La Turchia è prossima a diventare la Tortuga d’Eurasia? Mentre da un lato l’inflazione morde l’economia nazionale toccando il record del 61% su base annua e dall’altro Recep Tayyip Erdogan è estremamente attento a mediare nella guerra russo-ucraina per cogliere vantaggi strategici Ankara mira a prendere due piccioni con una fava sul fronte economico e politico. Sfruttando la sua centralità nelle negoziazioni e soprattutto la sua capacità di essere l’unica nazione Nato di peso in grado di tenere aperti credibili dialoghi con Mosca la Turchia vuole oggi giocare su entrambi i fronti. E la mossa del “condono” fiscale recentemente promossa da Erdogan lo testimonia.

“La svalutazione della lira” negli ultimi mesi “ha causato un nuovo record nel deficit della bilancia commerciale, che ha superato gli otto miliardi di dollari”, nota Domani. A ciò si aggiunge anche “la drastica riduzione delle riserve in valuta estera della Banca centrale turca, che a dicembre 2021 ha raggiunto il livello più basso dal 2002: soli 8,63 miliardi di dollari”. Per ovviare a ciò e al rischio di una fuga di capitali in grado di mandare, assieme al populismo finanziario di Erdogan, a terra l’economia nazionale Ankara ha varato una proroga alla legge promossa dal partito islamico-conservatore di governo Akp che consente agevolazioni per il rientro dei capitali esteri in patria.

La norma, si legge su Domani, “consente di poter riportare in Turchia denaro, valuta estera, oro, titoli e altri asset detenuti all’estero o di dichiararne l’esistenza nel paese senza incorrere in alcun tipo di penale e senza dover fornire informazioni sulla loro provenienza”. Non si tratta di una nuova legge ma della proroga estesa a tutti i tipi di asset di un precedente dispositivo ad hoc introdotto per le riserve finanziarie nel 2019, dopo che l’amministrazione di Donald Trump aveva mosso una vera e propria guerra economica alla Turchia provocando un terremoto finanziario e una fuga di capitali dal Paese dopo la concretizzazione della transazione che ha portato Ankara a ricevere dalla Russia l’avanzato sistema missilistico di difesa S-400 e a snobbare le ritorsioni statunitensi, culminate nello stop alla fornitura dei caccia F-35.



Non si tratta di un caso raro nella Turchia contemporanea. Negli Anni Ottanta e Novanta più volte gli sconvolgimenti della lira turca e il problema della stabilità dell’economia nazionale avevano portato i governi di stampo kemalista a promuovere sanatorie temporanee permettendo ai cittadini di depositare senza rischio di sanzioni ogni tipo di risorsa nelle banche del Paese e di vederle legalizzate a prescindere dalla provenienza in cambio di un ridotto prelievo fiscale. Manovra questa che ha fatto spesso le fortune della Mafia turca alleata sia coi servizi segreti (Mit) che con organizzazioni paramilitari come i Lupi Grigi, in una commistione nello Stato profondo turco tra apparati deviati, criminalità organizzata, finanza e politica.

Oggi il gioco è ancora più complesso, dato che Ankara vuole diventare la Tortuga d’Eurasia competendo con quei centri finanziari, come gli Emirati Arabi, che non si sono adeguati alle sanzioni alla Russia per difendere il cambio della lira e l’economia nazionale garantendo l’afflusso di quei capitali erratici che, direttamente o meno, saranno inseguiti dalle sanzioni occidentali a Mosca. Le quali, non dimentichiamolo, gettando uno sguardo d’insieme su transazioni in criptovalute, paradisi fiscali, società di comodo possono colpire e imbarazzare anche attori esterni alla Federazione Russa.

Secondo la Financial Action Task Force, l’organizzazione internazionale che studia i reati finanziari e i controlli pubblici su di essi la Turchia di Erdogan non fa abbastanza per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo ed è dunque definita come parte della “lista nera”, anche complice la ripresa di potere da parte della locale Mafia, alleata con le organizzazioni balcaniche e con imperi criminali del calibro di Camorra e ‘ndrangheta, che nel 2021 è stata anche collegata a problemi politici dell’Akp di Erdogan. La Fatf teme che la sanatoria di Erdogan possa favorire la legalizzazione dei proventi illegali di questi traffici. “Con il ritorno dei talebani a Kabul, la Turchia tornerà a svolgere un ruolo chiave per i traffici di droga verso l’Europa. Conosciamo varie reti criminali sparse prevalentemente nelle aree vicine ai confini marittimi e terrestri della Turchia, come Adana, Diyarbakir, Gaziantep, Istanbul, Izmir e Reyhanli”, nota l’Huffington Post. Dalla Siria all’Albania, dall’Iraq alla Bulgaria molti altri traffici vedono al centro Ankara: armi, Captagon, esseri umani.

La deregolamentazione finanziaria imposta da Erdogan può fornire un assist alla regolarizzazione delle posizioni di criminali e trafficanti, e inoltre un porto sicuro a tutti gli oligarchi russi in cerca di porti sicuri per il loro denaro. A Doha a fine marzo il ministro degli Esteri Mehmet Cavusoglu ha detto che se non violano le leggi internazionali i capitali russi saranno “benvenuti” nel Paese. Tra yacht, conti, azioni oligarchi di ogni stazza stanno già puntando alla Turchia come paradiso in cui svernare dalle sanzioni: il solo Roman Abramovich, in Turchia valorizzato come pontiere tra Mosca e Kiev, ha portato nel Paese asset per 1,2 miliardi di dollari dall’inizio della guerra. Molti altri potrebbero seguire: la Turchia è aperta al business e alle finanze di oligarchi e figure ambigue di tutto il mondo. Pur di sostenere l’economia e la valuta Erdogan sdogana la Tortuga finanziaria sperando di poterla governare con l’accresciuto ruolo geopolitico. Un gioco comunque rischioso che la Turchia crede di potersi permettere in questa fase di centralità internazionale. Ma le cui conseguenze possono essere tali da portare a una perdita della già debole credibilità di un Paese con l’economia in crisi di fronte agli investitori internazionali.

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