Charles Manson, sinonimo di Male dal 1969, anno dell’indelebile e terribile eccidio di Cielo Drive. Non è più tra noi dal 2017, ma il suo fantasma continua ad aggirarsi pericolosamente per l’America.
Nessun criminale ha esercitato un’influenza tanto duratura e profonda nell’immaginario collettivo a stelle e strisce. Nessun criminale ha avuto il suo carisma, magnete per giovani disadattati e ispiratore di omicidi. E nessun criminale ha avuto un profilo tanto atipico: sesso, droga, rock’n’roll, apocalitticismo biblico e sogni di guerra razziale.
Su Manson e la sua omicida “famiglia” sono stati scritti libri, realizzati film e girati documentari, ma c’è ancora molto da dire. Dal punto di vista culturale, non è esagerato affermare che Manson è stato una sorta di spartiacque, una figura anticristica la cui violenta irruzione ha privato l’America puritana della sua verginità e segnato, per citare Vincent Bugliosi, “la fine della sua innocenza”.
Manson è stato colui che, attraverso gli omicidi Tate-Labianca, sperava di gettare le basi della trasformazione dell’America da evangelica Città sulla collina a caotica Babilonia. E, nella sua lucida follia, potrebbe anche essere stato l’inconsapevole pedina di un gioco molto più grande di lui: l’operazione Chaos.
Helter Skelter!
La truculenta storia della “famiglia” è abbastanza nota. È il 1967 quando un giovane disadattato rispondente al nome di Charles Manson, che a soli 33 anni ha trascorso più della metà della vita tra istituti correttivi e carceri, si stabilisce nella contea di Los Angeles alla ricerca di fortuna.
Manson crede di avere un dono, il canto, e quello gli sembra il posto giusto in cui dare una svolta alla propria vita. Ma le cose andranno diversamente: naufragato il sogno di diventare un cantante, giacché i suoi testi e le sue abilità canore non attraggono l’interesse di nessun grande produttore, si trasferisce nel deserto insieme a degli hippie che ha stregato con la sua trascinante personalità.
Nel 1968, con l’arrivo di Manson e seguaci nello sperduto e isolato Spahn Ranch, ha ufficialmente inizio la storia della “famiglia”. Un anno e mezzo di crimini piccoli ed efferati, dai furti agli omicidi, e di una quotidianità fatta di rituali orgiastici, viaggi psichedelici e discussioni sull’imminente arrivo di un apocalisse razziale.
Secondo la ricostruzione del pubblico ministero Vincent Bugliosi, che oggi come ieri trova tanti sostenitori quanti detrattori, la “famiglia” avrebbe compiuto gli omicidi Tate-Labianca nella speranza-aspettativa di scatenare una guerra razziale. Erano anni ruggenti, del resto, col ritorno in auge del Ku Klux Klan da una parte e con la comparsa delle Pantere Nere dall’altra. Ma i folli piani della “famiglia” non si avverarono mai.
La storia riscritta?
La storia, si sa, è scritta dai vincitori. E, se si parla di processi, i vincitori sono i pubblici ministeri. Non sempre, però, la verità processuale corrisponde alla verità oggettiva. La verità processuale, infatti, non è che una ricostruzione plausibile basata sulla spiegazione di prove raccolte seguendo una determinata pista.
I processi possono essere riaperti e i loro verdetti essere riscritti ex novo, anche a distanza di decenni, se le prove anteriori si dimostrano inconsistenti, o peggio false, se nuove evidenze emergono e se testimonianze determinanti entrano in gioco. Potrebbe essere il caso della “famiglia”.
È il 2019 quando nel mercato letterario nordamericano viene distribuito un libro d’inchiesta a firma dei giornalisti investigativi Tom O’Neill e Dan Piepenbring. Il libro si intitola Chaos: Charles Manson, the Cia, and the Secret History of the Sixties, ha avuto una gestazione di vent’anni, ed è un ambizioso tentativo di ricontestualizzare alcuni degli eventi più importanti dei turbolenti anni Sessanta, inclusi i crimini della “famiglia”, attraverso una chiave di lettura macroscopica: la Guerra fredda.
Secondo il duo, più che di Helter Skelter, per decifrare il mistero della “famiglia” si dovrebbe parlare del progetto Mkultra e dell’operazione Chaos. Cioè, rispettivamente, di controllo mentale e di sorveglianza di massa.
Corroso da Mkultra, utilizzato da Chaos?
Il lavoro ventennale dei giornalisti investigativi avrebbe fatto luce su un fatto sconosciuto sino al 2019: Manson, come (moltissimi) altri detenuti dell’epoca, sarebbe stato sottoposto a degli esperimenti di condizionamento comportamentale in una delle sue permanenze carcerarie. Possibile conferma di episodi accennati dallo stesso Manson nelle interviste rilasciate alla stampa nel corso della vita, sebbene mai da lui approfonditi. Possibile conferma della sua ignara partecipazione a Mkultra.
Manson non era una cavia come le altre: aveva un’intelligenza al di sopra della media – un quoziente intellettivo di 121 –, era carismatico ed era solo al mondo. Tre caratteristiche che lo rendevano il candidato manciuriano ideale, un essere che, spogliato della sua umanità, una volta libero avrebbe potuto lasciare un’impronta incancellabile nella società dell’epoca e aiutare il governo a giustificare talune agende politiche.
Sangue e terrore a Los Angeles per legittimare la guerra agli hippie della Casa Bianca e per gettare discredito sull’intero movimento controculturale, alienandogli l’allora montante consenso della maggioranza. Sangue e terrore a Los Angeles per dare fondamento alla prosecuzione dei finanziamenti segreti a programmi di controllo mentale e sorveglianza sociale come Mkultra, Chaos e parenti.
E se Manson, corroso mentalmente dagli esperimenti illegali ai tempi del carcere, fosse stato trasformato in un candidato manciuriano? E se la sua inusuale fortuna nei tribunali non fosse stata casuale, nel senso che qualcuno avrebbe potuto volerlo in libertà? E perché attorno a Manson, un girovago nullatenente, c’erano così tante persone legate alla CIA? Queste sono soltanto alcune delle domande, tutt’altro che banali, che gli autori del libro pongono a se stessi e ai loro lettori.
Il monumentale lavoro di O’Neill e Piepenbring è il degno frutto di vent’anni di ricerche negli archivi che nessuno aveva visitato e di interviste con testimoni che nessuno aveva calcolato. È un lavoro che risponde ad alcuni quesiti e che lascia nuovi interrogativi. Forse è il punto di partenza per la riapertura del caso Manson, o forse no. Ma sicuramente è la prova, l’ennesima, che le verità dei vincitori sono piene di omissioni.