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L’acciaio e più in generale i materiali strategici per settori chiave dell’economia sono citati nella recente National Security Strategy del presidente Usa Joe Biden. E la questione non deve stupire chi da tempo analizza la competizione multidominio degli Stati Uniti contro le potenze rivali, Russia e Cina in testa, che se nei confronti di Mosca si fonda soprattutto sulla costruzione di un apparato militare strutturato e nell’isolamento dal resto dell’Europa verso la Cina acquisisce, assieme, la forma della rivalità geoeconomica.

Biden e la vicepresidente Kamala Harris hanno rivendicato, in particolar modo, il fatto che controllare la produzione di materiali come l’acciaio aiuta da un lato a rendere indipendente l’Occidente sul fronte degli approvvigionamenti e dall’altro a plasmare processi come la transizione energetica e la decarbonizzazione in senso funzionale ai desiderata di Washington.

Nella strategia di sicurezza nazionale non a caso Biden sottolinea che su questi fronti “gli Stati Uniti stanno galvanizzando il mondo e incentivando ulteriori azioni” ai partner. Ricorda l’importanza dei vari summit come la Conferenza Onu sul Clima (Cop), il Vertice dei leader sul clima, il Forum delle Democrazie e mira a far sì che gli Usa possano utilizzare il proprio “peso economico” per guidare questi processi nella direzione auspicata.

“Il nostro accordo siderurgico con l’Unione Europea”, ricorda il documento firmato da Biden, “il primo accordo in assoluto su acciaio e alluminio per affrontare sia l’intensità delle emissioni di carbonio che la problematica della sovraccapacità globale” con cui la Cina mira a giocare a suo favore sfruttando il controllo dei prezzi, “è un modello per i futuri meccanismi commerciali incentrati sul clima”. L’intesa firmata a fine ottobre dell’anno scorso ha permesso di rimuovere i dazi su più di 10 miliardi di dollari delle rispettive esportazioni all’anno sul fronte dell’acciaio, mettendo fine a un conflitto che si trascinava dai tempi dell’amministrazione Trump. A maggio, invece, Biden ha bloccato ogni dazio all’Ucraina in forma unilaterale per favorire l’ingresso dell’acciaio di Kiev nel mercato globale.

Pechino viene accusata da Washington e Bruxelles di saturare i mercati con delle quantità eccessive di acciaio che, dato il loro basso costo, danneggiano le aziende siderurgiche europee e statunitensi, praticando il cosiddetto “dumping”. In quest’ottica il dazio è mirato a far sentire in forma più pressante il costo della produzione all’output di Pechino nelle principali economie di Pechino, valorizzando tre temi.

Il primo è quello del ritorno della politica industriale come protagonista della geopolitica economica globale. Washington sta favorendo con gli investimenti di Trump prima e Biden poi il reshoring delle attività produttive delocalizzate e al contempo mira al cosiddetto friend-shoring su base internazionale. L’obiettivo, cioè, di creare catene del valore capaci di collegare tra di loro Paesi alleati e amici per isolare i rivali strategici. Pechino, scrive Biden, è “l’unico Paese ad avere sia l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale sia, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per portare avanti questo obiettivo”. Sull’acciaio si vuole fare ciò che si mira a promuovere anche in ambiti come energia e telecomunicazioni, con un’urgenza ulteriore sul fronte dei microchip.

Il secondo tema è la questione del legame diretto tra sicurezza nazionale e prosperità economica. Capace di creare una nuova strutturazione al “capitalismo politico” dell’Occidente. Biden in sostanza espande a materie prime come l’acciaio il ragionamento che sull’energia il Segretario della Nato Jens Stoltenberg ha espresso al recente forum di Davos, ricordando come l’economia dovesse ottenere una bollinatura da parte delle logiche dell’interesse occidentale per definirsi funzionale al progresso delle democrazie. Biden in quest’ottica è “trumpiano” nelle intenzioni ricordando che però la priorità data alla sicurezza nazionale non può far dimenticare la necessità di rendere i prodotti meno onerosi per i cittadini americani, la difesa del cui potere di acquisto è definita vitale: “Il futuro del successo dell’America nel mondo dipende dalla nostra forza e resilienza in patria, e in particolare dalla forza della nostra classe media, che è fondamentale per la nostra sicurezza nazionale come motore di crescita economica e fonte chiave di vitalità e coesione democratica”.

Il terzo fronte è quello dell’uso geopolitico della questione ambientale. In quest’ottica il recente studio del Center for American Progress intitolato “The First 100 Days: Towards a More Sustainable and Values-Based National Security Approach” condisce con una grande retorica quella che è una realtà testata dai fatti: Washington utilizza la questione ambientale a fini geopolitici e nel Cop26 ha dato atto di mostrare chiaramente questo approccio. Libero dei condizionamenti legati al negazionismo climatico di Trump, Biden può paradossalmente potenziare la sua strategia centrata sulla competizione egemonica in campo economico aggiungendo ambiente, clima e transizione energetica in questi campi. E mettendoli, innanzitutto, in campo come strumento di riaffermazione della superiorità Usa nel sistema occidentale. Presupposto fondamentale per arruolare, anche in questo settore, l’Europa al servizio della strategia di contenimento dei rivali di Washington. Un’America First retorico con chiare conseguenze politiche.

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