Non c’è solo la lingua a mettere in comunicazione penisola iberica e America Latina: la relazione atavica fra i due emisferi del mondo ispanico si riflette anche nel mondo del malaffare legato al traffico internazionale di droga che ha fatto della Spagna il suo hub di smistamento alle porte dell’Europa fin dagli anni Settanta. Questo fenomeno è così pervasivo che ha suscitato perfino interesse nel mondo del cinema e della televisione, con diverse serie e film, che iniziarono a nascere alla fine degli anni Settanta nel filone del cosiddetto “cinema quinqui”, incentrato sulla vita dei tossicodipendenti e degli spacciatori, fino alla partecipazione di attori spagnoli alla serie Narcos, basata sulla vita del signore della droga colombiano Pablo Escobar.
Perché proprio la Spagna
A parlare sono soprattutto i numeri: solo nel 2020, che ha incoronato la marijuana prodotto simbolo del narcotraffico, i bilanci per gli arresti effettuati nel 2019 si sono tradotti in 1,5 milioni di piante di cannabis, quasi 38 tonnellate di cocaina e circa 350 tonnellate di hashish (la Spagna è il numero uno al mondo nel sequestro di questa sostanza). I detenuti per traffico di droga ammontavano a più di 21mila e provenivano tutti da contesti di policriminalità che sono andati accentuandosi per via della pandemia e della concorrenza delle mafie orientali (Fonte dati: El País).
Qui la malavita locale e in trasferta (comprese le narcomafie italiane) possiedono un filo diretto con i cartelli messicani e colombiani. In prossimità delle colonne d’Ercole il narcotraffico beneficia di una notevole zona grigia di impunità, al netto degli sforzi della Guardia Civil, legata alla progressiva atomizzazione di clan e cellule: un po’ come per il terrorismo, queste unità sempre più minuscole riescono ad agire meglio e sottotraccia sulle due sponde dell’Atlantico.
Ma è la collocazione geografica che fa della Spagna il paradiso dei narcos: un Paese che riceve hashish dal Marocco (smistato nell’area di Cadice) e che parallelamente è diventato grande produttore di marijuana. Oltre al boom di quest’ultima, il Paese registra anche delle novità in fatto di traffico di cocaina: la Galizia è ormai la principale porta per i trafficanti dal Brasile e dalla Colombia, tuttavia, dopo l’arresto di importanti narcotrafficanti galiziani come Sito Miñanco e lo scioglimento di molte mafie, i porti meridionali come Algeciras sono diventati il principale punto di arrivo. Il traffico di hashish dal Marocco rimane costante, anche con un leggero rimbalzo. Le narcolanchas caricano solitamente nei pressi delle Chafarinas, e nuove (e vecchie) rotte verso est sono in fase di sperimentazione per addentrarsi attraverso Almería e Murcia o dal fiume Guadalquivir verso Huelva e l’Algarve. Stessa rotta per mezzi simili come barche a vela da diporto che caricano sulla costa marocchina e giungono nei porti del sud est della Penisola. La Spagna è anche approdo di eroina: la principale via di ingresso è via mare da Rotterdam dove, giunge da Paesi produttori come l’Afghanistan.
Il Campo di Gibilterra: una repubblica a sé
Nel distretto di Campo de Gibraltar in Andalusia, la parte più meridionale della penisola iberica, le mafie della droga sono attive in quattro dei suoi sette comuni: Algeciras, Los Barrios, La Línea de Concepcion e San Roque.
Mentre l’area è molto ricca di risorse naturali e culturali, una serie di fattori economici, sociali e geografici ha reso più facile l’insediamento del traffico di droga. Uno dei motivi è la sua vicinanza – meno di 20 chilometri- al regno del Marocco, il principale esportatore mondiale di hashish. La coltivazione della cannabis è ufficialmente vietata in Marocco, ma in realtà è tollerata poiché migliaia di famiglie vivono della produzione di droga. Algeciras è soprattutto un porto di transito: numerose compagnie di navigazione utilizzano questo porto per scaricare container che vengono poi caricati nuovamente su altre navi e spediti in tutto il mondo. Questo angolo di Spagna è anche una di quelle ex terre di nessuno che collide con l’enclave britannica di Gibilterra, ove si registrano i tassi di disoccupazione più alti di tutta la Spagna: Gibilterra è una base importante per il riciclaggio di denaro sporco poiché offre una legislazione fiscale molto vantaggiosa che favorisce la creazione di società offshore pur non essendo tecnicamente indicata come paradiso fiscale dal sistema europeo.
Nel 2018 il governo spagnolo aveva avviato il Plan Especial de Seguridad para el Campo de Gibraltar a seguito della Relazione annuale sulla sicurezza nazionale che evidenziò, nell’omonima comarca, come la principale minaccia della criminalità organizzata nel Paese fosse legata al traffico di droga. Il piano nacque per alleviare, da un lato, il significativo deterioramento delle condizioni di sicurezza, e dall’altro, i comportamenti violenti legati all’attività di gruppi criminali organizzati, alcuni dei quali diretti contro membri delle Forze e degli Organi di Sicurezza di Madrid. Questo stato di cose, perpetratosi per anni, disegnava un’area della nazione segnata dalla perdita del principio di autorità e dal conseguente sentimento di impunità sui narcotrafficanti. Il Piano di Sicurezza Speciale, congiuntamente per la Polizia Nazionale e la Guardia Civile, è entrato in vigore nel luglio 2018, sotto il coordinamento del Segretario di Stato per la Sicurezza.
È da questi corpi scelti e potenziati che giungono le notizie più inquietanti: da un lato, l’allarme sulla chimica delle sostanze che passano e che si producono in Spagna -droghe modificata e con una crescente concentrazione di principio attivo-, dall’altro lo sfruttamento lavorativo connesso alle piantagioni, al limite della schiavitù.
Come sono cambiate le narcomafie in Spagna
A complicare le cose contribuisce il diritto penale spagnolo. Il reato di traffico di droga è classificato nell’articolo 368 del Codice penale, all’interno del capo III del titolo XVII, cioè come reato contro la salute pubblica, e in generale, tra i reati contro la sicurezza collettiva. Le pene vanno da uno a tre anni, quattro se viene dimostrata l’appartenenza a un’organizzazione criminale.
Oggi le narcomafie attive in Spagna non possono nemmeno più definirsi tali. Sono puzzle che si scompongono e ricompongono con tessere sempre diverse e che si collocano geograficamente sempre in posti nuovi. Non ci sono “principi” alla Escobar, ma una gragnola di soggetti anonimi di media levatura nel mondo sommerso del traffico. Anche le gerarchie sembrano saltare: si parla tecnicamente di “gruppi di lavoro” che vengono flessibilmente organizzati e scomposti alla velocità della luce, che rendono davvero complesso prevedere mosse e flussi. Si parla spesso di “messicanizzazione” della regione, poiché questa nuova struttura-non struttura del narcotraffico sembra rimarcare le caratteristiche del cartello messicano di Sinaloa, ormai operativo in Europa anche con la mediazione delle mafie italiane (‘ndrangheta in primis).