Il sistema della Corrente del Golfo è giunto al suo livello più debole nell’ultimo Millennio. Motivo? Secondo gli scienziati, il riscaldamento globale rallenta la potente corrente oceanica che controlla gran parte dell’Oceano Atlantico. Due studi pubblicati questa settimana rivelano che il cambiamento climatico sta rallentando la corrente oceanica, che trasporta acqua calda in Europa, in maniera più importante di quanto non si credesse precedentemente. Come riporta il Financial Times, infatti, utilizzando i dati sulle registrazioni delle temperature per mappare le tendenze storiche, uno studio su Nature Geoscience ha reso noto che il sistema della Corrente del Golfo, noto anche come Atlantic Meridional Overturning Circulation (Amoc), sta viaggiando al suo ritmo più lento nell’ultimo millennio.

“Inverni più freddi”

“È molto probabile che ciò sia causato dalle nostre emissioni di gas serra, perché non c’è altra spiegazione plausibile per questo rallentamento”, spiega Stefan Rahmstorf, uno degli autori e capo dell’analisi del sistema terra presso l’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico. “È esattamente ciò che i modelli climatici prevedono da decenni”. “La circolazione nell’Oceano Atlantico, alla base della Corrente del Golfo (il sistema meteorologico che porta un clima caldo e mite in Europa) è al suo livello più debole da mille anni a questa parte” osserva Ingv Ambiente. “Il cambiamento climatico ne è la causa più probabile. Questo è quanto riportato da un recente studio che ha visto la collaborazione di scienziati irlandesi, britannici e tedeschi”. I ricercatori, prosegue Ingv Ambiente, “hanno analizzato le informazioni provenienti da archivi naturali (come sedimenti oceanici o carote di ghiaccio) risalenti a molte centinaia di anni fa per ricostruire la storia del flusso dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation”. Sta di fatto che ora, secondo gli esperti, ci attenderanno inverni più rigidi e freddi, e non più “caldi” come asseriva il dogma del climaticamente corretto.

Le contraddizioni del climaticamente corretto

Premessa: nessuno vuole negare che i cambiamenti climatici siano un dato di fatto e con cui fare i conti. Detto questo, è chiaro che spesso e volentieri il climaticamente corretto si è spesso distinto per un approccio catastrofista e ossessivo che forse ha più a che fare con lo scientismo che con la scienza. Un credo di stampo millenarista secondo il quale la catastrofe climatica sarebbe imminente e l’Apocalisse vicina. Greta Thunberg – il volto mediatico di questa nuova religione del clima – ne è la sacerdote indiscussa. Infatti, il connubio scienza-verità è tipico delle religioni, che ritengono che esista una verità assoluta. Non c’entra nulla con la “scienza” come la si intende spesso oggi. Il rischio è quello di dire tutto il contrario di tutto, com’è accaduto – e come accade, ancora oggi – con i virologi durante la pandemia da Covid-19. Per la religione del clima è la stessa cosa. “Le stagioni fredde si stanno riscaldando più velocemente delle stagioni calde”, affermava lo scorso anno Deke Arndt, capo del monitoraggio del clima presso i Centri nazionali per le informazioni ambientali della National Oceanic and Atmospheric Administration.

“I periodi più freddi della giornata si riscaldano più velocemente di quelli più caldi. E i luoghi più freddi si riscaldano più velocemente dei luoghi più caldi”. Maccome? La “scienza” non ha appena stabilito il contrario, cioè che avremo degli inverni sempre più rigidi a causa del rallentamento della Corrente del Golfo, fenomeno anch’esso causato dai cambiamenti climatici? Insomma, se fa freddo è colpa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. Se fa più caldo, anche.

Tutti i falsi allarmi dei catastrofisti

La verità è che la realtà sul clima è molto più complessa di quanto catastrofisti e “gretini” non dicano. Come spiegava tempo fa in una nota diplomatica James Hansen, astrofisico e climatologo statunitense di fama mondiale, professore presso la Columbia University e noto per le sue ricerche sul riscaldamento globale, sul clima c’è un elemento quasi paradossale che emerge da uno studio autorevole: l’inquinamento prodotto da Cina e India, in particolare, starebbe rallentando il riscaldamento globale. “L’idea che l’inquinamento asiatico ci stia proteggendo dagli effetti peggiori del riscaldamento globale può esser controintuitiva, ma è possibile che sia proprio così” osserva Hansen. Lo studio pubblicato su Geophysical Research Letters (Climate Impacts From a Removal of Anthropogenic Aerosol Emissions) asserisce infatti che “le emissioni di solfato, specialmente da India e Cina, potrebbero star ritardando il riscaldamento da gas serra”. Un serio dibattito scientifico e accademico dovrebbe tenere conto – anche – di studi autorevoli come questo.

Le profezie eco-apocalittiche smentite dalla storia

Nei mesi scorsi il think tank Competitive Enterprise Institute con sede a Washington Dc, ha pubblicato un articolo, ben documentato, con tutte le previsioni apocalittiche più disparate in tema di cambiamenti climatici che si sono susseguite negli ultimi 50 anni e che sono state tutte smentite. “Il problema con tutte le questioni ambientali” dichiara Paul R. Ehrlich, biologo, sul New York Times del 10 agosto 1969, “è che mentre aspettiamo di avere abbastanza prove per convincere la gente, moriremo. Dobbiamo renderci conto che, a meno di essere estremamente fortunati, spariremo tutti in una nuvola di vapore blu entro 20 anni”.

Il Boston Globe del 16 aprile 1970 sottolinea come gli scienziati fossero convinti dell’arrivo di una nuova, imminente, era glaciale. “L’inquinamento dell’aria può oscurare il sole e provocare una nuova era glaciale nei primi 30 anni del prossimo secolo” si legge. Fino alla previsione-bufala di Al Gore, che nel 2008 spiegò che, entro il 2013, la calotta polare artica sarebbe scomparsa del tutto. Senza dimenticare il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, che nel 1989 aveva avvertito che avremmo avuto a malapena 10 anni di tempo per salvare il mondo, fino al 2000…





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