Assassini seriali, musa ispiratrice di scrittori e sceneggiatori. Hanno gettato intere famiglie in lutto. E hanno fatto la fortuna del cinema horror e thriller degli anni Novanta, ispirando saghe lugubri-ma-di-successo come Venerdì 13, Halloween e Scream.
Assassini seriali, pochi ma letali: hanno ucciso (decine di) migliaia di persone in tutto il mondo – i dieci serial killer più prolifici della storia, insieme, hanno mietuto 898 vittime. La criminologia li divide in organizzati e disorganizzati, ma anche in missionari e vedove nere, in edonistici e meri disturbati. Alcuni non raggiungono la soglia minima accettabile del quoziente intellettivo, altri presentano un’intelligenza superiore alla media.
Assassini seriali, incubo della gente comune, ossessione dei profilatori e curiosità degli scienziati sociali. Che siano metodici o disordinati, o che siano allucinati o terribilmente lucidi, certo è che la loro specie, fortunatamente ma inspiegabilmente, è in via di estinzione.
I serial killer stanno scomparendo?
L’età d’oro degli assassini seriali è durata all’incirca un quarantennio, dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, e ha avuto un impatto profondo nell’immaginario collettivo degli occidentali e del resto del mondo. Ancora oggi, a decenni di distanza, film e serializzazioni sui grandi protagonisti di quest’epoca sono in grado di scuotere i botteghini, fisici e virtuali, come ha dimostrato il caso Dahmer su Netflix.
L’America puritana interpretò il fenomeno dei serial killer in termini escatologici, leggendolo come un segnale dell’incombente “fine dei tempi”. Per l’Unione Sovietica era una delle (tante) manifestazioni del declino della degenerata civiltà occidentale – ragion per cui, come è noto, si tardò a collegare una cinquantina di sparizioni ad una sola figura: Andrej Čikatilo. Per il Giappone profondo si trattava di una conseguenza indesiderata dell’occidentalizzazione della società. Sembrava una tendenza destinata, in ciascun caso, destinata a durare nel tempo. Ma così non è stato.
Negli Stati Uniti, stime ufficiali alla mano, il numero dei serial killer attivi su base annua è andato diminuendo drasticamente sul finire del Novecento: sarebbero stati 770 negli anni Ottanta, che sono scesi a 670 negli anni Novanta, per poi passare dai 400 del Duemila a poco più di 100 nel periodo 2010-20. 189 omicidi sarebbero stati imputabili a degli assassini seriali nel 1987, ma soltanto 30 nel 2015. Numeri che parlano di una specie in via di estinzione e che accomunano, anche se a tassi variabili, tutti quei paesi che hanno vissuto la golden age di sangue.
Le (possibili) ragioni
Il progresso tecnologico sembra essere, per i criminologi, il principale motivo della graduale rarefazione degli omicidi seriali. Avanzamenti, sviluppi e scoperte nella tecnologia forense, dall’informatica alla lettura del dna, hanno migliorato in maniera significativa l’efficacia dei reparti investigativi, che, tra analisi di materiale biologico e triangolazioni dati, risultano in grado di rallentare l’attuazione di omicidi di catena e persino di lavorare a casi freddi del passato remoto.
È il progresso tecnologico in sé, più che il progresso nella tecnologia forense, ad aver inciso sulle capacità di azione dei serial killer. La telecamerizzazione degli spazi urbani ed extraurbani, come strade e autostrade, rende necessaria l’elaborazione di tragitti e lo studio di vie di fuga a portata di pochi: quell’anomalo pugno di assassini seriali intellettivamente plusdotati. E rappresenta comunque, al di là del livello di intelligenza posseduto, un potente deterrente – negli Stati Uniti, ad esempio, si trova una telecamera ogni 4,6 persone.
Oggi, rispetto al passato, commissariati e dipartimenti dialogano, si scambiano dati, e va consolidandosi, in tutto il mondo, la tendenza alla cooperazione internazionale tra polizie. Si tratta, di nuovo, di eventi che hanno facilitato il lavoro alle forze dell’ordine e che lo hanno complicato ai criminali – non soltanto agli assassini seriali.
Importanti cambiamenti sono avvenuti anche a livello di società. Il fenomeno dell’autostoppismo è andato scomparendo nei paesi avanzati – ed è stato, storicamente, un importante bacino di selezione delle vittime per i serial killer. Il telefono è diventato cellulare – altro mutamento da non sottovalutare, perché sinonimo di geolocalizzazione e pronto soccorso. E la cultura pop, tanto ossessionata dal lugubre, ha paradossalmente aumentato la consapevolezza sui rischi si celano per strada, talvolta nella porta accanto.
Come è cambiata la violenza
Progresso tecnologico e cambiamenti sociali, ad ogni modo, potrebbero spiegare la sparizione dei serial killer soltanto in parte. Perché se è vero che uccidere in serie è diventato più difficile, lo è altrettanto che, perlomeno in certi contesti, sembra essere cambiato il modo di idealizzare l’omicidio. Sembra essere cambiata la violenza: meno elaborata, più spettacolarizzata.
Alcuni scienziati sociali e criminologi credono, soprattutto tra Stati Uniti e Giappone, nell’esistenza di una correlazione tra la diminuzione (eccezionale) degli omicidi seriali e l’incremento (straordinario) di altri due fenomeni criminogeni: assassinio in catena (spree killing), parricidio e stragismo, ovvero, rispettivamente, brevi-ma-intensi raptus omicidi, tragedie domestiche ed eccidi come i famigerati massacri scolastici. Ma per altri, i loro detrattori, è una correlazione spuria: profili psicologici diversi, ragioni differenti.
Che i misantropi stragisti, i mini-assassini seriali e gli iracondi uxoricidi del Duemila siano l’equivalente contemporaneo dei serial killer del Novecento, o che invece si tratti di fenomeni completamente estranei tra loro, certo è che l’unica cosa certa è una: il tramonto sta scendendo sull’era inaugurata da Jack lo squartatore.