(Tokyo) Le insegne luminose proiettano una luce abbagliante che penetra gli occhi. Il caldo afoso dell’estate, nonostante sia notte fonda, impregna di sudore gli abiti. Camminare per le strade di Kabukicho non è faticoso – impossibile, visto che ci troviamo nel principale quartiere a luci rosse di Tokyo, il più grande del del Giappone – ma è senza ombra di dubbio complicato. Non solo per il clima, proibitivo da settimane, ma anche per la folla di persone che riempie i vicoli dell’area come un fiume in piena.
La pandemia di Covid-19 è un lontano ricordo, e il Giappone è tornato ad accogliere i turisti, sia quelli interni che gli stranieri. Molti di loro aspettano che tramonti il sole per gustarsi le atmosfere di Akihabara, Shibuya, Ginza, Shinjuku, giusto per citare alcune delle aree più gettonate della capitale nipponica. A proposito di Shinjuku, basta camminare poche centinaia di metri dalla stazione centrale locale, risalire alcune larghe strade contornate da vivaci ristoranti e piccole sale giochi brulicanti di clienti, ed eccoci nella red light più famosa e chiacchierata di Tokyo.
In teoria si finisce a Kabukicho per poche ragioni. Per “divertirsi”, secondo le stringenti regole vigenti (che vietano sia la prostituzione sia, tecnicamente, rapporti sessuali a pagamento), in uno dei tanti locali aperti anche per i gaijin, gli stranieri, oppure per finalità turistiche, per il gusto di visitare il quartiere, comunque particolare e diverso dagli standard occidentali. Tutto questo vale se siete viaggiatori curiosi o cittadini attratti da desideri carnali. I gangster e i criminali hanno ben altri motivi per bazzicare i vicoli di Kabukicho: soldi e affari.
I gangster di Kabukicho
Il Giappone è un Paese sicurissimo. Il tasso di criminalità violenta è tra i più bassi al mondo, con un tasso di omicidi, ad esempio, di 0,2 per 100mila persone (contro i cinque rilevati negli Stati Uniti). Di tanto in tanto, le pagine dei quotidiani locali raccontano però quanto succede nei bassifondi della nazione.
A Tokyo, ad esempio, il citato Kabukicho è un quartiere che ha spesso fatto registrare notizie legate alla malavita. Nel gennaio 2019, Lee Hung Jong, un 65enne coreano residente a Tokyo ed ex membro della Yakuza, la nota organizzazione criminale giapponese, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre si trovava in un edificio di karaoke. Il presunto aggressore, fuggito dalla scena del crimine in motocicletta, avrebbe effettuato un attacco premeditato, figlio di non meglio specificati problemi personali tra la vittima e altri gruppi malavitosi.
Un episodio eclatante come quello appena raccontato è raro. Episodi più leggeri, come risse e regolamenti di conti, non lo sono affatto. Dietro di loro c’è sempre e comunque la Yakuza, silente e considerata sulla via del tramonto, ma ancora viva e vegeta. E desiderosa di adattarsi al presente.
Nuovi business
Certo, gli anni d’oro dei gangster giapponesi sono finiti da un pezzo, da quando, dopo che una guerra tra bande negli anni Ottanta provocò decine di morti e centinaia di feriti, la protesta pubblica portò all’adozione da parte del governo di durissime leggi anti Yakuza.
I membri delle varie famiglie sono diventati sempre più emarginati perché, da quando persino pagarli è stato messo fuori legge, non possono comprare un’auto, aprire un conto in banca né ottenere un’assicurazione. Ricordiamo, infatti, che la Yakuza non è una società segreta, opera allo scoperto e mantiene regolarmente i suoi uffici.
Per decenni, l’aura di questi personaggi era garantita da un codice d’onore e dalla loro capacità di tenere sotto controllo la criminalità di strada, tanto che la loro influenza è stata in grado di raggiungere i più alti circoli di potere.
La situazione, oggi, è molto diversa e i vecchi padroni della malavita stanno cercando in qualche modo di riorganizzarsi. Un certo numero di gangster della Yakuza ha sede nella “roccaforte” di Kabukicho, in un’area prevalentemente commerciale e popolare anche tra i visitatori stranieri.
L’industria del divertimento per adulti
A Kabukicho la situazione è movimentata, non tanto in superficie quanto in profondità. Soltanto tre anni fa, il quotidiano giapponese Asahi Shimbun raccontava di una rissa scoppiata nel quartiere a luci rosse. Quella vicenda altro non era che lo scoppio di una guerra latente tra un gruppo Yakuza, lo Sumiyoshi-kai, e Natural, un’organizzazione di “scouting” aggressiva e ben finanziata, interessata a reclutare le ragazze per lavorare nell’industria della vita notturna di Shinjuku e dintorni.
Natural si è più volte scontrata con i gangster sul reclutamento di donne per lavori notturni nei club di hostess, nei bar e in altri locali di intrattenimento per adulti. Uno “scout”, di solito, si trova in una strada di una zona vivace ed è incaricato di avvicinarsi alle donne che transitano da lì proponendo offerte di lavoro. Queste persone vengono pagate per ogni segnalazione. In gioco, insomma, ci sono le strade dove vengono contese le donne da arruolare.
La mano della mafia nigeriana
A complicare ulteriormente lo scenario troviamo un altro soggetto: la mafia nigeriana. Non è difficile intravedere uomini di colore appostati in alcuni angoli di certe strade di Kabukicho. Alcuni si limitano a stare in piedi e a parlottare tra loro. Altri monitorano la folla e, se incrociano lo sguardo di uno straniero, chiedono con fare gentile se il passeggiatore di turno ha “bisogno di qualcosa” (leggi: intrattenimento in uno dei tanti locali per adulti disponibili nella zona).
Non si capisce il perché della loro presenza senza prima dare un’occhiata alle solite cronache offerte dai giornali giapponesi. Nel 2014, fece scalpore la storia del club Little Cat, situato sempre a Kabukicho. Due hostess filippine del locale finirono in manette con l’accusa di aver drogato clienti maschi e di aver rubato denaro dai loro conti bancari. Il manager del club, un cittadino nigeriano, era stato precedentemente arrestato con le stesse accuse poche settimane prima dei fatti.
Secondo il tabloid Nikkan Gendai, il caso non era insolito perché “la “mafia nigeriana” continua a fare soldi facili a Kabukicho. Pare che i malavitosi africani siano soliti sposarsi con donne giapponesi per ottenere la residenza permanente in Giappone – preferirebbero le donne più paffute, per le quali trovare un partner risulterebbe più complesso – per poi tuffarsi nel mondo degli affari sommersi.
L’intermediazione della vendita di eroina con i membri della Yakuza, la costrizione delle donne straniere alla prostituzione, il riciclaggio di denaro e l’organizzazione di matrimoni falsi figurerebbero tra le loro attività illegali più comuni.
La connessione con le Triadi cinesi
A giugno, sette cittadini cinesi sono stati arrestati con l’accusa di contrabbando di circa 700 chilogrammi di cristalli di metanfetamina polverizzati, confezionati in assi di legno e trasportati in Giappone. La notizia ha sollevato il timore di crescenti legami tra le Triadi cinesi d’oltremare e i gangster della Yakuza, la cui influenza, in declino, sta come detto alimentando la loro necessità di puntare su varie entrate: sull’industria dell’intrattenimento per adulti ma anche sulla ben più ricca droga.
La merce sequestrata – si tratta del secondo più grande sequestro del suo genere effettuato dalla polizia giapponese – aveva un valore di circa 310 milioni di dollari. Il prezzo della metanfetamina, che crea dipendenza, aumenta vertiginosamente in Giappone, dato che il Paese è lontano dal principale produttore asiatico, il Myanmar, e che è separato via mare dal centro regionale dei precursori chimici: la Cina.
I cristalli sono stati trasportati a Tokyo all’inizio di marzo, in sette container a bordo di una nave originaria di Dubai, che ha fatto scalo nella città cinese di Ningbo. La polizia nipponica è rimasta a bocca aperta sulle esatte reti criminali dietro il sequestro. Gli investigatori affermano che la portata dell’arresto potrebbe indicare un complicato nesso tra i gangster giapponesi e quelli stranieri.
I rapporti tra la malavita nipponica e cinese devono comunque essere presi con le pinze. Se da un lato vari gruppi Yakuza sono ben lieti di raccogliere la sponda offerta dalle Triadi – in particolare il gruppo noto come Dragoni cinesi – altri non intendono cedere il passo ai loro omologhi d’oltremare. Le due “d”, donne e droga, potrebbero davvero rilanciare i gangster giapponesi?