Al di là delle Alpi è in corso un vivace dibattito pubblico e politico dal 21 aprile, giorno in cui il settimanale Valeurs Actuelles ha pubblicato una drammatica lettera aperta riguardante il rischio concreto di una possibile guerra civile etno-religiosa nella Francia di domani.

Il testo, lungi dall’essere stato partorito negli ambienti cospirazionisti dell’estrema destra, è stato scritto da venti generali e firmato da cento ranghi alti e un migliaio di soldati appartenenti a vari gradi, che, oggi, a causa di tale gesto, rischiano delle gravi sanzioni disciplinari. La lettera, in effetti, più che la forma di un appello all’Eliseo, sembra essere stata concepita come un avviso, un monito perentorio: si agisca oggi per evitare la guerra domani, entri in azione la politica o si lasci intervenire un esercito insofferente e per nulla indifferente allo stato turpe in cui versa la nazione.

I firmatari chiedono alla classe politica di prendere atto dei “molti pericoli mortali che minacciano” la Francia, nella fattispecie l’aumento della violenza per le strade e “l’islamismo e le orde delle banlieue” che rischiano di frammentare l’unità e l’integrità della nazione in uno stuolo di territori fuori controllo e “sottomessi a dei dogmi contrari alla costituzione”. “Se nulla verrà fatto”, avvertono i militari, “il lassismo continuerà a propagarsi inesorabilmente nella società, provocando, infine, un’esplosione e l’intervento dei nostri commilitoni in servizio in una perigliosa missione di protezione dei nostri valori civilizzazionali e di salvaguardia dei nostri compatrioti sul territorio nazionale”.

La lettera ha generato un putiferio a livello politico, dove è stata criticata ampiamente e duramente dagli esponenti della presidenza Macron in ragione del contenuto – un possibile regalo a Marine Le Pen con l’approssimarsi delle presidenziali – e del tempismo – il cinquantesimo anniversario del Putsch dei generali (Putsch des généraux) contro Charles de Gaulle, che accentua il carattere simil-golpista dello scritto.

Ma che la Le Pen stia tentando di cavalcare il dibattito suscitato dalla lettera, e che alcuni dei firmatari siano apertamente schierati su posizioni politiche di destra conservatrice, non ne sminuisce il valore e non ne confuta la veridicità. Perché sono i numeri e i fatti, molto più delle parole spaventevoli impiegate nella missiva, a dare ragione ai militari inquieti. Numeri e fatti che mostreremo e sveleremo nel corso di questa rubrica dedicata al rischio guerra civile in Francia, la cui puntata odierna è dedicata all’approfondimento del cosiddetto narco-banditismo.

Il narco-banditismo

È in errore chi crede che lo spettro della guerra civile, riemergente a cadenza regolare, sia il frutto marcio del (solo) radicamento dell’islam radicale sull’intero territorio nazionale e ad ogni livello della società e delle istituzioni, persino nelle forze armate. Perché il terrorismo è parte integrante di una questione molto più vasta, sia sociale sia etno-religiosa, avente a che fare con i problemi del fallimento del modello d’integrazione assimilazionista e della diffusione capillare del feroce crimine organizzato di origine magrebina e subsahariana, il cosiddetto narco-banditismo (narco-banditisme).

Narco-banditismo è un termine con il quale in Francia si fa riferimento a quell’universo criminale composto da bande urbane e cartelli organizzati, quasi esclusivamente di composizione magrebina e subsahariana, specializzati nel traffico di sostanze stupefacenti, in primis cocaina e marijuana, e connotati da una serie di caratteristiche comuni: l’essere frequentemente in guerra tra loro, il controllo di larghe porzioni del territorio nazionale, l’acceso e tangibile livore verso le forze dell’ordine e gli sporadici legami con l’islam radicale.

I firmatari della lettera aperta del 21 aprile, del resto, non hanno denunciato soltanto il periglio rappresentato dal separatismo islamista, perché nella loro disamina a trecentosessanta gradi dell’attuale stato di salute della società francese è stato dedicato spazio considerevole alle questioni dell’aumento della violenza e delle “orde delle banlieue” (hordes de banlieue). E queste orde, oltre che dall’esercito ombra di terroristi, imam estremisti e radicalizzati, sono formate dai gangster intrepidi del narco-banditismo, che a mano armata hanno soppiantato il crimine organizzato autoctono, dai corsi ai marsigliesi, e ottenuto gradualmente il controllo delle periferie.

Il fenomeno in numeri

Secondo un sondaggio condotto da Harris Interactive per LCI TV all’indomani della lettera aperta del 21 aprile, l’86% degli intervistati pensa che in certe aree della nazione la legge della Repubblica non trovi applicazione, l’84% concorda sul fatto che la società stia divenendo crescentemente violenta, il 73% condivide l’idea che la nazione stia andando incontro alla disintegrazione, un incredibile 49%, cioè un francese su due, “è favorevole all’intervento delle forze armate per ristabilire l’ordine” e, nel complesso, sei intervistati su dieci sostengono l’iniziativa dei militari.

Perché l’opinione pubblica condivida l’inquietudine delle forze armate in materia di aumento della violenza per le strade, crescita della criminalità e disintegrazione sociale può essere pienamente compreso procedendo ad un vaglio numerico del fenomeno narco-banditista:

Gli assalti alla polizia

I narco-banditi figurano tra i co-controllori di quegli spazi territoriali, effusi in ogni angolo della nazione, che vengono sorvegliati perché ritenuti vulnerabili all’infiltrazione di crimine organizzato e islam radicale – le famose 751 zone urbane sensibili (zones urbaines sensibles) – o che, secondo i servizi segreti, sono da considerare virtualmente grigi, al di fuori della legge e della costituzione della République – i 150 territori perduti (territoires perdus).

In una parte significativa di queste aree, che il noto politologo Fabrice Balanche ha ribattezzato i “mini-stati islamici” (mini Etats Islamiques), islam radicale e crimine organizzato si mescolano al punto tale da risultare un tutt’uno indistinguibile e inestricabile, con il primo che si finanzia attraverso il secondo e il secondo che fornisce manovalanza al primo, e l’accesso è vietato alle forze dell’ordine – pena l’imboscata, la sparatoria o la rivolta urbana. Quanto accaduto a Carpentrasso (Vaucluse) la sera del 5 maggio, quando un agente di polizia è stato ucciso in un agguato durante un controllo in una no-go area, è esplicativo dei rischi quotidiani fronteggiati dalle forze dell’ordine francesi nei territori amministrati dal narco-banditismo.

I numeri concernenti le violenze commesse contro gli operatori dell’ordine, la maggior parte delle quali consumate durante l’espletamento delle funzioni tra zone urbane sensibili e territori perduti, possono contribuire ad illustrare dimensione e diffusione del fenomeno anti-poliziesco:

Capire il pericolo dei narco-banditi

I narco-banditi non sono dietro ad ognuna delle aggressioni quivi riportate, ma hanno senz’altro contribuito allo sdoganamento della violenza contro le forze dell’ordine e all’utilizzo di rivolte urbane e imboscate quali strumenti di controllo del territorio, incoraggiando gli abitanti più insofferenti delle banlieue ad emularli – l’ultima guerriglia anti-poliziesca in ordine temporale è accaduta a Lione a inizio marzo –, a mezzo della conduzione piuttosto assidua di gesti di sfida come l'”assalto al commissariato” – gli ultimi due avvenuti a Val d’Oise a fine marzo e a Melun a metà aprile – e l’ancora più frequente “tiro al poliziotto” con fuochi pirotecnici – l’ultimo registrato a Compiègne il 20 aprile – o con armi da fuoco – come nel già menzionato caso di Carpentrasso.

Denunciare la diffusione capillare dei sentimenti e dei gesti anti-polizieschi è fondamentale per una ragione molto semplice: trattasi, invero, di un fenomeno estremamente indicativo dello stato di salute in cui versa la République, i cui protettori – le forze dell’ordine –, lungi dall’incutere timore a terroristi, radicalizzati, giovani insofferenti delle banlieue e narco-banditi, vengono scherniti e aggrediti quotidianamente in maniera sempre maggiore e, soprattutto, crescentemente violenta. E la domanda, alla luce dell’intensificazione di suddette violenze, sorge spontanea: se i ladri non hanno paura delle guardie, cosa li frenerà, se e quando la goccia farà traboccare dal vaso, dal partecipare en masse a quella Guerriglia preconizzata da Laurent Obertone?

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