La pesante operazione anti-narcos condotta nelle prime del 6 maggio dalle unità speciali della polizia civile e dell’anti-droga nella favela di Jacarezinho e coordinata dal Departamento de Polícia Especializada sta scatenando dure proteste da parte delle organizzazioni non governative e quelle che si occupano dei diritti umani, ma anche della sinistra brasiliana, a causa dell’elevato numero di morti, 28, tra cui alcuni adolescenti.

Amnesty International ha definito l’operazione “un massacro” mentre altri hanno parlato di “bilancio eccessivo di vittime”, arrivando addirittura a tirare in ballo un velato riferimento a potenziale razzismo da parte della polizia, indicando il fatto che nelle favelas “sono in maggioranza neri e poveri”, come se tra gli agenti non vi fossero neri e come se nelle favelas non vi fossero residenti con meno melanina. Amnesty ha anche accusato la polizia di Rio de Janeiro di aver messo in atto esecuzioni sommarie invece di arrestare i criminali e addirittura che “non vi erano prove dell’associazione criminale dei caduti sotto i colpi di arma da fuoco”.

L’Onu ha chiesto un’indagine indipendente e la fine della violenza e dell’emarginazione nelle zone più povere del Paese, ma pensare che la violenza arrivi solo da parte della polizia vuol dire non avere la minima idea del contesto in questione, un contesto tanto imprevedibile quanto violento e pesantemente armato dove è quanto meno utopico aspettarsi semplici scaramucce o che i narcos si facciano tranquillamente arrestare quando arriva la polizia. È bene dunque andare un po’ più a fondo per cercare di capire meglio cosa è realmente successo nella favela.

Il contesto in questione

Per capire le dinamiche di quanto è avvenuto, è fondamentale conoscere il luogo nel quale i fatti si sono verificati, ovvero l’area di Jacarè e Jacarezinho, due complessi quasi attaccati, separati da un canale, a nord della città di Rio de Janeiro; zona in mano al famigerato Comando Vermelho (CV), formazione politica di estrema sinistra nata negli anni ’70 come Falange Vermelha (Falange Rossa) e trasformatasi negli anni ’80 in organizzazione criminale dedita al narcotraffico. Oggi il CV ha il controllo totale di molte delle favelas nelle principali città brasiliane ed anche del traffico di armi e stupefacenti, contendendosi il territorio con altre organizzazioni criminali come il Terceiro Comando Puro, il Primeiro Comando da Capital e gli Amigos dos Amigos (Ada).

Le favelas sono zone molto densamente popolate e povere, sviluppatesi abusivamente ed in maniera irregolare; sono caratterizzate da labirinti di stradine e viuzze strettissime, da abitazioni costruite con materiale spesso scadente, mattoni, lamiere ed ammassate l’una sull’altra, contesto ideale per le organizzazioni criminali che riescono ad operare indisturbate e ad imporre il proprio controllo sulla popolazione.

Questi contesti urbani sono quindi diventati vere e proprie roccaforti delle bande criminali, pesantemente armate e strenuamente difese da qualsiasi intrusione della polizia. Gruppi come il Comando Vermelho utilizzano vere e proprie tattiche di fanteria meccanizzata, con l’utilizzo di moderni pick-up, moto, barriere in cemento e ferro a bloccare gli ingressi e cecchini sui tetti.

Le particolari caratteristiche delle favelas rendono estremamente difficile qualsiasi tipo di intervento da parte delle forze di polizia che, nel momento in cui mettono piede all’interno di queste zone, diventano facili bersagli di agguati e imboscate, con colpi che potrebbero arrivare da qualsiasi direzione, come illustrato a Insideover dal caporale Igor G. della Legione Straniera: “L’ambiente urbano è un luogo molto complesso per combattimenti militari per via della sua costruzione: spazi piccoli di manovra, cunicoli, distanze molto ristrette da dove potrebbe arrivare un attacco; finestre, tetti, possibilità molteplici di attacchi, continui imprevisti, scarsa o incompleta conoscenza dell’area urbana ed ottime posizioni per cecchini. E’ facile essere attaccati con molotov, non si può contare su appoggio di artiglieria, aviazione o altre tipologie di fuoco pesante anche a media forza. C’è poi la presenza civile e di conseguenza non si può aprire il fuoco per primi. E’ un ambiente molto favorevole per organizzare trappole e imboscate”.

Come se non bastasse, è risaputo che i gruppi criminali che controllano le favelas si servono degli abitanti come scudi umani, chiamandoli a scendere in strada appena la polizia si avvicina alla zona. Le unità tattiche brasiliane della polizia civile e di quella militare come Core e Bope sono tra le migliori al mondo nel combattimento in aree edificate densamente popolate e nonostante ciò centinaia di agenti e militari rimangono uccisi ogni anno durante le operazioni di contrasto al crimine.

favelas rio de janeiro
La protesta per l’intervento nella polizia

La testimonianza di chi li addestra

Una persona che certamente conosce molto bene il Brasile, le favelas e le unità speciali della polizia brasiliana, in quanto da anni li addestra, è Gianpiero Spinelli; ex paracadutista della Folgore, U.S.Department of Defense Contractor, e socio della STAM Strategic & Partners Latin America (controllata dell’omonima inglese), società che opera in America Latina. Spinelli è tra l’altro autore del libro Caveira, dove illustra nel dettaglio la propria esperienza in Brasile sia sotto il punto di vista dell’addestramento e della sicurezza, ma anche con una rappresentazione dettagliata del contesto delle favelas, dove ha anche soggiornato.

Spinelli ha le idee molto chiare sul Comando Vermelho e su cosa è successo a Jacarezinho, anche perchè negli scontri è morto un suo amico, l’agente Andre Frias della Delegacia de Combate as Drogas, caduto sotto i colpi dei narcos: “Il Comando Vermelho è la seconda più importante organizzazione criminale del Brasile dopo il Primero Comando da Capital (Pcc) di San Paolo. Si tratta di un’organizzazione dedita al narcotraffico, tenendo presente che il Brasile è la più grande “piattaforma” al mondo per l’esportazione della cocaina e si occupa in particolare di garantire il transito e la sicurezza dei carichi in uscita dal Paese. E’ punto di riferimento per altre organizzazioni criminali sparse per tutto il Brasile ed ha agganci anche in Paesi vicini come Argentina, Paraguay e Uruguay”.

E ancora: “Il Comando Vermelho è ben strutturato e con un’organizzazione verticistico-piramidale ben precisa, radicata nella favela, dove ciascuno ha un ruolo ben preciso. A capo c’è il chefe do trafico, poi ci sono gli addetti al confezionamento della “merce”, gli spacciatori piazzati nelle “bocche di fumo” dove viene venduta la droga destinata al dettaglio; poi c’è tutta una struttura paramilitare pesantemente armata con tanto di “soldados“, vedette, sniper e godono di canali diretti con i trafficanti di armi attivi sulla Triplice Frontiera (Brasile, Paraguay, Argentina) . Oltretutto, hanno anche capacità di combattimento di alto livello perchè ci sono anche ex soldati poi passati nei ranghi dei narcos dove sono ben pagati”.

Spinelli ha le idee chiare anche per quanto riguarda i minori rimasti uccisi: “Per prima cosa, è risaputo che queste organizzazioni utilizzano la popolazione delle favelas come scudi umani e abbiamo recuperato anche una conversazione Whatsapp dove gli abitanti vengono chiamati in strada; in secondo luogo, teniamo presente che molti di questi minori sono soldados con numerosi omicidi alle spalle che hanno sparato contro la polizia, la cosiddetta “Contenção”, la difesa della favela. Dal 2007 davanti a Jacarezinho è poi presente il comando generale della Policia Civil di Rio de Janeiro, struttura non gradita dai narcos che ospita anche la scuola di addestramento delle unità speciali e nelle settimane precedenti c’erano state delle avvisaglie, con i narcos che avevano ripetutamente sparato verso la polizia, forse per testarne la reattività”.

I ritrovamenti nella favela di Jacarezinho

Nei giorni successivi all’operazione di Jacarezinho, sono emersi una serie di elementi che hanno gettato ombre oscure su quanto stava avvenendo nella favela. In primis, i narcotrafficanti stavano progressivamente cacciando numerosi abitanti dalle proprie abitazioni in modo da poterle utilizzare per i propri traffici. Non solo, perchè all’interno della favela sono stati trovati i piani operativi della polizia e i narcos erano perfettamente al corrente dell’imminente operazione e non a caso le forze di sicurezza sono state attaccate non appena hanno fatto ingresso nel complesso di Jacarezinho. Un elemento di estremo interesse considerato che nel giugno scorso la Corte Suprema Federale aveva vietato alle forze dell’ordine di effettuare operazioni durante la pandemia, salvo casi del tutto eccezionali, previa comunicazione e giustificazione al Pubblico Ministero; tutti documenti rinvenuti all’interno della favela, come reso noto anche dal quotidiano brasiliano Metropol.

In seguito all’intervento delle unità speciali, nel complesso di Jacarezinho  sono state rinvenute e confiscate ingenti quantità di armamenti e materiale bellico tra cui numerosi fucili d’assalto M4 e Fal, un fucile a pompa, una mitraglietta Mp5, pistole automatiche, munizioni, granate, esplosivi e persino un proiettile di mortaio, oltre a radio ricetrasmittenti, pacchi di droga e centinaia di dosi pronte alla vendita, oltre ad alcune piante di marijuana.

Nella mattinata di domenica è poi stata resa nota l’identità del killer dell’agente Frias; si tratterebbe del numero due dei Comando Vermelho della favela, tale “Fred do Jacarezinho” che risulta ora ricercato e avrebbe i giorni se non le ore contate. Secondo alcune fonti si sarebbe travestito da donna per poi fuggire in una favela limitrofa. Non solo, perchè la televisione brasiliana è anche riuscita ad identificare una donna della favela che aveva attirato l’attenzione dei media gridando la morte del figlio davanti alle telecamere, ma che in un altro filmato veniva ripresa mentre ballava con dei fucili d’assalto in mano assieme ad alcuni uomini armati di Jacarezinho.

Insomma, contesto e dinamiche mostrano come quanto avvenuto nella favela di Jacarezinho sia ben più complesso e articolato di una generica ed errata versione secondo cui la polizia sarebbe entrata ed avrebbe aperto il fuoco indiscriminatamente sugli abitanti senza preoccuparsi di arrestare i narcotrafficanti, ma chi non ha avuto esperienza diretta sul campo del resto non può saperlo.

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