Una lotta per la sopravvivenza fatta di rivendicazioni, attacchi, pretese e difesa a ogni costo del proprio mare. Quello che avviene tra i pescherecci nel Mediterraneo (E non solo) non è una semplice sfida per avere il miglior tesoro dei suoi fondali, in questo caso il gambero rosso, ma una lotta per evitare di essere sopraffatti nelle proprie acque.
Il diario di bordo
Quanto accaduto nelle acque a nord-est di Cipro è emblematico. Il diario di bordo del Michele Giacalone, con la rotta segnata dalle immagini satellitari e riportato da Repubblica, mostra i momento dell’assalto da parte dei pescatori turchi nei confronti dei marittimi italiani. Non si è trattato di una manovra di avvertimento. Quello che è avvenuto nel triangolo marittimo tra Cipro, Siria e Turchia è stato un vero e proprio attacco, condotto con tecniche estremamente pericolose e che potevano avere conseguenze ben più gravi per gli equipaggi coinvolti nella mischia. In base a quanto ricostruito da video e diario, il Michele Giacalone, che era già stato assaltato davanti alla Libia rischiando un abbordaggio solo una settimana prima, aveva fatto rotta verso la Grecia e poi Cipro in cerca di aree dove poter pescare. La scelta è ricaduta su un area a nord-est di Cipro, a poche miglia dalle coste turche e quelle siriane. Area dove i pescatori sperano di trovare il cosiddetto “oro rosso”, quel gambero che, se pescato in grandi quantità, può arrivare a valere anche decine di migliaia di euro.
La navigazione è a rischio, specialmente in un’area in cui la Turchia rivendica una ZEE più ampia, e in cui Cipro Nord, che si è autoproclamata repubblica autonoma, è di fatto un protettorato turco. Quell’area, per i turchi, non ammetterebbe alcun tipo di intromissione. Ma legalmente non esiste un divieto di ingresso né di pesca. Motivo per cui i marittimi di Mazara del Vallo si lanciano fino alle acque davanti ad Alessandretta, nella speranza di non essere individuati da qualche pescatore più aggressivo come avvenuto invece al Michele Giacalone, che è dovuto fuggire prima che la situazione degenerasse forse in maniera definitiva.
Accerchiamento e tentativo di abbordaggio
Come riportano i tracciamenti satellitari e il diario di bordo, il Giacalone è stato circondato da una decina di imbarcazioni turche. Una volta finito l’accerchiamento, i pescherecci Aliz-2 e Fuat Reis-1 hanno tagliato più volte la rotta dell’imbarcazione italiana, l’hanno speronata e provato ad abbordare per rubare quanto pescato nelle tre ore di cala nel Levante. Nel frattempo, tra lanci di fumogeni e pietre a prora, la tensione è salita alle stelle, al punto che il Michele Giacalone ha dovuto chiamare il soccorso in mare facendo intervenire la Marina Militare italiana e la Guardia costiera turca. Una scelta che si è dimostrata necessaria al pari di quanto avvenuto davanti alla Libia con i pescherecci italiani coinvolti in tentativi di abbordaggio e spari da parte di miliziani della Cirenaica e motovedette partite da Misurata. In quelle occasioni, altre due fregate della Marina sono dovute intervenire per salvare i marittimi di Mazara del Vallo da una situazione estremamente complicata. Soprattutto perché, a differenza di quanto avvenuto a largo di Cipro, nel mare davanti la Libia erano intervenute le milizie e c’erano stati dei veri copi d’arma da fuoco.
Interviene la Marina Militare
Il comunicato della Marina conferma che “i pescherecci turchi hanno lanciato materiali (pietre e fumogeni) e realizzato manovre cinematiche ravvicinate (una delle quali è sfociata in un contatto con il motopesca Giacalone, che ha riportato danni lievi)”. Il diario di bordo in questo caso è errato, perché stando a quanto riportato da Repubblica, si parla della nave san Giorgio. In realtà la fregata inviata per calmare la situazione era appunto il Margottini, che pattugliava l’area a 35 miglia di distanza da quanto stava avvenendo in quel momento. “Nave Margottini ha ingaggiato i nostri pescherecci inducendoli ad allontanarsi precauzionalmente, questi ultimi hanno comunicato l’intenzione di ricongiungersi ad un altro gruppo di motopesca nazionali operanti 6 miglia più ad ovest”. Una mossa che ha sicuramente evitato l’escalation ma che che conferma come le tattiche di vera e propria guerriglia navale fossero ben congegnate e tali da rendere davvero difficile le manovre da parte dei pescatori italiani.
Le manovre dei turchi, tra taglio alla rotta, speronamenti, lanci di pietre e fumogeni indicano che l’intenzione non era semplicemente quella di allontanare la barca, ma di svolgere un’azione ben più complessa: a tal punto che erano già in procinto di rubare il carico del peschereccio. La presenza delle pietre a bordo, inoltre, non può certo definirsi casuale, visto che sembra impossibile che un’imbarcazione da pesca si porti delle pietre senza uno scopo intimidatorio. L’agguato, insomma, era stato molto probabilmente premeditato. Segnali di una guerra a bassa intensità ma molto più pericolosa di quanto si possa credere: dietro ci sono giochi politici? Difficile da poter valutare con precisione. Di certo ci sono inquietanti lotte per la sopravvivenza in mare che diventa sempre più bollente e territorializzato.