Nel novembre 2017 l’Europa occidentale fu sorvolata dalla più grande nube radioattiva osservata dai tempi dell’incidente nucleare di Fukushima (2011), in cui si misurarono concentrazioni di rutenio-106 pari a 100 volte i livelli ordinari contenuti nell’atmosfera. Non abbastanza per contaminare la salute umana, ma sufficienti da porre in allarme studiosi e ricercatori in tutto il mondo che analizzando il fenomeno hanno individuato l’origine del fenomeno nel territorio russo compreso tra il Volga e gli Urali.

Una serie di studi ha smentito la versione ufficiale fornita ai tempi dalle autorità russe, secondo cui quella nube radioattiva sarebbe stata provocata dalla combinazione dell’incendio di un satellite in rientro nell’atmosfera terrestre con un rarissimo evento meteorologico. Nella giornata del 30 luglio The Times ha anticipato le conclusioni dello studio del docente dell’Università di Hannover Georg Steinhauser sul fenomeno, prossimo alla pubblicazione sul “Proceedings of the National Academy of Sciences”, e delle ricerche dell’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (Irsn) in Francia, con il quale hanno collaborato anche l’Arpa di Lombardia e Friuli, che individuano nell’impianto nucleare russo di Mayak, vicino a Ozersk, la fonte della nube radioattiva. L’incidente, un incendio o un’esplosione non avrebbe riguardato un reattore nucleare, ma un impianto di smaltimento delle scorie radioattive esaurite.

Il rutenio-106 è un prodotto del decadimento dell’Uranio-235 dal tempo di dimezzamento estremamente breve, pari a un anno.”Si tratta di un metallo – ha spiegato a Repubblica Federico Rocchi del Dipartimento di Sicurezza Nucleare dell’Enea – prodotto nei reattori nucleari e poi processato per essere usato in medicina, contro i tumori dell’occhio. Probabilmente il rilascio è avvenuto in questa fase di lavorazione”. 

Le ricerche dell’Irsn hanno ipotizzato un livello di emissione di rutenio-106 alla sorgente compreso tra i 100 e i 300 teraBecquerels, tale da comportare l’evacuazione per diversi chilometri dell’area circostante l’impianto in caso di evento analogo in Francia. Ciononostante, l’ipotesi dell’incidente al reattore è esclusa dal mancato rilascio di una serie più ampia di isotopi, in maniera analoga a quanto a Mayak era già accaduto nel 1957 in quello che è ritenuto il terzo più grave incidente nucleare di tutti i tempi.

Risulta smentito quanto dichiarato dalla compagnia nucleare russa, Rosatom, in occasione dell’evento: Rosatom, infatti, si era affrettata a smentire l’ipotesi di un incidente interno al territorio russo, conscia di non dover subire danni a una reputazione decisamente solida che ne fa uno dei principali costruttori di reattori nucleari al mondo, sia nella Federazione Russa che all’estero, dato che l’investimento in tecnologia nucleare è diventato un asset strategico fondamentale nella geoeconomia di Mosca. Le rivelazioni sul tema certamente creeranno un danno d’immagine alla compagnia, associato tuttavia a un evento, fortunatamente, non letale e che non ha prodotto effetti di lungo termine. Ma quando si parla di incidenti nucleari, specie in materia di prevenzione del rischio, la cautela non è mai troppa. E Rosatom dovrà, in futuro, sicuramente recuperare in quanto a trasparenza.





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