sensibili potessero cadere nelle mani di Pechino.

Il team del Dragone, guidato da Liu Dongqing con l’unità Pla 95510, ha affermato che le attività statunitensi rappresentano una grave sfida per la sicurezza nazionale cinese. “In tempo di guerra, questo potrebbe rappresentare una minaccia dannosa per i nostri sottomarini che svolgono missioni critiche”, ha quindi sottolineato lo studio.

Rischi da evitare

Questo episodio evidenzia come l’eventualità di un incidente fortuito tra mezzi militari statunitensi e cinesi nel Mar Cinese Meridionale non sia un’ipotesi tanto remota. L’8 gennaio, tre giorni dopo l’incidente, il generale Mark Milley, capo del Joint Chiefs of Staff degli Stati Uniti, ha fatto un’insolita telefonata ad un generale cinese e ha promesso di avvisare in anticipo la Cina se gli Usa avessero davvero intenzione di lanciare una guerra.

Non è chiaro se la chiamata di Milley fosse correlata all’incidente delineato nel rapporto. Certo è che se fosse scoppiata una guerra durante la transizione presidenziale, come stava avvenendo in quei giorni negli Stati Uniti, avrebbero potuto esserci implicazioni significative per il trasferimento del potere da Trump a Joe Biden.

Lo stesso rapporto, infine, ha acceso i riflettori su un altro aspetto delicatissimo. A quanto pare, aerei spia statunitensi avrebbero dispiegato sensori nelle acque vicino alle isole Dongsha, note anche come isole Pratas, un gruppo di atolli e scogliere sotto il controllo taiwanese.

A differenza di altre isole contese in questa regione – dove gli Stati Uniti hanno condotto operazioni di navigazione per contestare quelle che considerano eccessive rivendicazioni cinesi – solo Taipei e Pechino rivendicano le isole Dongsha.

In aggiunta alla delicatezza della questione taiwanese, Washington non riconosce ufficialmente Taiwan. L’impegno militare americano nei pressi del raggruppamento Dongsha, dunque, potrebbe essere interpretato dalla Cina come un deliberato tentativo di intensificare le tensioni locali.

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