“Finalmente siamo stati ascoltati”. Volodymyr Zelensky esprime tutta la sua soddisfazione perché i partner occidentali dell’Ucraina hanno finalmente iniziato a fornire a Kiev le armi di cui aveva davvero bisogno. “Siamo stati ascoltati. Stiamo ricevendo esattamente quello che abbiamo chiesto”, ha aggiunto il presidente ucraino in uno degli ultimi videomessaggi diffusi sui suoi canali social.
Dagli Stati Uniti sono arrivati o stanno per arrivare diversi jolly: artiglieria pesante, droni tattici, veicoli corazzati. Dallo scorso 24 febbraio, giorno dell’inizio del conflitto, Washington ha fin qui fornito all’Ucraina armi per 3,4 miliardi di dollari, suddivisi in otto pacchetti di aiuti. Il più recente, da 800 milioni, contiene l’equipaggiamento adatto che dovrebbe consentire alla resistenza ucraina di contenere l’assalto russo nel Donbass.
Troviamo così i cosiddetti droni Phenix Ghost, 121 unità sviluppate in fretta e furia dall’Air Force per far fronte ai requisiti dell’Ucraina, e almeno 300 Switchblade, ovvero droni monouso o kamikaze. Presenti anche centinaia di corazzati M113 e corazzati multiuso ad alta mobilità, oltre a veicoli tattici capaci di trainare obici da 155 mm, le prime piattaforme di artiglieria pesante ad essere trasferite dalle scorte dell’esercito del corpo dei marine statunitensi alle forze ucraine.
E ancora: migliaia di missili Javelin, sistemi antiaerei Stinger, sistemi anti-corazza AT-4 portatili e altri sistemi missilistici a guida laser, senza dimenticarsi degli elicotteri Mi-17, radar di contro-artiglieria AN/TPQ-36, AN/MPQ-64 Sentinel, decine di milioni di munizioni per armi di piccolo calibro, fucili, pistole, mitragliatrici, granate e mortai.
Ci sarebbero anche da considerare centinaia di dispositivi di protezione chimica, biologica e nucleare, giubbotti antiproiettile, elmetti e altri strumenti. Insomma, un bell’arsenale con il quale riequilibrare, o quanto meno ridurre, il gap militare con la Russia.
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Il percorso delle armi
L’Occidente ha inviato queste armi con uno scopo ben preciso: fornire agli ucraini strumenti con i quali combattere l’esercito russo. E però c’è da mettere in conto il rischio, non così remoto, che in un futuro non troppo lontano queste armi possano finire nelle mani sbagliate.
Anche perché in Ucraina, fino a qualche anno fa, era attivo un mercato nero di armi particolarmente fiorente e produttivo, che riuniva gang criminali, criminalità organizzata e gruppi politici più o meno estremisti.
Tutto questo non significa che sia sbagliato consegnare armamenti all’Ucraina o che sia, al contrario, corretto incrementarne la quantità. Questo articolo, semmai, ruota attorno ad un’altra problematica: il percorso effettuato dalle citate armi. Già, perché se il tragitto convenzionale dovrebbe vedere cannoni e fucili transitare da Stati Uniti ed Europa all’Ucraina – e lì restare nelle mani dell’esercito regolare di Kiev – niente esclude che una o più parti dell’arsenale ucraino possano finire sotto il controllo di personaggi ben poco raccomandabili.
Se uno scenario del genere era plausibile ben prima del 24 febbraio, figurarsi se questo stesso scenario non può realizzarsi adesso, in pieno conflitto, o addirittura al termine delle ostilità. Pensiamo, ad esempio, a che cosa potrebbe succedere nel caso in cui l’Ucraina dovesse uscire sconfitta: chi prenderà il possesso di tutti i suoi armamenti? Ripetiamo: questo non significa essere a favore o contro l’invio di armi, ma semplicemente porsi domande lecite di fronte al rischio di peggiorare la situazione.
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Mani sbagliate
Si potrebbe pensare di tracciare il percorso delle armi. Il punto è che è estremamente complesso farlo, o per lo meno farlo fino in fondo. Lo ha sottolineato anche la Cnn, spiegando che persino gli Stati Uniti hanno pochi modi per tracciare la consistente fornitura di armi spedita a Zelensky. Il motivo è presto detto: in Ucraina non è presente l’esercito statunitense, che in caso contrario avrebbe potuto “vegliare” sul destino dell’arsenale. Come se non bastasse, i pacchetti di aiuti militari sono formati da armi e sistemi facilmente trasportabili oltre i (porosi) confini ucraini.
Visto che né le forze armate Usa né la Nato sono presenti sul campo boots on the ground, il blocco occidentale dipende solo ed esclusivamente dalle informazioni fornite loro dal governo ucraino. L’amministrazione guidata da Joe Biden ha deciso consapevolmente di correre questo rischio. Un alto funzionario della Difesa statunitense ha però spiegato che nel lungo periodo è altissimo il rischio che alcune delle armi spedite – ripetiamolo: con buone intenzioni – all’Ucraina possano finire nelle mani di altri eserciti e milizie che Stati Uniti e Occidente non intendevano armare.
Il passato non aiuta di certo. Gran parte di ciò che gli Stati Uniti avevano consegnato alle forze dell’Afghanistan è poi entrato a far parte dell’arsenale talebano dopo il crollo del governo e dell’esercito afghano. Le armi vendute invece ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono finite nelle mani di combattenti legati ad Al Qaeda e all’Iran. Niente vieta, insomma, che un epilogo simile possa avvenire anche in Ucraina.
Il mercato nero: prezzi e compravendite
In Ucraina le “mani sbagliate” possono coincidere con quelle di gang locali, di criminalità organizzata o anche di soldati e cittadini intenzionati a racimolare qualche soldo in più. Basta dare un’occhiata agli archivi per rendersi conto che da anni in Ucraina è attivo uno dei mercati neri di armi più grandi d’Europa. Un bazar al quale chiunque può accedere, chiedere la propria arma preferita e volatilizzarsi in un battito di ciglia.
Da queste parti ha funzionato così per anni, e non si capisce perché questo meccanismo perverso dovrebbe fermarsi proprio adesso con la confusione portata dalla guerra e con le nuove armi appena giunte nel Paese.
Le mafie ucraine e russe e le gang rumene dominano il black market degli armamenti. Questi venditori agiscono nell’ombra ma risultano efficienti ed efficaci. Il loro mestiere, inoltre, è agevolato dal trattato di frontiera di Shengen, che rende pressoché impossibile tracciare o fermare la libera circolazione tra i Paesi europei. Ebbene, in questa libera circolazione rientrano anche mitragliatori Ak-47, pistole e fucili di ogni genere, che dall’Ucraina possono essere consegnati agli acquirenti senza troppe difficoltà.
Nel 2016 Sky News sottolineava come il prezzo di un Ak-47 – l’arma preferita dai terroristi – si aggirasse attorno ai 1.700 euro, mentre l’Aks-74u, la versione più moderna, si potesse trovare anche a poco più di 500. Altre fonti parlano di fucili da cecchino venduti a poco più di mille euro, ma anche di armi quali lanciagranate e pistole a prezzi abbordabili (una ventina di euro l’una), oltre ad armi pesanti.
Fino a qualche anno fa, questi cartelli erano disposti a vendere a chiunque, dai semplici rapinatori di banche a terroristi di qualsiasi gruppo. Approfittando dello scarso controllo in territorio ucraino, molti armamenti ricevuti dall’esercito regolare di Kiev per combattere i russi ai tempi della prima guerra del Donbass e dell’assalto di Mosca alla Crimea sono finiti in mano a gang rumene e altri criminali. Bucarest, incapace di monitorare l’area boschiva nella parte orientale della Romania, non è riuscita a stroncare il business; un business che potrebbe presto riproporsi con i medesimi schemi. E non solo lungo il confine tra Ucraina e Romania.